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Ormai Alexander Payne ci ha preso gusto : ha deciso che il road movie è il suo genere.
Genere cinematografico però declinato alla sua maniera, sbilenca, laterale, i suoi sono film di viaggio fisico ma soprattutto esistenziale e Nebraska ne è ottimo esempio dopo A proposito di Schimidt, Sideways e Paradiso Amaro.
La storia del vecchio Woody ( un grandissimo Bruce Dern che si è portato a casa il premio per miglior attore protagonista a Cannes ed è candidato anche all'Oscar) è anche un perfido excursus nell'ipocrisia di rapporti familiari di facciata, un viaggio in un passato complesso e irrisolto in cui vengono fuori i suoi problemi di alcolismo e tutta una serie di cosucce sepolte in un passato rivangato anche non volendo.
E David è lì, premuroso, comprensivo eppure sorpreso dallo scoprire diversi lati del padre che non aveva mai conosciuto prima, si trova nelle condizioni di chi scopre, nascosto in soffitta, sepolto dalla polvere degli anni che sono trascorsi, un vecchio album di fotografie di famiglia di cui ignorava l'esistenza e si mette avidamente a sfogliarlo.
La fame di conoscere il passato del padre e della sua famiglia e di rimbalzo qualcosa sulla sua infanzia trascorsa in quel di Hawthorne, piccolo paesello del Nebraska in cui il tempo sembra si sia fermato è la molla che spinge David nell'accompagnare le scelte di un padre un po' assente ma deciso a ritirare quel premio, come se fosse l'ultima cosa da fare nella sua vita.
Hawthorne, Nebraska :tutto immutato e tutto immutabile, una popolazione fatta dai ragazzi di cinquanta anni prima ora diventati vecchi e senza alcun ricambio generazionale.
E anche quelli che sono giovani dal punto di vista strettamente anagrafico ( i cugini di David ) sono irrimediabilmente vecchi dentro, resi decrepiti da un luogo senza prospettive se non quella di vegetare sotto il portico della loro casa a trangugiare lattine di birra economica, riunirsi davanti alla tv a vedere la partita, o trascorrere tristerrime serate al pub cantando il karaoke, un divertimento da pensionati parecchio in là con gli anni.
Payne ha poi il gusto beffardo di disegnare personaggi al limite del grottesco, forse anche oltre ( vedi i succitati cugini di David, due manzi che definire limitati mentalmente è già un gran complimento) e di orchestrare una sarabanda di rapporti familiari in cui il veleno viene sparso a piene mani.
Paradigmatico il personaggio della moglie di Woody, madre di David, che li raggiunge a Hawthorne assieme all'altro figlio, e che si toglie energicamente dei sassolini nella scarpa , in realtà dei veri e propri macigni in barba a qualsiasi rispetto e correttezza politica e religiosa ( da collasso la scena al cimitero in cui commenta le gesta terrene di molti trapassati che conosceva).
Tra L'ultimo spettacolo e Una storia vera , Nebraska è un viaggio alla ricerca di se stessi e di una dimensione mai avuta prima.
Il tutto filtrato da un'aura nostalgica che qua e là regala dei tocchi di vera e propria poesia.
Payne si dimostra ancora una volta a suo agio nel road movie a bassa velocità , canta ancora una volta l'America che non sta mai in prima pagina, quella delle profonda provincia in cui si capita sempre per sbaglio e non per reale volontà.
Il Nebraska più che un dettaglio geografico diventa quasi un approdo mitologico per anime perdute, lo sfondo ideale per una ballata folk suonata con poche , ma decise pennellate di plettro su una chitarra acustica che intona una melodia malinconica.
Bruce Springsteen cantava il Nebraska, ora anche Payne lo canta in un bianco e nero morbido e avvolgente, struggente allo sguardo.
Il Nebraska è ovunque e in nessun luogo.
O forse tutti noi abbiamo un pezzetto di Nebraska nel cuore.
Tutto sta a ritrovarlo....
( VOTO : 8 / 10 )
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