Le analogie finiscono qui, nel titolo e nel bianco e nero, ma chi dovesse vedere il bellissimo film di Alexander Payne, intitolato appunto Nebraska, non potrà fare a meno di trovarci quella desolata poetica delle strade secondarie, qui priva di fatti sanguinari ma inebriata da una contagiosa sebbene amara ironia, che per molti anni ha accompagnato la musica e le visioni di Springsteen. Bisognerebbe chiedersi perché, al di là della cronaca, sia sempre il Nebraska ( e non, che so, l'Indiana o il Kansas o l'Iowa), il teatro del grande nulla americano. La storia è semplice e presto detta:Woody Grant ovvero un magistrale Bruce Dern, è un vecchio scontroso, amareggiato e smemorato, convinto di aver vinto un milione di dollari in quelle fittizie lotterie che sono un veicolo pubblicitario per vendere altre merci. Dern si avventura in un road movie provinciale tra la periferia di Billings in un Montana fuori da qualsiasi circuito turistico ed un piatto ed anonimo Nebraska, per andare a riscuotere il premio, accompagnato dal figlio quarantenne che prima cerca di dissuaderlo e poi lo asseconda in questo viaggio, conscio di regalargli un ultimo motivo di una vita altrimenti incanalata su un binario morto. Nel viaggio Woody Grant edil figlio (interpretato da Will Forte) incontrano cittadine semideserte e metropoli senza storia, vecchi concittadini, riunioni di famiglia, parenti ingordi ed insulsi, ricordi, liti, riconciliazioni, in quello spirito nomade che è stato uno degli elementi caratteristici dei film della New Hollywood degli anni settanta, evocando pellicole come L'ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich e il più recente Una Storia Vera di David Lynch, con gli echi però agrodolci del neorealismo italiano.
Nebraska è neorealismo americano blue-collar, il critico cinematografico Giona A. Nazzaro su FilmTv l'ha paragonato per essenzialità e composizione dello spazio, ad una canzone di Howe Gelb dei Giant Sand, personalmente trovo che la narrazione abbia i tempi ed il bianco e nero, magistrale la fotografia di Phedon Papamicheal, delle canzoni dello Springsteen suburbano, una provincia una volta saldamente operaia ed oggi dimenticata dalla crisi finanziaria. La fotografia è superba, desolata e poetica al tempo stesso e contribuisce a delineare lo spirito della storia, il profilo dei personaggi e gli spazi di un paesaggio che non si fa fatica ad accostare al mondo di Springsteen, in primis proprio Nebraska. Fotogrammi che lasciano senza fiato, che a tratti evocano gli scatti di Ansel Adams, quadri di un America profonda colta nelle lentezze di vite ordinarie ed un po' scontate di uomini tristi ed autentici, non ancora sconfitti dalla vita.Alla donna della lotteria che chiede al figlio se il padre ha l'Alzheimer o la demenza senile, il figlio risponde " no signora, è solo che si fida di quello che la gente gli dice".Ed è questa la frase del copione che ha convinto Bruce Dern ad accettare la parte dopo molti anni di inattività, un gigante cocciuto e commovente che non ride mai, non ha mai riso e non pensa alla morte, perché vive già in un cimitero ma al tempo stesso è un monumento ai pionieri d'America, è un puro. (Roberto Manassero, Film TV).
MAURO ZAMBELLINI