Mauro Quarchioni
Eravamo i due musicisti della classe. Lui tastierista e io chitarrista. Ci conoscevamo fin dalla prima media ma l’amicizia si approfondì molto al liceo, specialmente in secondo, quando fummo compagni di banco per l’intero anno, e si consolidò poi nel già citato quartetto dei dementi.
Mauro non rideva mai, ma aveva fisso un mezzo sorriso sornione stampato in faccia. La sua battuta pronta, caustica, velenosa te la sparava lì senza batter ciglio, che rimanevi basito prima ancora di scoppiare a ridere. Su tutti i suoi libri aveva cancellato la parola “sommario” e aveva riscritto sopra “sommauro”, per la precisione.
Finchè siamo stati compagni di banco avevamo davanti Maria Carla Pelagagge e Monica Mecozzi e con loro fummo due autentici aguzzini, il che, però, aveva come risvolto positivo che metà dei compiti a casa ce la facevano loro. “Allora, io faccio matematica, tu latino, inglese lo fa Mecozzi e Pelagagge ci fa il riassunto di storia”, questo era il funzionamento, senza chiedere, però, alle due poverette se fossero d’accordo o meno. Chiedo ora scusa ufficialmente ad entrambe.
Ci confrontavamo spesso sulla musica, lui amante dei Deep Purple ed io più incline agli Zeppelin. Aveva un gruppo che suonava prevalentemente Deep Purple, costituito dai cugini Stizza e da un formidabile batterista come Giorgio Cicchitelli. Spesso facevamo delle “sfide” tra gruppi: chiamavamo un po’ di amici e chiedevamo loro di giudicare una performance congiunta. La cosa era molto agonistica tanto che, durante una di queste sfide, Giorgio mise tanta foga nel suonare che quasi si staccò un dito picchiando con la bacchetta contro il bordo del rullante e schizzando sangue tutto intorno – effetto Ozzy Osburne.
Quando presi la patente, in quinto, proposi a lui, Giuliano Ferranti e Mario Cognigni di andare a scuola in macchina insieme, dividendo le spese. A conti fatti ci costava meno dell’abbonamento alla corriera ed eravamo più liberi con gli orari. Così da ottobre fino alla maturità tutte le mattine passavo prima a prendere Mario, che abitava appena fuori Monte San Giusto verso Montegranaro, poi toccava a Giuliano poco più in là e infine Mauro davanti la tabaccheria del padre in piazza a Monte San Giusto. Credo che quello sia stato uno dei periodi più divertenti della mia vita, non perché facessimo chissà che, ma perché si rideva ogni singolo secondo.
Un giorno che pioveva Mauro propose la sua scorciatoia: da Villa Fermani c’era, secondo lui, una strada bianca che arrivava fino a sotto Corridonia la quale ci avrebbe permesso di risparmiare un sacco di tempo. Peccato che, con la pioggia abbondante, la strada non era più bianca ma marrone del fango franatole sopra e, nella parte pianeggiante, un torrentello aveva straripato. Oramai in ballo dovemmo ballare, facendo arrancare la macchina sul fango, imprecando e maledicendo il momento in cui gli avevamo dato retta. L mia povera Golf GLD bianca ne uscì malconcia e con venti centimetri di fango attaccati sotto la scocca. Una volta raggiunto l’asfalto malmenammo in tre il povero Mauro.
Una mattina arrivammo a scuola presto e trovammo, forse per la prima volta, posto per la macchina in viale Don Bosco anziché sotto. Feci per parcheggiare, mi inserii nello spazio del parcheggio e iniziai a manovrare per mettere dritta la macchina, facendo retromarcia. Ma Mauro pensò bene di scendere e aprì lo sportello proprio mentre retrocedevo andando ad impuntare l’angolo superiore della portiera contro uno dei tigli di viale Don Bosco, facendo fare alla lamiera un bell’angolo di quarantacinque gradi. Presa d’aria supplementare per l’abitacolo per tutto l’inverno. Non lo uccisi perché ero troppo allibito.
Con lui inventammo la gag della sigla di Superquark. Don Marucci, professore di scienze, ci portava spesso in aula di chimica per mostrarci le sue registrazioni di Superquark. Il professore spegneva le luci e faceva partire il nastro. Appena partita l’Aria sulla quarta corda di Bach che ne era la sigla io e lui, e poi tutta la classe in coro, iniziavamo a mugugnarla a bocca chiusa e ognuno con le proprie varianti, producendo un suono mefistofelico e mandando il povero Don Marucci su tutte le furie. Altra gag da Superquark era opera di Germozzi che aveva trovato un telecomando identico a quello del televisore dell’aula di scienze. Nel bel mezzo del documentario sui leoni lui schiacciava il tasto AV e compariva Raffaella Carrà che contava i fagioli. Mitico fu quanto don Marucci provò l’esperimento della reazione dell’acqua a contatto con un metallo alcalino. Prese una vaschetta di vetro trasparente colma d’acqua ed un pezzo di potassio. Ne taglio una scheggia piuttosto grande, probabilmente troppo grande, e la gettò nell’acqua. L’esplosione fu notevolissima. La vaschetta si disintegrò e l’acqua schizzò in faccia a tutta la prima fila. La cosa più bella furono i capelli dritti del professore e la sua aria smarrita.
Con Mauro non abbiamo mai perso contatto. E’ il mio testimone di nozze e gli voglio un gran bene.