La mia amica-nemica era Cristiana Puggioni. Ci dividevamo il posto di primo della classe, modestia a parte, più quello di pseudo capo, lei delle femmine, io dei maschi. E mica si scherzava: erano botte da orbi. Qualche giorno fa l’ho incontrata e mi ha raccontato una cosa che, evidentemente, avevo rimosso in quanto degna di vergogna. Sembra che dopo l’ennesima lite l’avessi legata ad un tiglio del cortile delle scuole usando il tubo dell’acqua di Sante il bidello, andandomene tranquillo e beato e lasciandola lì. Lei, che comunque non era una che si arrendesse facilmente, tentando di liberarsi si sfracellò a terra e sanguinante fu raccolta dalla direttrice Sacchetti. Bella figura, Lu’. Chiaramente il ricordo è stato opportunamente cancellato dal mio hard disk. A parte i fatti sanguinosi ci disprezzavamo cordialmente, ma nonno Peppe mi diceva sempre “chi disprezza compra” e forse non aveva tutti i torti: in realtà ci volevamo bene, ma il modo di dimostrarlo di due ragazzetti di otto o nove anni è piuttosto strano. Ma il fatto che, a distanza di tanti anni, siamo ancora buoni amici e, soprattutto, non ci meniamo più (magari qualche bonario insulto) ne è la prova.
A proposito di odori, come ho nominato Sante mi è parso ancora di sentire quello fantastico ed evocativo della sua pipa. Pensate che tempi, si fumava addirittura a scuola. Ma quel profumo era delizioso, denso, quasi tangibile.
Quando l’inverno finiva ed arrivava finalmente la primavera si andava al mese di maggio in parrocchia. Per me era un’altra occasione per incontrare tanti amici, i soliti e nuovi. Qualche preghiera, un po’ di “duttrina” e poi a giocare sul terrazzo de lo pioa’, sfidando la furia di Peppa la perpetua che poco apprezzava i nostri schiamazzi. Don Guido lo ricordo poco, ero molto piccolo, ma il compianto Don Peppe Trastulli, lo pioa’ per eccellenza, altrimenti detto Liquirizia perché lungo secco e nero è parte della mia vita, così come Don Leandro. C’era anche don Umberto, che, giovanissimo, all’epoca faceva il diaconato a Montegranaro e per noi tutti era Umbertì. In centro si vedevano poco Don Carlo e Don Mariano, persone che poi ho conosciuto meglio andando avanti con gli anni.
Quante partite a fazzoletto su quel terrazzo. Che sudate, che ginocchia scorticate, quante grida e risate. In parrocchia passavo un bel po’ di tempo, a parte il mese di maggio. Facevo anche parte dei Gen, e lì probabilmente avevo il nucleo fondamentale dei miei amici: il sempre presente Serafino, Francesco Di Rosa, che era anche vicino di casa e parente (parente lo è ancora), Lorenzo Brinchi Giusti, Gioacchino Pirro. Diciamo che, per gli ultimi anni delle elementari quella è stata la mia seconda casa. Poi la vita mi ha portato altrove, a fare nuove esperienze.
Il bello di andare in parrocchia era anche il rito del gelato. Nonno Peppe passava, da buon pensionato, i suoi pomeriggi al bar di Marcello de Pistarelli, un locale dove questi attempati signori giocavano a briscola, bevevano birra e fumavano Nazionali Esportazione. L’odore delle due cose si univa formando il classico profumo da bar per uomini. Come si fa a non andare a trovare il nonnino e come fa il nonnino a non pagarti il gelato? Babbo mi vietava il ghiacciolo, vai a sapere perché, e nonno faceva il suo mestiere: contravveniva alle regole. Ed ecco il mio ghiacciolo preferito: Dalek, dalla forma spaziale, il colore improbabile di un viola scuro e il ripieno rosso di frutti di bosco. A pensarci bene faceva anche un po’ schifo, ma anche tanta scena. E poi vuoi mettere la trasgressione?
La piazza a quel tempo era sempre piena di gente e di vita. C’erano tre bar: Marcello, Ilde, e Dino. Marcello era il bar del gelato come abbiamo visto, Ilde era il bar della domenica, dove si andava con i genitori a fare colazione dopo la messa o a prendere i pasticcetti, Dino era il bar dei primi videogiochi. Cronologicamente vedete bene che la frequentazione di Dino è posteriore.
Da Ilde ci andavo da piccolo piccolo, quando ancora non potevo uscire da solo. Era un posto molto elegante, con le sedie a poltroncina di metallo cromato e i tavolinetti arancioni, il banco del bar a sinistra dell’ingresso e quello dei dolci di fronte, come a chiarire subito che lì volevano tentarti la gola. Ilde era una signora gentile, la ricordo già canuta nel suo grembiule bianco, coi suoi modi leggeri ed educati. D’altro canto c’era Pasquale che diceva barzellette, battute a raffica e, soprattutto, fischiava.
Da Dino ci andavo quando ero un poì più grandicello, dopo gli incontri dei Focolarini, a fare la partitina a Space Invaders, Donkey Kong o Pac Man, e a tentare la sorte coi Boeri. Mai piaciuti i boeri, ma con quelli si vinceva sempre. Mai più successo nella vita.
C’era anche la pizzeria, unica in città, di Chioo (leggi chio-o, per i non montegranaresi significa chiodo), che faceva una pizza infernale, ma non avendo termini di paragone, per noi era buonissima. A Chioo successe Evangelista ma la qualità della pizza rimase invariata. Si pagava con i mini-assegni, sia la pizza che il cinema al teatrino della pievania. Credo di aver visto I dieci comandamenti qualcosa come nove volte, sempre pagando con i mini-assegni.