Mi aspetto già che Rizzo o Stella o uno dei tanti produttori instancabili di inchieste scabrose e dissacranti sull’Italia, condotte da una comoda poltrona, in una calda stanza al riparo dalla vita, guardando la realtà affacciati al davanzale dei privilegi, ci offra l’edizione nazionale di un bestseller tedesco di tale Thilo Sarrazin, intitolato Der neue Tugendterror, “il neo terrorismo della virtù”, scritto con l’intento di dissacrare stereotipi e cardini del politicamente corretto.
In realtà un pamphlet italiano sarebbe solo il sigillo cartaceo su un comportamento “politico” che ha nel Pd, in Renzi, Veltroni, ma anche nei “critici” costruttivi come Barca, gli interpreti che nei loro vari ruoli e nelle varie funzioni, applicano i principi del disincanto pragmatico e i vizi del cinismo come fossero le virtù indispensabili del governante moderno e perfetto. E infatti non stupisce che il Sarrazin sia appunto un dirigente dell’Spd, che, riferiscono i pochi che si sono sobbarcati le quasi 500 pagine, lancia la sua invettiva contro la sindrome dell’egualitarismo, l’isteria dell’integrazione e dell’accoglienza, la futile eccedenza dei diritti quando dobbiamo invece garantirci il necessario secondo criteri di merito, congrui a certi criteri che assomigliano molto all’accesso selezionato a elargizioni e favori, secondo requisiti di ubbidienza e conformismo.
D’altra parte pare che debbano essere per forza questi i giuramenti stilati col sangue, i contenuti dell’abiura e le condizioni del tradimento di chi avrebbe dovuto invece rispettare con lealtà il mandato storico di rappresentare gli sfruttati, e che con un certo arcaico orgoglio molti di noi si ostinano a chiamare sinistra.
La condanna del terrorismo della virtù è d’altra parte una delle componenti della guerra che l’imperialismo finanziario e l’ideologia che lo sorregge sta conducendo contro le democrazie e la sovranità dei popolo. E infatti ha scelto come campi di battaglia quelli nei quali la destra tradizionale ha sempre stravinto: razzismo, xenofobia, autoritarismo, svuotamento della rappresentanza e del parlamentarismo, il dileggio delle Costituzioni ridotte a carta straccia, il disprezzo per le regole, accusate di costituire ostacolo alla libera iniziative, la denigrazione dei limiti, intesi come vincoli inappropriati allo sviluppo, l’alienazione dei beni comuni, combattuti come bacini di parassitismo e immeritati dal popolo bue, lo svilimento della solidarietà e dell’accoglienza, sbeffeggiati come attrezzi avversi all’affermazione di ambizioni ed augurabili egoismi.
E infatti uno dei terreni sui quali la cupola di chi detiene i destini del mondo è più impegnata è quello della “regolazione” spietata dei flussi migratori, che deve mettere le basi per quella amministrazione burocratica, che risveglia tanti ricordi, della circolazione della “merce-lavoratori” secondo i comandi di un padronato globale, che ha bisogno di vite nude, spogliate di dignità e diritti, da spodestare e spostare secondo i suoi bisogni.
Basta pensare al doppio binario dell’Ue, che obbliga chi è costretto a fuggire dal proprio paese a chiedere asilo nel primo paese europeo di arrivo, a meno che non sia provato e documentato che questo non è in grado di accoglierlo, che a parole promuove il diritto di asilo, ma sino ad oggi ha accolto solo 56 mila degli oltre 2,5 milioni di profughi siriani (la Turchia ne ha accolti 656 mila, il Libano un milione), che condiziona la «cooperazione con i paesi terzi» alla firma di accordi “impossibili” sul contrasto dell’immigrazione irregolare, che ha adottato la direttiva della vergogna, stabilendo per legge che è inevitabile rinchiudere nei centri di detenzione i migranti senza documenti colpiti da un provvedimento di espulsione per 18 mesi. È l’Europa che nella sua Carta dei diritti fondamentali vieta le espulsioni collettive e le discriminazioni “etniche”, religiose o fondate sulle caratteristiche somatiche, ma dà licenza ai singoli Stati di negare o limitare il godimento di servizi e diritti ai cittadini stranieri.
L’Italia per una volta ha assunto una leadership, quella dell’infamia che spesso si traduce in indifferenza. Ha accettato la seconda edizione dopo sessant’anni di indecenti leggi razziali, che non sono state cancellate dai cosiddetti governi di centro sinistra, dal succedersi di riformatori che forse hanno inteso così applicare una riforma strutturale della civiltà, anche quella inutile orpello del passato. E crea un clima favorevole a esclusione e respingimenti, grazie a vari manager della paura e del risentimento sociale, alimentando leggende metropolitane, nutrendo varie forme di discriminazione rese legali anche se illegittime da nuove generazioni di sindaci sceriffi.
E oggi grazie al suo premier retrocede il tema, fingendo che sia secondario, ma che invece è primario ed egemone nella strategia di sviluppare differenze, antagonismi, inimicizia e ostilità, che l’importante è rompere l’unità di lavoratori, di disoccupati, di sfruttati sempre più soli, sempre più isolati.
Il Presidente del Consiglio si ricorda di Lampedusa solo a scopi elettorali, invitando il sindaco a far parte della sua lista. Poi come è suo costume dinastico, rimuove il problema. Così come ha rimosso quello della lotta alla mafia, del quale si ricorderà in occasione di spicciativi telegrammi. Eppure tra i temi c’è una stretta connessione, se l’immigrazione clandestine è diventata un dei brand più profittevoli della criminalità organizzata, grazie a una imprenditoria della clandestinità, fondata sua una filiera lunga, dall’offerta del transito allo sbarco e poi alla tratta dei corpi, allo sfruttamento della prostituzione, al racket della manodopera stagionale, secondo il sostituto procuratore nazionale antimafia, Carlo Caponcello, che ha delineato il “sistema” nell’ambito dell’operazione Piramide condotta il 14 maggio 2012 tra Milano, Napoli e Mazara del Vallo. Si può perfino azzardare qualche cifra, largamente sottostimata: nel 2012, sarebbero arrivati 13mila migranti e profughi, contro i 68mila dell’anno precedente, con una “tariffa” indicativa di 2mila euro e quindi con un giro d’affari pari a 26 milioni di fatturato, immaginando che i pochi arrivi abbiano costretto a prezzi di liquidazione. Le stime per il 2013 hanno calcolato 60mila arrivi e quindi il giro d’affari potrebbe raggiungere gli oltre cento milioni.
Ma appunto si tratta di stime molto lontane dalla realtà, se ormai la tratta degli schiavi nella graduatoria della malavita è seconda dopo il traffico di droga, o forse terza visto lo sviluppo inarrestabile del business del riciclaggio.
Non sarà dunque malizioso sospettare che l’indifferenza della politica per il fenomeno sia anche influenzata dall’ammirazione mai celata per imprenditori o manager che si affermano nei vari comparti produttivi, che giustificano i loro proventi e le loro remunerazioni che vengono per questo considerati irrinunciabili, proprio come lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.