Le imbarcazioni turistiche che percorrono il Guadalquivir regalano un'ora di prospettive insolite, dai padiglioni dell'Esposizione Iberoamericana del 1929 a quelli dell'Esposizione Universale del 1992, e uniscono idealmente i due grandi eventi del Novecento, che hanno cambiato il volto di Siviglia.
La grandiosa Plaza de España, con i suoi magnifici azulejos, è il simbolo più noto dell'Expo del 1929; il Parque Tecnológico, creato nell'Isola della Cartuja per liberare la città della sua immagine da cartolina e proiettarla nella modernità, è l'eredità più ambiziosa del 1992. Una modernità che non prescinde dal passato e che, anzi, lo rielabora per dargli nuovo impulso. La Fondazione delle Tre Culture, per esempio, intende rilanciare i vincoli tra cristiani, musulmani ed ebrei, che nell'Al-Andalus avevano saputo trovare un rimpianto modus vivendi. Ha lo stesso scopo la Casa de la Memoria: nel suo patio, nel pittoresco Barrio de Santa Cruz, offre spettacoli di flamenco e di musica andalusí, con introduzioni storiche e filologiche che ne riscoprono le origini, in quel tempo perduto che fu Al-Andalus. Il flamenco e l'eredità andalusí, del resto, non sono uno stereotipo per turisti. Dalle automobili che sfrecciano nel Paseo de Cristobal Colón, lungo il Guadalquivir, arrivano le canzoni di Andy y Lucas, di David Bisbal, della Niña Pastori, gli artisti del momento, che si ispirano alle loro radici flamenche per trionfare nelle classifiche pop.
L'ombelico della città continua ad essere l'antica Campana. Da qui partono Sierpes e Velázquez, le vie dello shopping, con i negozi degli stilisti alla moda, le gioiellerie e l'artigianato locale. Nel dedalo di viuzze che si sviluppa dietro la Campana le signore comprano i trajes de flamenca, gli abiti di volant e pois che indossano durante la Feria de Abril per passeggiare nel recinto ferial, tra improvvisati balli di sevillanas e irrinunciabili spizzicate di pescaido frito. E in queste vie è ancora possibile comprare abiti fatti su misura con i pregiati tessuti locali, tornati in auge da quando doña Letizia Ortiz è l'ambasciatrice della moda spagnola. E' un'eleganza raffinata, che sa di antico: i bambini fanno la prima comunione vestiti da marinaretto e le bimbe da principessina; ci si sposa con il diadema e le invitate sono in lungo a partire dalle fatidiche cinco de la tarde; nelle occasioni importanti si portano sui capelli le tradizionali mantilla e peineta con quel portamento fiero ed elegante tipico delle sivigliane.
Nel caffè della Campana si sta seduti per ore a prendere il sole e ad assaggiare la pasticceria, famosa in tutta la città. Si possono anche ascoltare gli ultimi pettegolezzi, perché per la Campana passa tutta la Siviglia che conta e che vuole contare. Il personaggio più chiacchierato è doña Cayetana Fitz-James, duquesa de Alba, una vera istituzione cittadina, sempre presente nei maggiori eventi culturali e mondani. Del resto è risaputo che agli splendori del madrileno Palacio de Liria la duchessa preferisca i silenzi del sivigliano Palacio de las Dueñas, in cui è cresciuta. Una quiete che si ritrova anche nei conventi adiacenti, in cui sono state educate per secoli le religiosissime signore delle famiglie aristocratiche. L'unico contatto con il mondo esterno delle monache che li abitano sono i deliziosi dolcetti che producono e che vendono ai sivigliani e ai turisti che si spingono fino ai loro silenziosi chiostri. Bisogna allontanarsi dai percorsi tradizionali del turismo anche per raggiungere il Palacio de Pilatos, il più bel palazzo patrizio della città, caratterizzato da uno straordinario patio, in quello stile mudéjar di cui anche l'Alcázar, residenza sivigliana della Famiglia Reale, è un raffinato esempio. Le vie del turismo portano lontano dai palazzi aristocratici, che bisogna andare a cercare nella Siviglia più appartata, nei quartieri della Macarena o della Puerta de Carmona, con le loro piccole piazze che si aprono improvvisamente tra vie labirintiche e strette e che offrono squarci di vita quotidiana. Le panchine in ferro battuto, il piacere di una cervecita, una birra, anche di prima mattina, i tavolini dei bar all'aperto anche d'inverno, il ritmo lento della vita, per cui si può bloccare il traffico per salutare un amico visto per strada o per scaricare le merci e nessuno suona il clacson.
Gli autobus granturismo scaricano giapponesi e americani alla Puerta de Jerez, uno degli accessi al Barrio de Santa Cruz, che, con le sue casette bianche, i suoi patios fioriti e i crocifissi in ferro battuto, è il trionfo dell'immagine più tradizionale della città. Sembra un po' artificiale, ma è bello perdersi nei luoghi che hanno ispirato Il barbiere di Siviglia, respirare i profumi dell'azahar, il fiore d'arancio, curiosare tra i piccoli negozi d'artigianato, molti dei quali gestiti da stranieri che si sono innamorati della luce della città e non sono più andati via. Si finisce poi spesso davanti alla Giralda, l'antico minareto diventato campanile della Cattedrale dopo la Reconquista. Era tanta l'ansia di affermare il ritorno di Cristo che la Cattedrale è per grandezza il terzo tempio della Cristianità, dopo San Pietro a Roma e Saint Paul a Londra. La sua architettura gotica contrasta con il ridondante barocco che permea le chiese sivigliane, costruite con l'oro delle colonie americane, ma lo splendido retablo di legno dorato, al centro della Capilla Mayor, non lascia dubbi: il cuore batte per il barocco.
Dalla cima della Giralda si vede tutta la città, le cupole delle sue chiese, il biancore del suo centro storico, l'architettura anonima dei quartieri moderni, i grandi spazi verdi delle due Esposizioni, il corso del Guadalquivir e la Maestranza, l'altro grande cliché di Siviglia. Eppure c'è un solo posto in cui un matador vuole trionfare davvero ed è la Plaza de Toros de la Real Maestranza di Siviglia: una salida a hombros, un'uscita sulle spalle, dalla sua Puerta vale tutta una carriera.
Sull'altro lato del fiume, di fronte alla Maestranza, c'è Triana, il quartiere che ha ispirato scrittori ed artisti di tutti i tempi. Era il quartiere del malaffare, dei gitani, dei pescatori e dei marinai che, senza niente da perdere, conquistarono le Indie per Sua Maestà Cattolica. E però ha inventato il flamenco e gli azulejos e, rivincita del tempo, è il quartiere prediletto dei famosi: avere el corazón en Triana è più chic che mai. Nei locali della calle Betis i giovani socializzano e tirano l'alba con gli studenti di Erasmus e gli immancabili turisti americani. Nella parallela e silenziosa calle Pureza, in una piccola cappella, c'è la statua della Esperanza de Triana, una delle Madonne più venerate della città. La notte del Venerdì Santo rivaleggia per fervore popolare con la Madonna della Macarena, a cui, quando esce dalla chiesa per la processione, i fedeli urlano incredibilmente guapa!
Come se fosse la bailaora di un tablao flamenco.
PS E' un articolo scritto qualche tempo fa per una rivista. Il primo post pubblicato su Rotta a Sud Ovest, nel 2006. Adesso che sto chiudendo il blog sulla piattaforma di Typepad, mi piace riproporlo su blogspot.