Magazine Diario personale

Nel dì di ferragosto

Da Kisciotte @Kisciotte_Dixit

In una grande città, il dì di ferragosto ha sullo spirito un effetto di spurgo. Offre, il dì di ferragosto, l’opportunità di sgravarsi di ciò che è frastuono e confusione.Più che offrire tale strumento, il ferragosto lo impone. Afferra il fardello di tanta superfluità accumulata, togliendocelo di dosso, sgravandocene. Ci ripulisce, il dì di ferragosto, della presenza superflua, sia essa organica o inorganica. Il dì di ferragosto, come una gigantesca, saggia scopa di saggina, spazza via, sotto un cielo di sole, la polvere e le briciole di ciò che pensavamo servisse, invece non serve. Nel dì di ferragosto, il sole asciuga e alleggerisce gli stracci dell’esistenza. Almeno oggi, tornano a essere leggeri, vibranti al vento. È essa leggerezza che, chi vuole, può provare a cogliere, librandosi su correnti ascensionali, su ali di condor.Il dì di ferragosto spazza via il frastuono, la confusione, l’ipercinetica isteria, l’untuosa ilarità, la ridondanza di parole marcite all’umido nelle pieghe di vite altrimenti ammuffite.
Ciò che ne rimane, come in tutto ciò che viene appeso a essiccare al vento caldo, sono filamenti d’energia essenziale. Lo sanno gli sciamani.Nel dì di ferragosto, il baccano si placa, sconosciute presenze svaniscono, trascinate altrove, estranee in luoghi estranei. Di contro, l’assenza di chi manca, si fa presenza, visualizzata in energia e sentimento più tangibili di carne e ossa.È in ciò, il dì di ferragosto, possibilità di redenzione, riscatto, riflessione tutta umana e semplice. Consiste, il dì di ferragosto, in ascesa nascosta in una foglia secca, che riposa tra i binari di un tram, in una panchina verde finalmente in pausa, almeno oggi esentata dal peso di culi e trippe estranee. Consiste, la catarsi di ferragosto, nei trambusti che vanno in stallo, inesorabilmente, per poi precipitare, schiantandosi sui chiusi per ferie, planando dolcemente sul fondale del cuore.Nel dì di ferragosto, il deserto invade la città, la città si fa deserto, elargendo al viandante l’occasione di farsi eremita tra cattedrali fantasma di centri commerciali, mostrando la vanesia vacuità di stolti brulichii d’altri giorni stressati.
È, il dì di ferragosto, festività materica, del tutto antipodica e ostilmente antagonista al pomposo spreco di sovrabbondanza regalizia, nonché natalizia. Di fronte allo sferzare del poco che conta e del poco che resta, ben poco può la menzogna d’ascese madonnare. L’ineluttabilità del grigio, l’andatura randagia del piccione, pure la merda rinsecchita sui marciapiedi, richiamano all’ineluttabile disinganno di ciò che conta alfine, poiché alfine solo ciò pesa. Nel dì di ferragosto, le pliche di grasso dello spreco di capodanno, vengono rosicate fino all’osso. Questo regalo ci fa il ferragosto, porci di fronte al discernimento nudo e crudo, ossificato un attimo prima d’esser polvere.Tra alberi stanchi, tra sparute presenze umane tanto preziose perché tanto rare, il ferragosto è per me giornata bella, poiché malinconica e triste. È, il dì di ferragosto, il giorno in cui odo una fievole brezza d’armonia eufonica, di voci sussurrate dal passato di una realtà altra, sirene che chiamano a un impaziente, altrove futuro. Come nel dì dei morti, così è per me il dì di ferragosto nella mia città che oggi spartisco con pochi altri, molti dei quali accomunati in elezione di compresenza, in afflato di sentire che ferragosto, inevitabilmente, infonde in chi resta.
Tra rami spogli nelle gelide sere del due novembre, tra saracinesche abbassate nell’asciutto sole impietoso, l’anima mia ritrova agiatezza, familiarità, requie insomma. Sarà incomprensibile ai più, la cui incomprensione molto conforta l’esser mio, ma soltanto in certi momenti d’arida, lucida assenza di inutile sovrappiù, io mi irroro. Assorbo l’essenza di un sapore aspro, amaro al punto d’essermi dolce.Ogni anno, al dì di ferragosto passato in città, mi ricalibro, mi si para di fronte tutto il fardello così inutile degli altri dì, e con occhio fermo lo fisso, rilevandone la messa a fuoco di futile spreco d’energie.
C’è chi, nel dì di ferragosto, pauroso di ascoltare il silenzio della propria vita, timoroso di sentire l’eco di pensieri sgraditi, fugge affannandosi in luoghi affollati, cercando di assordarsi nella calca di altri corpi, nella bailamme di false risate di marcia allegria. Nessuna invidia per tanti esseri smarriti e spiaggiati come branchi d’otarie che cercano di stordire l’inquietudine dei loro smarrimenti dentro l’ubriachezza abbronzata di cocktail, corpi rifatti e anime sfatte. Cercano, costoro, d’esorcizzare la paura del restare soli, nascondendosi nell’illusione degli schiamazzi in località amene di scelte, come sempre, condivise. Banali, fallaci, angosciose in quanto tali.Il dì di ferragosto torna, come rovente alito di simun che prosciuga e sbriciola ogni calcare di vita. Torna, madido d’invisibile umore d’antica opportunità d’anacoreti e stiliti.E gliene sono grato, nel mio esser solo, sorseggiandolo puro.
In compagnia delle mie accaldate anatre.
K.

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