
di Pasquale Allegro
Per la decima edizione di Ricrii, la rassegna teatrale della compagnia teatrale Scenari Visibili, è andato in scena “Patres”, il nuovo spettacolo di e con Dario Natale e Gianluca Vetromilo. Raccogliendo il testimone del testo Onora il Padredel drammaturgo Saverio Tavano, la piece vede la collaborazione artistica dello stesso Tavano e quella tecnica del sempre accanto Pasquale Truzzolillo.

Nell’epoca del tramonto del padre, per cui non c’è sgomento più grande che crescere senza punti fermi da cui partire e a cui approdare, s’apre il sipario su un novello Telemaco, cieco dalla nascita, intento a guardare il mare (“metto le mani avanti e lo sento”), nell’attesa che quel padre ritorni, che qualcosa che rassomigli a un padre faccia ritorno. Dario Natale, irsuto in volto come da navigato pescatore, è quell’Ulisse dapprima premuroso ma poi in fuga da tutto, da sempre, per una smania di ricerca o per una fuga da troppe responsabilità.
Il testo, trascritto in vernacolo, e puntellato anche dei racconti di un padre visivamente acciaccato dal dovere di crescere ed educare un figlio, si svolge poetico e a tratti sprezzante, divertito nei suo accenni alla leggerezza di un vivere al di fuori della realtà, in un rapporto tra padre e figlio che si fonda sulla narrazione di quel mondo: “A me piace quando mi racconti delle storie...”, è la ricorrente preghiera del giovane affascinato dalle gesta degli eroi dei mari, in una candida interpretazione di Gianluca Vetromilo, il quale riesce a condensare la tenerezza ingenua di una tabula rasa di sensazioni con le physique du roledi un ragazzone avido di esperienze.
Ricalcando quello che ormai è uno stile incarnato dalla compagnia, nell’assenza di una costruzione visuale artificiosa, nella tipica ricerca di essenzialità del lavoro sulla presenza scenica - cosicché dai soli movimenti scaturiscono improvvisi messaggi e drammaturgie - in un unico atto si stempera un ritmo alto, ma con il consueto tono dimesso.Certo, trattare temi come quello della piaga dell’abbandono, della perdita del ruolo atavico e autorevole di pater, può far correre il rischio di trattenere un messaggio al di qua degli steccati artistici, di ricercare l’adesione immediata del pubblico, lo scroscio degli applausi; di promuovere insomma un’operazione di retorica e moralismo. E invece nello spettacolo vengono messi a fuoco dei profili così fuggevoli dagli stilemi della semplice critica al costume, da ospitare in scena la poetica di una favola amara: un principino di un regno tutto suo, che cresce nell’ambito di un nodo alla caviglia, lo stesso spazio i cui confini invece l’immaginazione del suo sguardo interiore non conosce:“Quando mi racconti le storie, io ci vedo”.
E così Patres c’invita forse a dare un futuro ad ogni Telemaco, acolmare l’assenza; si rivolge a noi che non sappiamo più essere padri, noi che siamo sì estranei alle arti della scena, ma siamo pur sempre spettatori e pertanto tenuti a chiudere il cerchio, perché “gira e rigira qua si torna” dice Telemaco, davanti al mare che non si riposa mai.(da L'Ora della Calabria, 03/10/2013)
foto di Pasquale Cimino






