Nel nome di ieri mi ha permesso di conoscere, almeno letterariamente, Giuseppe Cristaldi. Dev’essere un autore tosto: uno di quelli che legge e riscrive la complessità quotidiana, a partire dai dettagli, dalle storie dei singoli, dai pezzi trascurati che però sono schegge d’eternità.
Il suo ultimo romanzo, uscito per Besa Editrice, realtà editoriale salentina, con cui aveva pubblicato già in precedenza, comincia così: dimenticare è un po’ come condurre i ricordi al macello. Ingoi un “caspita!” (va bè, ho ammorbidito l’espressione!) e decidi di immergerti in quella che non sarà una lettura semplice.
Nel nome di ieri non è un romanzo da leggere prima di andare a dormire, è preferibile dedicarsi alla lettura di giorno, così lo si può assimilare nelle ore a seguire. Chi legge per passione sa bene che con ogni libro nasce una relazione unica, con reazioni specifiche e sentimenti talvolta contrastanti. Insomma, leggere non è mai un’attività meccanica, magari ostica, ma mai meccanica, perché comporta energie anche spirituali e una buona capacità di risoluzione di conflitti.
Sì, Nel nome di ieri ha creato in me evidenti conflitti. Anzitutto mi ha innervosito l’uso eccessivo (soprattutto all’inizio, poi mi ci sono abituata o effettivamente il fenomeno si è ridotto, non mi è ancora chiaro!) di termini dialettali – poi ho compreso il perché. Mi ha appesantito l’anima, portandomi a chiudere quasi con rabbia il libro e a fare lunghi respiri per interrompere a tratti la lettura. Mi ha quasi esasperato l’aggiunta minuziosa di dettagli senza fatti.
Eppure, ho capito che il dolore amplifica la vita, perché è direttamente proporzionale all’amore e l’amore amplifica le visioni, perché tutto sta nei particolari, negli epiteti, nelle ripetizioni sfinenti (quei tremila denti bianchi e i tatuaggi). Tutto acquista senso nei frammenti e dai frammenti si restituisce la vita.
Pagine e pagine pesanti come lamiere, l’incombere greve e grave di una fatalità percepita e che in sostanza non si vede, l’ossessione di non arrendersi. Ecco, allora, quando ormai Nel nome di ieri mi aveva condotto a conclusione, mi è dispiaciuto staccarmi da quel pugno di vita, dalla caparbietà di chi sta al mondo non per sopravvivere ma per sognare, dalla persistenza di un sorriso a tremila denti.
Nel nome di ieri è, dialetto abbondante a parte, un romanzo poetico, romantico, ossessivo, fastidiosamente vitale, insistentemente reale. Sporca chi lo legge di farina e amore, di sogni e promesse mantenute. Lascia addosso l’aroma del sacrificio, o meglio, del sacrificarsi per un sogno scalzo. Apre scorci di un Sud che a volte s’arrabatta ma sa osare, che manda all’aria la miseria e s’indebita di sorrisi, paga con il sudore e vive di cuore.
Nel nome di ieri c’è la vita per sempre.