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Nel Primo Mistero don Pizzarro tenta il miracolo di redimere i partiti in crisi

Creato il 28 settembre 2012 da Cremonademocratica @paolozignani

Un’analisi ‘follemente lucida’ (mi si passi la locuzione, che intendo naturalmente nella sua accezione migliore) sull’iniziazione alla politica. La recluta che – addestrata – diventa soldato scelto. Il novello cooptato dal partito, che ne diventa membro effettivo. Un percorso, “meccanismo di riproduzione della Casta” – scrive Zignani ben sviscerandolo anche nei suoi aspetti più reconditi, ossia apparentemente ‘invisibili’ al popolo – su cui mi permetto di dissentire in alcuni passaggi. Con una piccola premessa: ogni

Nel Primo Mistero don Pizzarro tenta il miracolo di redimere i partiti in crisi

Simone Martini, polittico del beato novello

riferimento a fatti o perone esistenti è puramente casuale. Vero: il partito ‘pesca’ tra coloro i quali sono già rappresentativi territorialmente o socialmente (presiedono enti o istituzioni, dirigono cooperative… Ribadisco: i miei sono semplicemente esempi). Il partito rimane sì passivo nel momento in cui l’aspirante politico porta il suo gruppo di riferimento, il suo bacino di consenso all’interno dello stesso. Un minuto dopo, però, ed è questo il punto su cui mi trovo in disaccordo rispetto alle valutazioni di Zignani, il partito lo irreggimenta. Irreggimentare è forse una parola forte, ma è naturale che all’interno di un movimento politico ci siano regole. Ci devono giocoforza essere. E per regole intendo una linea da seguire, quel “messaggio innovativo” che non deve perdere la sua originalità, la sua ragion d’essere per un eventuale conflitto di interessi di cui si potrebbe fare portatore il nuovo elemento inserito. Per questo motivo a me sembra che il consigliere comunale (carica, nomina di prima battuta), al netto di qualche eccezione (ripeto: qualche eccezione c’è), deve essere bravo a contemperare gli interessi del partito – al quale volente o nolente deve rispondere rispetto ad ogni ‘uscita’ (intervento in Aula, intervista ai giornali…) facendone ormai parte a tutti gli effetti – alla coltivazione/mantenimento di quel bacino elettorale che lo ha lanciato in politica, gli ha garantito l’elezione, esige tutela. E non sono d’accordo nemmeno sul fatto che il popolo, i cittadini-elettori, sia all’oscuro di questo meccanismo. Il cittadino si accorge eccome. Il cittadino attivo, attento, responsabile, chiaramente. Si accorge fino a che punto il ‘suo’ rappresentante sta difendendo i suoi interessi e quando invece comincia a portare avanti quelli del partito. La politica è compromesso, confronto, diplomazia. Armonizzazione – se e per quanto possibile – di esigenze divergenti. E – soprattutto – rinuncia: rinuncia ad una parte della propria autonomia. Potrebbe sembrare superfluo dirlo, ma non lo è perchè non mancano esempi che vanno nella direzione opposta: chi vuole tentare l’avventura politica dovrebbe farlo dalla parte che più sente vicina a sè ideologicamente, culturalmente. Si troverebbe – nella peggiore delle ipotesi – a limitare le proprie rinunce. Ciò che non deve fare un politico, anche se ‘in erba’, è dare l’impressione di essere sibillino, ambiguo, criptico nelle posizioni, nelle dichiarazioni. Non pienamente convinto delle sue scelte. Non è per niente facile scendere a compromessi senza passar per “traditore”. Un buon politico – o almeno chi si ritiene tale – deve saperlo fare.

E’ lapalissiano – e concludo con una considerazione sulla necessità di rinnovamento delle classi dirigenti – che la palingenesi di una forza politica passi attraverso la cooptazione di nuovi elementi, possibilmente giovani. In grado di garantire una ventata d’aria nuova (sia chiaro: non intendo necessariamente migliore. Aprire le finestre non significa far entrare aria più salubre di quella che esce). E comunque a patto di non snaturare la mission di un gruppo (stavolta quello politico) che ha tutto il diritto di portare avanti idee e proposte, elementi fondanti di un disegno più grande, di lungo periodo. Beninteso: con chi ci sta.

Don Pizzarro

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