Caro Augias,
Ho letto il suo articolo dal titolo “Non era poi tanto male il regno di Ferdinando II di Borbone” , pubblicato a pag. 93 del Venerdì del 26 luglio, nel quale, parlando del libro “Borbonia Felix” di Renata De Lorenzo, contrappone una certa lettura in chiave sudista, diffusa durante durante il 150° dell’Unità d’Italia, agli aspetti critici del Regno dei Borbone che, a detta dell’autrice, frenarono nel Sud il processo di modernizzazione e unificazione avviati nel resto del Paese.
Mi sembra che fermarsi a queste puntualizzazioni possa inibire un processo, in corso nelle regioni del Meridione, molto importante per una ripresa seria dell’evoluzione democratica dell’intero paese, e del quale vorrei metterla al corrente.
Sono nato in pieno boom economico, il periodo migliore che si ricordi per l’Italia, no? Lo è stato a tal punto che ho vissuto i miei primi quindici anni in Venezuela al seguito della mia famiglia, emigrata in cerca di fortuna e poi rientrata in Italia con la coda tra le gambe. Oggi gestiamo, con molti sacrifici e minacciati di sfratto, una piccola attività ricettiva nel salernitano, che impiega, oltre me, quasi tutti i miei fratelli e i loro compagni e coniugi.
Come molti ex-ragazzi della mia generazione, nati al Sud e con questo tipo di esperienze alle spalle, non ho concluso gli studi, fermandomi prima del diploma di terza media. A differenza di altri però ho deciso di non tornare emigrante e, dal rientro dal Venezuela, ancora vivo (in ristrettezze e con una certa paura del futuro) in un paesino di poche migliaia di anime del quale conosco ogni luogo, abitante e umore.
Fino a qualche anno fa anche io, come altri, davo per scontato il dover sottostare a un senso di sudditanza e di inferiorità latente nei confronti della popolazione del Centro-Nord Italia, che ho conosciuto durante alcuni viaggi, e soprattutto perché frequenta stagionalmente la nostra paninoteca-birreria.
Sarà perché l’età avanza e perché, specialmente in inverno, non c’è molto da fare in un posto piccolo e decentrato come questo, e quindi leggo molti libri, oggi sono approdato ad autori (partendo da Pino Aprile con “Terroni”) che trattano in modo approfondito il tema di cui parla nella sua recensione, e le cause delle condizioni sia materiali che psicologiche nelle quali versa la nostra popolazione. E anche grazie all’aiuto di internet (col quale mi immergo in lunghe ricerche negli archivi più disparati) ho conosciuto aspetti meno noti del passato di queste terre e accresciuto l’orgoglio che prima d’ora non ero riuscito a far valere parlando con interlocutori settentrionali.
Insieme alla consapevolezza è sopraggiunta la voglia di rimboccarmi le maniche per diffondere il mio stesso sentimento, e la conoscenza che lo sostiene, a ogni persona che incontro, nel mio paese come nei giri “virtuali” di amici che i social network per fortuna consentono (facendo superare le barriere fisiche, climatiche e infrastrutturali che purtroppo ancora oggi isolano un luogo da un altro perfino tra frazioni dello stesso Comune).
Le devo dire che sono rimasto sorpreso nello scoprire quanti altri si sono già emancipati dai vecchi pregiudizi, seguendo pressappoco il mio percorso. E come la nostra riappacificazione col passato e cel resto d’Italia, stia a poco a poco modificando anche le abitudini mentali altrui, che troppo spesso ancora si affacciano, più o meno consapevolmente, durante le conversazioni tra appartenenti a diverse zone della Penisola.
Io vedo che qualcosa sta cambiando.
Se una turista del nord si ferma sulla soglia del locale, sentendomi suonare alla chitarra classica un brano del settecento napoletano, si avvicina in punta di piedi sorprendendosi che non si tratti di Händel come credeva, e poi si trattiene a parlare, accettando di buon grado il confronto e l’ascolto anche del mio punto di vista sulle varie questioni. C’è la crisi per tutti, e oggi è diffuso da Nord a Sud il desiderio di approfondire, andare oltre i vecchi schemi. Io sono un tipo che si accalora. Da giovane ero capace di partire con certe arringhe che sfociavano in aspri contraddittori, adesso a volte la gente mi ferma subito e mi dice “Ma lo sai che hai ragione?”
Mi viene un po’ da ridere scrivendolo, ma questa situazione quasi mi mette a corto di argomenti.
Anche io credo che l’Unità d’Italia sia qualcosa ancora di là da realizzare, ma mentre a vent’anni mi impuntavo sulla necessità di una rivolta popolare, oggi che ho intorno tanti altri, e soprattutto giovani, che la vedono come me, credo nella possibilità di una vera rivoluzione. Ma che passi per la diffusione della conoscenza della reale storia del nostro paese, e di una cultura non condizionata dal sentito dire, o riferita così com’è riportata superficialmente nei libri di scuola.
Una rivoluzione che ci veda impegnati insieme, gente del Nord, del Centro e del Sud, senza bisogno di combattimenti cruenti ma, condividendo l’ideale di un’uguaglianza piena, soprattutto nella dignità, che porti allo scatto evolutivo necessario per la sopravvivenza dell’intero Paese.
Sempre che la sentenza su Berlusconi abbia le conseguenze che mi auguro, in termini di liberazione da un giogo materialmente insopportabile, il passo successivo potrebbe essere il raggiungimento di quell’ancora mai sperimentato senso di unità nazionale, attraverso la responsabilizzazione del singolo per la realizzazione e la tutela del bene comune. Arrivati a questo, sarà poi molto meno pesante tentare di risollevare l’Italia dal baratro di questi tempi.
A sostegno di questa tesi, e senza voler contrapporre al suo suggerimento di lettura il mio, le vorrei consigliare il libro che in questi giorni ho per le mani:
Eugenio Di Rienzo, “Il Regno delle due Sicilie e le potenze europee, 1830 – 1861”, Ed Rubettino 2012.
Spero che lo legga, e che le venga voglia di recensirlo.
Nick Brigante