“La Pittura con filosofica e sottile speculazione considera tutte le qualità delle forme: mare, siti, piante, animali, erbe, fiori, le quali sono cinte di ombra e lume. E veramente questa è scienza e legittima figlia di natura, perché la pittura è partorita da essa natura; ma per dir piú corretto, diremo nipote di natura, perché tutte le cose evidenti sono state partorite dalla natura, dalle quali cose è nata la pittura. Adunque rettamente la chiameremo nipote di essa natura e parente d’Iddio”
Così nel “Trattato della Pittura”, Leonardo da Vinci riferiva dell’arte la natura prossima a Dio, al sacro, tema che, con il passare del tempo, è divenuto colonna portante di tutta la poetica pittorica di Adriano Rossoni, artista poliedrico i cui lavori sembrano avere forma ed espressione tenuta a fili tesi, di tratti significanti e ritmici.
I suoi dipinti monocromatici hanno l’ordine della chiarezza dello spirito che non si avvale di colore per mettersi in luce, ma traggono dal tratto crudo della matita la forza dell’espressione. Questa scelta è definita dall’artista “filosofica” e rientra nella sua percezione della vita fatta di scoperta e gioco di luci ed ombre, da cui le cose piatte acquistano rilievo. In questo gioco, niente viene sacrificato al colore, non c’è ricerca del roboante, quanto un semplice muoversi tra luce e tenebre,in quell’intermedio che partecipa ad entrambe, come un’ombra chiara, una luce oscura: la bellezza che ammalia.
Il monocromo toglie la componente cromatica, evita la dispersione dell’attenzione sulla differenza tonale, sulla differenza di superficie degli oggetti e concentra l’attenzione dell’osservatore sullo spazio che, prima di essere fisico è spazio mentale ed espressivo. Il monocromo mi permette di lavorare a maggiore profondità e in forma più mirata”
Del monocromo, l’artista ha percorso tutte le tecniche e usato i diversi strumenti, fino ad arrivare a prediligere la matita, il cui aspetto metallico, un po’ duro, gli permette di entrare nel dettaglio, riuscendo a mettere a fuoco alcuni percorsi mentali che con altri strumenti non è possibile fare: “Chi conosce le tecniche può verificare che la fusaggine ad esempio, lo strumento più antico per eccellenza, può dare effetti raffinatissimi, estremamente delicati, ma non riesce ad essere drammatica quanto la matita, come pure la contè non riesce ad essere drammatica quanto la matita”. La matita aggiunge: “crea un distacco tra l’osservatore e l’oggetto che viene osservato… priva del contrasto del bianco, stemperato lentamente e utile a mettere a fuoco gli elementi simbolici”.
Adriano Rossoni è docente all’accademia di Santa Giulia a Brescia dove insegna l’arte del Disegno. Ha, fin da piccolo, coltivato la passione per l’arte, fin da quando il padre lo portava con lui al circolo dove si giocava a carte e lui disegnava, con il gessetto sulla lavagna segnapunti, sotto lo sguardo divertito e ammirato dei giocatori. A quattordici anni realizza il primo dipinto murale sulle pareti del salotto di casa, ma il suo primo vero quadro, di cui ha memoria, è una commissione sul tema dell’uomo a diciassette anni: tema surreale, con uomini che uscivano da grandi manichini dechirichiani; a seguire un Cristo albero, la cui corteccia era composta dalle sofferenze dell’umanità…
La componente metafisica dell’arte e il tema della sofferenza patita per riscattare terzi hanno sempre suscitato il suo interesse, fin dall’ inizio del suo percorso artistico. Le sue opere, sono tutte frutto di intuizioni autonome all’interno di un discorso che si apre e si chiude in un singolo disegno, colmo di interazioni e simboli che egli cerca di sottrarre alla realtà e all’interazione profondamente simbolica della realtà con l’uomo: “credo che la realtà sia altro da ciò che appare e che porti con sè molti significati che ci appartengono, nonostante spesso ci sfuggano”. Parliamo di figurazione simbolica in cui la figurazione è il punto di arrivo dell’astrazione, aiuta a pensare, a capire che c’è una realtà possibile, un futuro possibile, un dialogo possibile tra l’uomo e la realtà, tra l’uomo e la natura e che la realtà, come in epoche mitiche, parla all’uomo: “Serve solo che l’uomo reimpari l’arte” dice l’artista.
Nei suoi ultimi spolveri, di due metri per sette, l’artista descrive Gesù in croce con i due ladroni e la sua deposizione dalla croce. Immagini che interrogano sul senso della vita e ispezionano la morte oltre il velo che strappa alla vita. Così, Rossoni si raffigura come carnefice nell’atto di strappare fisicamente la mano di Gesù dal chiodo. Non c’è tempo per gli attrezzi, il sabato si avvicina e non si può lavorare, non si può dare sepoltura ai morti: tutto deve compiersi e nel più breve tempo possibile: “nel rispetto delle forme, si dilaniano i corpi, anche il corpo di un Dio”
“Ma Cristo è morto e non ha più dolore” gli dico. “Ha già versato il sangue. Va riposto!” aggiungo.
“Non è il dolore, la sofferenza darebbe un senso all’operazione. Togliere senso al rispetto del corpo, sostituirlo con il rispetto della forma, lì è il sacrilegio!” mi dice.
Ad accogliere il corpo del Cristo vi è la Madre, una prima madre, terrena e materna, sofferente del pungolo delle spine del figlio, la testa poggiata a quelle: abbraccia il corpo morto del figlio come fosse ancora vivo. Una seconda madre: “la vergine sposa che perde il figlio uomo ritrovando il Dio. Non può più amarlo, solo adorarlo, teme anche di toccargli la mano. Si sente solo degna di abbracciargli il piede. I due ruoli…l’adorazione impedisce il protrarsi di un rapporto paritetico. Il tema del sacro implica una riflessione sull’interazione tra amore e adorazione, chiedendo al primo un avvicinamento e alla seconda un distanziamento. In questa tensione prende corpo la verità della natura umana, a mio avviso” dice l’artista.
E’ da specificare che per Adriano Rossoni il sacro non è da limitare alla sfera religiosa, ma è coscienza potenziale di rapportarsi alla realtà delle cose, di ritrovarvi il senso vero che, pur nascosto, si lascia sempre intravedere e dà significato alla vicenda umana. In un suo lavoro degli anni ottanta, la coscienza è rappresentata dall’unica figura femminile che, tra manifestanti senza volto, anonimi, guarda verso lo spettatore come a guidarlo nella lettura dell’opera: la violenza è inutile, non porta a nulla, tantomeno alla trasformazione positiva della società, sembra dire.
Un anonimo guerriero posa l’elmo del conflitto sul cadavere, mentre scale mobili portano verso un capitalismo trionfante e l’unica parola rappresentata è: Uscita. Una indicazione quasi profetica, come una liberazione alla fine di un percorso inteso come sacra rappresentazione, dove gli uomini, sebbene in ruoli diversi cercano un’uscita, un fine ultimo: la sacralità del vivere nel miglior modo possibile.
Ancora una donna, ancora lei che a viso scoperto in nuda solitudine, monocroma e intagliata dalla parola muta, ci guida in un mondo illuminato da una luce che, dall’alto di un soffitto ingombro di forme ricamate a dovere, dà senso ad ogni parte di cui il quadro è composto.
Lei, in primo piano, con alle spalle il quadro del David “La morte di Marat”.
“L’eroe è morto” annuncia con calma e distacco quasi sereno Jacques-Louis David. I colori sono annullati, ridotti al minimo. Il sangue è appena accennato, il cadavere è composto: la morte è indicata solo dall’abbandono del braccio e della testa appoggiata al bordo della vasca. Lo stesso braccio che, nel quadro di Adriano Rossoni, un uomo, dal volto coperto e anonimo, lascia cadere a sfiorare ali tenute ferme dal femmineo piede di luce della donna.
Gli angeli sono caduti dalle loro ali! Niente è rimasto! Sembrerebbe la disfatta, ma anche una perdita può unire una donna e un uomo, con tocco di piede e mano: la donna è vigile! Sembra vegliare, custodire la rivelazione. Sta nella luce e ne diviene faro, in uno spazio angusto dove l’ uomo, dal volto coperto e il corpo protetto da lenzuola, sembra un morto in un sudario d’amore, ma ancora non sa di come si sta svegli e soli, quando l’amore è anonimo, non è di facce e corpi che si svelano. Di questa donna in attesa del risveglio dell’uomo, con le mani, l’una sull’altra, messe tra le gambe, come ad argine di cintura alla sua natura feconda, ne sentiamo la preoccupazione, la bisbiglia tra le labbra semichiuse. Un’opera che sembra voler esaltare la natura potente della donna, il mistero che le è connaturato e di cui l’uomo può solo sfiorare con tocco di mano, se arreso a sonno.
la luce ma anche l’ombra o lo stesso biancore
nessun volto o uomo può essere ostentazione
monito, distruzione
solo ombra chiara segnata luce scura
e chi veglia è figlio
ai piedi di una croce
come vela di mare che ci possiede
siamo fondo e schiuma d’aria
e deponiamo
armature a smantellare corpi, nudi
perfetti carnefici o uomini divini
ognuno umano risorga
da chiodi non il sangue ma la speranza, che
la morte non sia un salire
su scala vincente in larga via
ma un lasciarsi come piuma cadere
tra braccia d’amore che mute
cantano.