Stavo facendo questa riflessione l'altra notte, al rientro dall'ennesima serata di cucina (in effetti da food-blogger sto diventando food-trotter) dedicata ai corsi che, per quanto impegnativi e intensi, anche da un punto di vista fisico, stanno diventando sempre più importanti e motivanti. La frase e' tratta da "1984" di George Orwell, uno dei romanzi più profetici che lessi da adolescente, dopo "Viaggio sulla luna" di Verne.
Ascoltavo il radiogionale di mezzanotte e se l'ennesima flessione della borsa presentava un conto disperato in decine di miliardi di euro di capitale bruciati in poche ore, un barlume di speranza giungeva da una rilevazione Istat: sempre più giovani decidono di abbandonare la ricerca del lavoro per il quale si sono formati, in anni di studi, per dedicarsi alla cura della terra e degli animali. Contadini e pastori, professioni dalle quali erano fuggiti i loro genitori e che non avrebbero augurato neppure ai peggiori nemici, con la laurea in chimica o in lettere antiche affrontano albe umide, mungitrici meccaniche e i capricci del tempo nell'immutabile susseguirsi delle stagioni. Mani e volti appena segnati, come nelle foto ingiallite dell'album di famiglia, per costruire il futuro che chi ritiene più utile far lavorare i soldi piuttosto che gli uomini ha portato via loro.
L'intervista che seguì la notizia svelò una voce giovane, intelligente, quasi priva di inflessioni, di un giovane che parlava sorridendo di questa ponderata scelta di vita. E invitava altri giovani a seguire le sue orme, per ripopolare quelle campagne e quelle terre che hanno tradito ed illuso molto meno di quanto non abbia fatto la città e quella promessa da pifferaio magico chiamata "progresso".
Forse non è una moda e forse non è neppure solo necessità. E' una nuova consapevolezza, come vent'anni fa accadde con Slow Food: oggi non si tratta solo di mangiare ma di vivere veramente slow, come se Esopo lodasse le qualità della mite tartaruga a discapito delle furbizie della scattante volpe.
Una rivoluzione gentile quella che partendo dal rispetto della terra e degli animali dei quali ci nutriamo arriverà alla tanto chiacchierata profezia dei Maya: non la fine del mondo ma di quel mondo che sta togliendo tutto a troppi.
Casarecce, Castraure e Noci: al contadino non far sapere! Ingredienti (per 4 persone)320 gr di pasta corta Casarecce Garofalo, 6 "castraure" o Carciofi Violetti di Sant'Erasmo, 1 cipollotto, 2 scalogni, 1 cucchiaio di basilico e 1 di prezzemolo freschi tritati, 2 cucchiai di gherigli di noci, le zeste di 1 arancia bio, 1 limone bio, pepe nero lungo, vino bianco secco, ricotta salata, olio evo, sale.ProcedimentoMondare appena i germogli di carciofo, tagliarli a metà, togliere l'eventuale barba e tritarli finemente. Porli in un terrina unitamente al succo di un limone.Tritare il cipollotto e gli scalogni e rosolarli in una padella con un filo d'olio evo. Unire i carciofi tritati, rosolare il tutto per qualche minuto, spruzzare con un po' di vino bianco secco, abbassare il fuoco e cucinare per qualche altro minuto ancora. Unire il prezzemolo e il basilico e i gherigli di noce tritati grossolanamente in un mortaio o con un coltello.Nel frattempo lessare in acqua salata la pasta, toglierla al dente e comunque calcolando un minuto in meno rispetto a quanto riportato sulla confezione, versarla sulla padella e saltarla per un paio di minuti aggiungendo un paio di cucchiai di acqua di cottura messa da parte. Aggiungere le zeste di arancia e servire su piatti caldi con una grattugiata di ricotta salata.