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Nell’acquario di Facebook

Creato il 17 luglio 2012 da Ilcasos @ilcasos

Ippolita, Nell’acquario di Facebook. La resistibile ascesa dell’anarco-capitalismo, Ippolita.net, 2012.

Nell’acquario di Facebook
Se pensate che Facebook sia uno strumento come un altro, ciò che conta sia il messaggio e non il mezzo di comunicazione, se pensate che nella vostra identità digitale non risiedano rischi per la vostra identità reale, non leggete Nell’acquario di Facebook, il nuovo libro di Ippolita[1]. A meno di non voler cambiare radicalmente opinione.

Il libro, disponibile online anche in versione gratuita, si sviluppa in tre sezioni. Nella prima ci si addentra nei meandri delle relazioni e delle identità nel mondo del web 2.0, nella seconda se ne scoprono le (inquietanti) premesse e nella terza scopriamo diverse sfaccettature del concetto di libertà, da Wikileaks ai gelati in salamoia.
Anche se il testo si conclude con un briciolo di speranza, il panorama che emerge non è dei migliori. L’anarco-capitalismo propugnato dai libertariani, in cui l’unica vera libertà importante è quella di consumare, ci avrebbe infatti introdotte e introdotti in un mondo in cui, felici e contente, ci siamo fatti schedare, appiccicare un’identità (per associazione o inviando ogni giorno informazioni su di noi tramite social network e motori di ricerca) che se da un lato può aiutare le aziende, dall’altro può favorire la repressione o l’emersione di soggetti politici pericolosamente antidemocratici.
Insomma, le distopie cyborg che Donna Haraway paventava alcuni anni fa (in cui si presentava un mondo in cui la tecnica era al servizio di eserciti e controllo) sembrano essersi fatte carne e rete, mentre le resistenze che vi si oppongono sembrano schizofrenicamente dividersi tra uso iperspecializzato della tecnologia (ad esempio la crittografia) e luddismo.
Per di più, il mito della condivisione, della nuova grande Alessandria, si sgretola a fronte dell’analisi di come il sapere-potere viene concepito, realizzato, messo in circolo.

Speranze? Poche, anche a fronte di una sempre più diffusa enfatizzazione di un attivismo da tastiera che si è rivelato fallimentare nei mesi successivi alla primavera araba[2]. Forse l’unica via di uscita sono le tecnologie conviviali, fare di nuovo proprio un concetto di libertà che si moltiplichi con il moltiplicarsi degli individui (e delle loro possibili identità, sempre sfaccettate), fino, appunto, a poter mettere le mani sui computer come sui gelati, magari in un’ottica di decrescita energetica, problema “scottante” dei nostri tempi.

Vedi anche:


(colonna sonora)

Note   (↵ returns to text)
  1. Ippolita è un gruppo di ricerca e collettivo di scrittura conviviale che lavora dal 2005. I suoi lavori sono disponibili sul sito ippolita.net↵
  2. Ad esempio il libro riporta: “Nell’aprile 2010 il direttore dei nuovi media di Al Jazeera, Moeed Ahmad, riferiva in merito all’enfasi posta sull’uso di twitter durante l’Onda Verde iraniana da parte dei media occidentali: Credo che Twitter sia stato usato troppo, anche da quei canali di informazione che lasciavano in video i tweets sull’argomento, senza fare nessuna verifica sulle fonti. In quel caso noi avevamo identificato cento fonti attendibili, di cui sessanta si sono rivelate utili. Nei giorni a seguire, di questi solo in sei hanno continuato a dare informazioni.Credo sia importante considerare che in Twitter solo il 2% delle informazioni sono originali, il resto è re-tweeted. Individuare la fonte delle informazioni, e lavorare su questi, ecco la strategia che consente di utilizzare correttamente i social network nell’informazione”, p.64.↵
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