Pare un film virato sui toni dell’azzurro. Una luce gelida filtra a chiazze dalle nubi, i lampioni aggettano un inutile barlume sugli alberi scheletriti. Le otto di mattina, non c’è pace tra le manovre delle automobili fuori dai parcheggi e filari di ragazzi intorpiditi che picchiettano sui cellulari. L’aria fredda contiene l’apertura degli sbadigli che galleggia a mezza bocca. Non pare nemmeno sia natale, sebbene le luci d’artista infiocchettino la città a suggerire un’atmosfera che si vorrebbe festosa. Circola, palpabile, un livido timore per la crisi economica che sta accadendo o potrebbe ancora. Da lontano voci e fischi, slogan scanditi e piedi sbattuti sull’acciottolato. I precari dell’ultima età e della ultima ora reclamano attenzione, ma questo è un tempo disgraziato in cui la protesta si solleva classe contro classe, generazione contro generazione, lavoratori contro lavoratori, interessi contro interessi. I ceti più disagiati attaccano frontalmente i privilegi borghesi e i borghesi si arroccano sui diritti acquisiti; i giovani stringono i pugni contro l’eredità tremenda che i vecchi lasciano sulle loro spalle, i vecchi li accusano d’irriconoscenza ed egoismo. Il tessuto sociale si scuote, si tende, infine si squarcia con uno strappo secco. Homo homini lupus, come sempre accade nei passaggi epocali più duri. Alla fine di questo tempo recessivo, anche nelle condotte, ricucire la ferita sociale sarà impresa problematica.
Ma, poco fa, ho assistito a una scena che mi ha colpito. All’incrocio tra due vie, ferma sul marciapiede, c’era una giovane donna. Indossava un cappotto chiaro e sulla spalla portava una borsa piena di libri. Nella sua mano teneva quella di un uomo, il quale le rivolgeva la parola facendo nuvolette con il respiro. Il loro sguardo puntava di tanto in tanto all’altro capo della strada dove, di fronte all’ingresso di un liceo, stazionava una piccola folla. Mi sono ricordato allora che, quella mattina, doveva svolgersi un concorso e la donna era probabilmente tra i candidati. Non udivo distintamente ciò che i due si dicevano, però mi sembrava che l’uomo la rincuorasse, con il desiderio di rendere più sopportabile l’attesa. Cingeva affettuosamente i suoi fianchi e lei si affidava al contatto, volgendogli speranzosa il capo. Ad un certo momento la giovane donna ha posato la borsa in terra e, sfoggiando un sorriso dolcissimo, si è messa ad annodargli la sciarpa che aveva intorno al collo. Un gesto semplice che ha inondato la via come un fascio di luce. Quello scambio delicato di attenzioni lasciava percepire un sentimento di condivisione intima e piena che nessun discorso amoroso avrebbe potuto esprimere meglio. Di fronte all'angoscia che minacciava di irrompere nel loro mondo, essi stavano custoditi e protetti, invulnerabili, nell’argentea corazza della fiducia.
(Dicembre 2011; la frase conclusiva è ripresa da Martin Buber. Fotografia scattata da L.)
Inviato il 11 novembre a 09:30
un pò curiosità... potrei leggere liberamente----