Dylan Dog le ha veramente tutte. Non beve, non fuma, droghe manco a parlarne, è vegetariano, ha paura dell’aereo e soffre di qualche misterioso problema psicosessuale che lo costringe a cambiare donna ogni mese (io ho sempre pensato avesse una relazione segreta con Groucho, altrimenti non si capisce come faccia a sopportarlo). Insomma, io non inviterei mai Dylan Dog a una festa, se ne starebbe lì in un angolo a scassare i coglioni sul fatto che quel roast beef prima faceva “muuu” e, al momento di scegliere un dvd, tirerebbe fuori Frank Capra ed Ernst Lubitsch da vero fighetto snob, bollando come sessista e omofobo “La soldatessa alle grandi manovre”, il film che vorremmo vedere noi. Che Capra e Lubitsch sono fantastici, certo, e vanno benissimo se devi far vedere alla studentessa del Dams rimorchiata all’apericena che sei intelligente e sensibile. Ma con gli amici alle feste si guarda “La soldatessa alle grandi manovre”, Dylan, non rompere, su, e no, mi spiace, il tè alla pesca dell’Eurospin è finito, è rimasta solo la birra Spruzz Brau, mi sa che t’attacchi al tram, sicuro che non vuoi un tiro? E sempre ‘sta faccia lunga, pare che t’è morta la gatta, ti ci metto l’MD nel tè alla pesca la prossima volta, mortacci tua.
Almeno nei primi episodi Sclavi ogni tanto gli faceva ascoltare gli Iron Maiden. Negli anni successivi, quando la testata diventò sempre più schiava di un pestilenziale politically correct autoimposto, non ci saremmo stupiti invece di scoprire che l’old boy avesse in casa i cd dei Kings of Convenience, se non proprio della Bandabardò. Roberto Recchioni, nuovo curatore della testata (e, che io sappia, metallaro), ha evidentemente capito di dover recuperare il target dei lettori che non avrebbero più invitato Dylan Dog alle feste e nel numero da ieri in edicola, “Al servizio del caos”, di cui è sceneggiatore, ha inserito una scena dove l’indagatore dell’incubo ascolta Raining Blood in macchina (un precedente non troppo remoto è “Il giudizio del corvo”, albo uscito nel 2012, sempre scritto da Recchioni, la cui sequenza iniziale vedeva Dylan trascinarsi dietro la sgallettata di turno all’Hammersmith per vedere i Motörhead).
Nella pagina qua sotto, che precede la vignetta posta in apertura del pezzo (dopo la quale la zoccolaccia spegne lo stereo, io l’avrei buttata fuori dall’auto in corsa), è particolarmente notevole l’ultimo quadro, dove il disegnatore Daniele Bigliardo è riuscito a rendere benissimo l’espressione di esaltazione ebete e fanatica che coglie tutti noi quando ascoltiamo gli Slayer:
Giusto una cosa: SLAYER non “The” Slayer. Mica sono un gruppo indie pop degli anni duemila.
Sì, cazzo, SLAYER: