Il villaggio si raggiunge solo via fiume, attraversando il Kwai a bordo di una lancia. Prendendo come riferimento Bangkok, sono 190 chilometri in strada e venti minuti via fiume. Qui nella jungla, lungo sentieri di terra battuta, i Mon hanno costruito case con il tetto in paglia, in stile palafitta, tutte in legno. Fuori, panni colorati stesi ad asciugare davanti alle porte, vicino alle orchidee selvatiche della giungla. E un gran senso di pace. Vivono in un angolo di giungla, lontano dalle tensioni con i birmani ma ancora in bilico tra il Paese da cui sono fuggiti e quello in cui si sono rifugiati (soprattutto tra l'80 e il '97) per scampare agli scontri. Una rivalità secolare, quella tra mon e birmani, che fu cavalcata anche dagli inglesi durante la colonizzazione: con la promessa dell'indipendenza, l'impero britannico ottenne l' appoggio dei Mon contro l'etnia dominante. Neanche il raggiungimento, nel 1974, di uno Stato autonomo Mon - lungo la costa orientale del golfo di Martaban, dalla foce del Sittoung fino all'estremità nord della catena di Tenasserim - è riuscito a tranquillizzare le tensioni. E gli scontri sono proseguiti anche dopo il cessate il fuoco del 1996.
I Mon che vivono in questo villaggio si guadagnano da vivere lavorando come facchini, camerieri e altro in un hotel che si trova a pochi passi: il River Kwai Jungle Rafts. E vendendo qualche oggetto a chi riesce ad arrivare fino a qui. Hanno anche un loro teatro, per mantenere in vita le proprie antiche tradizioni che rischiano di andare perse. Sulle loro origini ci sono varie teorie. Una delle più accreditate è che discendano da indiani emigrati da Kalinga, un antico regno a cavallo di Orissa e Anndhra Pradesh. Insieme a Pyu, furono tra i primi popoli a insediarsi nel territorio del Myanmar sviluppando forme di civiltà molto influenzate dall'India.