Senza contare l’abuso perpetrato sui bambini mediante atti di violenza e sessuale, con il fenomeno della pedofilia, piaga endemica difficile da debellare. L’immagine felice e gioiosa di un bambino che gioca è l’antitesi a questi crimini, segno di un’infanzia rispettata cui è data la possibilità di crescere in armonia. Ma vi sono bambini che devono riscattarsi da soli per ottenere il diritto di vivere liberi. E’ la storia descritta da Daniel Danis, autore canadese nel suo Ponte di pietra, una storia drammatica nella sua genesi, ma anche lirica e poetica, dove s’intravede sul finale un messaggio di speranza. Una vicenda tragica che racconta la vita di due bambini, Momo e Mung, allontanati dai rispettivi genitori per salvare loro la vita, a causa della guerra che metteva a rischio la loro incolumità. Una separazione dolorosa quanto inevitabile.
Affidati a un uomo che li costringerà a lavorare in una fabbrica. Piccoli schiavi del cinismo degli adulti. La dura realtà dello sfruttamento descritto in un testo teatrale, non è altro che la realtà vissuta tutti i giorni da centinaia di migliaia di bambini in tutto il mondo, nelle fabbriche dell’India, dei paesi poveri, di adulti indifferenti alle leggi. I due protagonisti in scena sono interpretati non da bambini, ma da Giuseppe Insalaco e Romana Rocchino, giovanissimi e promettenti attori, cresciuti alla scuola di Giancarlo Cauteruccio, il regista dello spettacolo, un’altrove dove la luce regna sovrana creando suggestioni poetiche. E’ un teatro intriso di luce, cifra stilistica e drammaturgica, che da sempre caratterizza la ricerca di senso di Cauteruccio alla guida della Compagnia Krypton. C’è una sintonia che si nota tra l’autore del testo e la sua regia.
La parola scritta e quella immaginata tramite disegni e immagini proiettate sullo sfondo che racchiude la scena. Dall’alto pende su corde una performer-acrobata, Giulia Pizzimenti, nel ruolo di anima libera che si libra nell’aria. Sempre sospesa volteggia crea le coreografie che vanno in risonanza con la recitazione anche fisica dei due giovani interpreti, intenti nell’esaltare lo sforzo teso a liberarsi dalle catene cui sono imprigionati. Imprigionati su due cubi, metafora di un luogo chiuso, come stanze di una prigione soffocante. L’unica via d’uscita di Momo è sognare di costruire ponti di pietra, come segno di continuità ereditata dai suoi avi, mentre Mung tesse la leggenda della sua famiglia su una pelle di animale regalatale dalla nonna. Sogni di bambini. Poetico quel pianto struggente che si accompagna a un canto dolente e un cascame di fiori invade lo schermo, cadendo vertiginosamente. Simboli di una fanciullezza negata.
La nostalgia per gli affetti lontani. Una recitazione ancora acerba ma per questo più credibile, Giuseppe Insalaco e Romana Rocchino, danzano sui loro podi contorcendosi, sinuosi e insofferenti alla costrizione forzata. Sarà un’esplosione provvidenziale a liberarli da quel mondo di soprusi e infanzia abusata. Il testo di Daniel Danis è a tratti ridondante e prolisso, ma si deve alla regia di Cauteruccio, un alleggerimento funzionale al progetto scenico, reso particolare dalla recitazione ora in italiano, ora in francese, e dal calabrese al siciliano. Le lingue uniscono sempre, non dividono mai.
Roberto Rinaldi