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Nella patagonia cilena: in viaggio “con la vespa” 10

Creato il 22 giugno 2013 da Postpopuli @PostPopuli

Ecco la Patagonia cilena. Prosegue l’itinerario nel mondo in viaggio con la Vespa (e non solo) di Giorgio Càeran. Con la decima puntata, ci spostiamo appunto dall’Argentina al Cile.

di Giorgio Càeran

Da Giramondo libero – In viaggio con la Vespa o con lo zaino (Giorgio Nada Editore)

(gennaio 1988, parte di un viaggio iniziato il 1° ottobre 1987 e finito il 24 aprile 1988)

Si ferma un furgoncino con tre persone nella cabina di guida: salgo nel cassone dietro, che è scoperto. Tenendo le spalle alla cabina ho il sole di fronte, in un cielo azzurro da pochi minuti, dopo una giornata nuvolosa e ventosa. Nel vedere il polverone sollevato dal furgoncino, con le colline brulle e la steppa circostante, provo una soddisfazione liberatoria. Scopro poi che con il nome Rio Bote è indicato non un villaggio, ma semplicemente un “hotel-ristorante” in mezzo alla steppa, circondato da colline prive di vita (fatta eccezione per i puma, assai attivi e pericolosi). Pernotto di nuovo all’addiaccio (infischiandomene dei puma), a poca distanza dall’edificio battuto dalle gelide raffiche di vento, tipiche di quel clima impietoso.

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Paesaggio semidesertico in Patagonia (da nuovosoldo)

L’indomani, domenica 17 gennaio, dopo essermi alzato di buon’ora, mi lavo nell’acqua gelida del Rio Bote, un piccolo fiume, quasi un ruscello, da cui la località prende nome. Ottengo un passaggio per altri centotrentacinque chilometri arrivando quindi a Esperanza, un villaggio composto da cinque edifici e nulla più. Mi dirigo quindi verso il Cile, sempre in autostop. Rasentando dune simili a quelle del Sahara, arrivo poi a Fuentes del Coyle, località segnata sulla cartina stradale ma costituita soltanto da un albergo. Non mi resta che sperare ancora nel passaggio di un veicolo (rarissimi, quelli in circolazione). Il cielo è scuro, il vento fortissimo, il freddo martellante, l’incertezza parecchia, e i battiti dei denti non mancano. Mi consolo osservando le Ande, che in questa zona non sono alte e digradano a sud, nel tratto finale. Osservo branchi di cavalli guidati da un paio di gauchos, i volatili, le pecore. Ottengo infine un altro passaggio fin nei pressi di Cancha Carrera, accanto alla frontiera cilena, e poiché ho intenzione di andare a Puerto Natales, stoicamente, tremando per il freddo, mi fermo sulla strada di terra battuta nella speranza di veder transitare qualcuno. Cancha Carrera colpisce per gli edifici bene verniciati che anche qui si contano su una mano. Come se il freddo non bastasse, scende anche una fitta pioggerella, mentre accanto a me c’è un armento di pecore. Dopo due ore di attesa senza scorgere anima viva, finalmente si ferma un signore con un’autocisterna addetta al trasporto dell’acqua dei pozzi.

Il paesaggio mi regala poco dopo una visione insolita per la Patagonia: ai bordi della strada ci sono distese di margherite, che da lontano sembrano fiocchi di neve. Così, procedendo assai lentamente, arrivo infine a Rio Turbio (distante centonovanta chilometri da Esperanza e una cinquantina da Cancha Carrera) dove, prima di accedervi, si scorge una montagna la cui sagoma ricorda i profili di due volti umani. Dopo altri sei chilometri per giungere alla frontiera, una volta passato in Cile proseguo per poco più di venti chilometri sino a Puerto Natales, giungendovi alle undici di sera. In questa faticosa, difficile giornata, ho viaggiato in autostop per trecentocinquanta chilometri.

Vengo scaricato davanti alla Casa de Elza, dove pernotto pagando 400 pesos (2.000 lire). Nella stanza c’è un materasso sul quale deposito il mio sacco a pelo; con me alloggiano anche due argentini. L’ostello è gestito da una simpatica ragazza aiutata da un’altra altrettanto affabile e carina. Una salutare doccia calda e poi tiro tardi a chiacchierare con le due giovani, che durante l’inverno stanno a Santiago mentre tutta l’estate la trascorrono qui, a Puerto Natales. Questo ostello ha soltanto un anno di vita.

Patagonia cilena 2 226x170 NELLA PATAGONIA CILENA: IN VIAGGIO CON LA VESPA 10

Punta Arenas (da Wikipedia)

L’indomani diventa urgente l’acquisto di un maglione, alla ricerca di un po’ di calore corporale. Raccolgo informazioni che poi mi serviranno e, dopo altri duecentoquarantacinque chilometri, giungo a Punta Arenas. La città ha centomila abitanti, al contrario di Puerto Natales che ne ha soltanto diciassettemila, e mostra parecchi negozi e ristoranti. In via Boliviana pernotto in un alloggio familiare gestito da una vedova un po’ mamma e un po’ avara, e il costo è di 600 pesos. Nella mia stanza ci sono due letti a castello e uno normale; la divido con uno statunitense e un francese. Nell’ostello c’è pure una coppia israeliana, e ceniamo tutti assieme, cibandoci di quel che offre la padrona di casa.

Martedì 19 gennaio, alle nove e mezzo, salpo su un traghetto, e durante la navigazione dello stretto di Magellano ho modo di riflettere su quanto sia difficile vivere in queste terre in pieno inverno, con una temperatura di venti gradi sotto zero e con soltanto otto ore di luce al giorno, contro le quindici o sedici dell’estate. Dopo aver navigato per quasi quaranta chilometri, impiegando due ore e venti minuti, sbarco infine nell’Isola Grande della Terra del Fuoco.

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