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Nelle catene dell’ego

Da Sharatan
Nelle catene dell’ego
“L’illusione in cui vivevi si dissipa.La tua anima sanguina, ma la maschera cade, e una menzogna finisce.Perdi una gioia, ma acquisti una verità.Di che cosa ti lamenti?”

(G. Thibon)

Chogyam Trungpa scrive che è facile seguire un approccio spirituale, soprattutto se pensiamo di ottenere la salvezza, la liberazione e se speriamo di manifestare dei miracoli con cui possiamo dimostrare di essere degli illuminati agli occhi del mondo. Ragionando così, rischiamo di restare incatenati alla “aurea catena della spiritualità” che, per quanto fatta d’oro finissimo incastonata con pietre preziose e rifinita con tarsie molto raffinate, resta pur sempre una catena che ci tiene prigionieri. Molti approcciano alla spiritualità pensando di ottenere l’arricchimento dell’ego, perciò finiscono per impersonare un materialismo spirituale che è un processo evolutivo degno di un organismo suicida. Vi sono poi le lusinghe di poter ottenere il potere di risolvere i nostri problemi, perciò pensiamo di usare degli strumenti magici per risolvere i problemi di nevrosi, di depressione, l’aggressività e i problemi affettivi e sessuali che affliggono gli uomini moderni. E’ una grande delusione verificare che dobbiamo abbandonare tutte le nostre aspettative e possiamo restare delusi e insoddisfatti scoprendo che è necessario abbandonare ogni impresa personale e ogni senso dell’ego: per l’ego, l’illuminazione equivale al momento della morte, perché ogni “me” e ogni “mio” viene ucciso con la morte dell’osservatore. Seguire un sentiero spirituale è molto doloroso, poiché è un continuo atto di smascheramento, poiché l’illuminazione scopre e distrugge tutte le maschere di cui si riveste l’ego.L’illuminazione toglie dal nostro volto ogni strato protettivo che vi era stato accumulato, perciò vengono tolti tutti i veli insieme alle maschere, e ogni strappo diventa un insulto e un affronto all’importanza dell’ego e al nostro egocentrismo: l’illuminazione è la sconfitta dell’aspetto egoico. L’illuminazione richiede la rinuncia a ogni ambizione dell’orgoglio, perché lo smascheramento ci fa cadere sempre più in basso, finché si cade sulla terra come un soggetto infimo e come il più piccolo degli esseri.Per diventare adatti all’evoluzione spirituale è necessario divenire come un granello di sabbia che non coltiva delle ambizioni o delle aspettative, perciò non ha bisogno di fronzoli ornamentali: è solo così, dice Chogyam Trungpa, che la pratica spirituale acquisisce un’utilità concretamente utilizzabile. L’approccio alla vita deve essere semplice e diretto in modo che restiamo ricettivi agli insegnamenti che giungono da un fatto, da un individuo oppure da una lettura: ogni cosa deve poter diventare un insegnamento per migliorare la qualità della nostra vita.Ogni cosa diventa una conferma e un incoraggiamento, poiché non esiste una lusinga che possa corrompere l’umile granello di sabbia. Dal punto di vista dell’atomo di polvere che è situato nello spazio infinito dell’universo, tutto diventa luminosità e spazio, perché lo spazio è così vasto che il granello non può frenare o impedire nulla: il granello non pretende di essere considerato, perciò nulla gli manca. Se siamo in grado di diventare come il granello di polvere, insegna Chogyam Trungpa, possiamo essere gli imperatori del mondo.L’uomo si aggrappa a tutto, perciò lotta per impedire che la trasformazione lo metta di fronte a quello che muta, infatti la trasformazione inizia con la morte del vecchio per lasciare lo spazio al nuovo che sorge, infatti questo è il senso del detto di Gesù: “Lasciate che i morti seppelliscano i morti.” E’ necessaria la morte delle cose finite affinché possano nascere delle cose migliori, però l’impossibilità di poter ritrovare il cordone ombelicale da cui siamo stati separati alla nostra nascita è collega al dolore interiore e al nostalgico disagio che è latente nell’uomo.Anche l’abbondanza non può evitare che emerga questo doloroso sottofondo in cui l’uomo percepisce la sua incompletezza, perciò sperimentiamo un dolore che è simile all’ascensione di una scala con tre gradini. Il dolore fondamentale lo conosciamo nella scissione primaria, però apprendiamo anche il livello del dolore dell’intermittenza che emerge quando percepiamo di trascinare un fardello fin troppo oneroso, che solo per pochi attimi ci viene sottratto per essere ricollocato, subito dopo, sul nostro collo come uno giogo.Un dolore che si assomma è quello che nasce quando c’è l’insicurezza per il nostro territorio, perciò é l’insicurezza che ci spinge all’attaccamento al mondo che è il fenomeno umano più doloroso. Le tre forme di dolore sono delle sensazioni che l’ego sperimenta nelle varie fasi della vita, e con cui si confronta nelle situazioni di confronto con il mondo e con le sue trasformazioni. Queste situazioni, ci ricorda Chogyam Trungpa, accadono sebbene cerchiamo di sfuggirle fingendoci felici e sicuri, infatti il dolore di vivere può diventare così pervadente da divenire permanente e continuo.Lo sforzo di aggrapparsi alla felicità che fugge e l’approccio al mondo sono le condizioni esterne a cui l’ego si collega per esistere, infatti l'ego vive nell’illusione che esista la continuità, perché non crede che l’esistenza sia un susseguirsi di situazioni transitorie e che la vita sia fluidità e trasformazione. Ottenere la sicurezza è il sogno dell’ego, infatti l’ego conosce solo l’inganno e la finzione, perciò riesce a legarci alla materia usando l’illusione e la confusione, da cui nascono gli attaccamenti e l’aggressività umana. Per questo l’uomo è incapace di afferrare persino l’istante che è l’esistenza immediatamente disponibile e che è l’unica sostanza che si può ottenere.Crediamo che l’ego sia sconfitto anche quando ci aggrappiamo a tutto quello che possiede la discontinuità, sebbene ciò che è discontinuo non possa offrire un appoggio sicuro: negare l’ego non ci mette al riparo dalla sofferenza. Per andare oltre le ambizioni e gli inganni è utile conoscere il modo con cui il “me” costruisce il suo territorio e i suoi confini, affinché possiamo capire come le nostre proiezioni possano divenire delle credenziali con cui conquistiamo la consistenza e l'importanza.La nostra incertezza ci spinge a ricercare la solidità, perciò un punto di riferimento che è fuori da noi, perciò un “qualcosa” di solido a cui ancorarsi anche se la burla dovrebbe essere evidente, dice Chogyam Trungpa, sebbene l’uomo non sembra divertirsi troppo. La beffa è nel credere nella solidità di un “me” che si oppone “all’altro.” Questa è la patologia della condizione dualistica in cui viene effettuata una “fissazione” fondata sul nulla, perciò dal tentativo di offrire una solidità e un valore affermando un “uno” per contrasto con lo zero dell’Assoluto che è tutto.Ogni volta che troviamo una solidità ci ritroviamo sul bordo di una consistenza creata su una sicurezza fittizia, perciò inizia un samsara nel continuo ripetersi delle illusioni sul fatto che possa esistere la solidità, perciò si attiva un circolo vizioso di nuove illusioni da ripetere all’infinito, in cui si perpetua la beffa del mondo. Lo scherzo cosmico è nella costruzione di senso concreto per un’entità che non ne ha alcun bisogno: per comprendere la struttura di questo meccanismo con cui l’ego si sviluppa, il buddismo indica 5 processi di sviluppo che chiama “skandha” cioè sezioni.La nostra individualità inizia a costruirsi usando questi 5 aggregati differenti che corrispondono ai 5 involucri che vengono sviluppati in 5 fasi. La nascita dell’ego avviene come frutto della nostra ignoranza fondamentale, poiché ignoriamo l’apertura, l’intelligenza e la fluidità dello spazio. Nel primo skandha entriamo quando incontriamo delle lacune in cui vediamo il vuoto, perciò temiamo che la nostra esistenza abbia dei lati inquietanti, perciò nasce il sospetto che qualcosa possa andare storto e giungano degli imprevisti. Con questa sensazione inizia la reazione della catena karmica quando iniziano le sensazioni di confusione e di disperazione estreme e inspiegabili dell’ansia.La paura di perdere il sé, perciò l’assenza dell’ego, diventano la paura della minaccia sconosciuta, perciò l’ego si aggrappa al territorio e “congela” lo spazio, perché la sua ignoranza è simile all’ostinazione: scoprire che l’ego non è presente scatena il rifiuto di credere che la realtà sia vera, perché non la vogliamo accettare, infatti siamo disposti ad attaccarci a qualsiasi cosa.Nella fase successiva inizia il tentativo di tenersi occupati con delle cose che possano distrarre l’attenzione dalla solitudine, perciò completiamo la struttura della catena karmica. Il karma dipende dalla relatività che ospitiamo internamente, poiché ognuno reputa come “sua” una cosa che è differente, perciò il karma si ripresenta con queste ricorrenze che sono relative, in quanto tutto resta sempre uguale ogni volta che un medesimo contesto si ripresenta. Il secondo skandha apporta la sensibilità che è la capacità di sentire, infatti diventa necessario confermare le nostre proiezioni interiori con delle credenziali esteriori, perciò le proiezioni e le conferme possono essere infinite.Nella terza fase o skandha, l’ego inizia a costruire tre comportamenti impulsivi con cui reagisce alle reazioni delle sue proiezioni: l’indifferenza, la passione oppure l’aggressività. Nella strategia dell’indifferenza, la sensibilità che vogliamo evitare viene intorpidita, così che non potrà farci alcun male, perciò ci forgiamo un’armatura interiore. La strategia della passione diventa simile all’ossessione di voler prendere per divorare, perché la passione funziona con la magnetizzazione delle sostanze. Solitamente cerchiamo di avere ciò che non abbiamo, perciò ne sentiamo la carenza, per questo allunghiamo tutti i tentacoli per afferrare ciò di cui sentiamo il bisogno.La strategia aggressiva è scatenata dalla percezione di una minaccia alla nostra sopravvivenza, perché sentiamo una minaccia da cui difendersi ad ogni costo: anche questa è una strategia di povertà e carenza interiore, infatti siamo insicuri del fatto di poter difendere noi stessi e quello che ci appartiene. Nel terzo skandha nasce il meccanismo di “percezione/impulso reattivo” in cui l’ignoranza, la sensibilità e l’impulso che segue la percezione diventano il “nucleo” dei nostri meccanismi istintivi e delle strutture con cui l’uomo controlla il suo territorio d’azione, perciò possiamo vedere l’uomo come un radar che funziona usando questi tre tipi di sensori che sono funzionanti in modo autonomo, ma che sono anche interrelati.Se l’ego fermasse qui la sua evoluzione e non conoscesse delle forme più raffinate per controllare il corpo, saremmo degli antropoidi ancora più arretrati di come sembriamo, perciò l’ego non potrebbe esistere se non si aggrappasse all’intelletto. L’ego non potrebbe accrescere e perfezionarsi se non sapesse concettualizzare e dare un nome alle cose, perché non potebbe riordinare le informazioni. Così nasce la necessità egoica di organizzare delle categorie, infatti iniziamo ad incasellare il mondo in categorie mentali a cui applichiamo delle etichette che ci permettono di riconoscere il loro contenuto. La quarta skandha si conclude con la capacità dell’ego di poter gestire le categorie mentali che ha creato e che gli servono per tenere in ordine il suo mondo interiore. Nella fase finale nasce la necessità del fissativo che possa perfezionare l'evoluzione con una stabilizzazione, perciò questa funzione viene svolta dalla coscienza che è un meccanismo molto attivo e assai efficace, perciò è il più adatto per mantenere i collegamenti tra il versante istintivo e quello intellettuale, perciò riesce a ultimare la struttura egoica umana.Buona erranzaSharatan

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