Yarek Godfrey
Conoscere il proprio luogo, incontrare se stessi è uscire dal proprio dimorare, è uscire dalla propria soggettività, dal principio di identità, dalla fissità del sapere di sé, della conoscenza che è sinonimo di limite, prigione.
Superare sé, trascendersi non come accrescimento della propria performance, non come superamento dei propri records personali, ma come perdita del definirsi, dell'indicarsi etichettante, del guardarsi autobiografico.
Liberazione di sé intesa come liberazione da sé e non come iperespansione del sé medesimo.
Una liberazione che quindi ha come suo sostenersi un vagare nello spazio vuoto della tua propria stanza interiore. Appena ti fermi, invece, ti fissi troppo sull'arredamento e perdi il senso delle cose.
L'Aurora è allora la coincidenza di colui che sente, del sentire e del sentito. È quella identità tra il soggetto vedente, l'oggetto visto e il vedere stesso che è l'esito e la natura più vera di un'attenzione divenuta presenza mentale al mondo, una presenza non più concentrata ma liberata della zavorra del cercare, un'attenzione che non ha più un oggetto particolare come sua finalità e che allora diventa svuotata conoscenza di tutto ciò che è, esperito nella sua radice. Non c'è mai stato nessun soggetto osservante, mai nessun oggetto visto. C'è solo l'atto del vedere. Del sentire. C'è solo questo fare esperienza in cui non si dà nessuna frattura tra me e il mondo.
È un'attenzione svagante che ha del poetico, perché non è più descrizione del mondo, ma sua fruizione. È appunto l'originaria esperienza del reale, luce su luce, mare di dissolvimento della dualità.
Osservare profondamente un elemento della natura, significa per me soggiacervi, avvicinarcisi fino ad immedesimarsi fisicamente. Un turbamento che è fremito e frullo d'ali prima del volo.