Ci sono voluti quindici anni di indagini ed un processo durato un anno e mezzo per determinare le responsabilità di Jorge Videla e Reynaldo Bignone nel caso dei neonati rapiti dalla dittatura argentina. Il giudice ha accolto la tesi dell’accusa ed ha condannato Videla a 50 anni (che quindi non potrà più usufruire del privilegio della libertà condizionale), Bignone a 15, il ¨Tigre¨ Acosta a 30 e Antonio Vañek, che all’epoca era il direttore dell’Esma, a 40.
La sentenza della Corte avalla la teoria del complotto premeditato presentata dal pubblico ministero, un complotto che aveva come scopo quello di strappare i bebè alle loro madri, ritenute sediziose, per farli crescere in ambienti ligi all’ordine e consoni ai valori promulgati dalla dittatura. Un piano folle, che coinciderebbe con certe teorie eugenetiche di nazista memoria, che era parte di un programma molto più vasto, quello del Processo di riorganizzazione nazionale che avrebbe dovuto forgiare la nuova Argentina disegnata dagli architetti della dittatura.
Videla, che oggi ha quasi 87 anni, non ha mai mostrato un pentimento e nonostante l’età ha continuato ad esporre le sue tesi giustificazioniste. Nel corso dei processi ai quali è stato sottoposto in questi ultimi anni –e che gli sono costati l’ergastolo- insiste a dipingere gli anni della dittatura come tempi eroici, dove ogni atto venne compiuto in difesa dello Stato e dell’identità nazionale. Solo la settimana scorsa accusava le madri dei bimbi che vennero sottratti –e che è giusto ricordare, vennero assassinate dopo essere state torturate- di essersi fatte scudo del loro stato di gravidanza per compiere i loro misfatti di combattenti contrarie al regime.
Con queste premesse, la sentenza del tribunale federale, ha compiuto non solo un atto di giustizia verso le persone implicate nella vicenda, ma ha riaffermato la volontà di un popolo intero di voler recuperare il valore delle istanze democratiche. È la giustizia che cancella il sopruso, che si rifiuta di abbracciare, come nel passato, gli ordini del potente di turno, come quando il presidente Menem, cancellava con un colpo di spugna le responsabilità dei torturatori della dittatura. Una giustizia, quella della sentenza, che è stata popolare, nel senso che per una volta ha rispettato la volontà del popolo e non quella degli interessi di pochi.
La dichiarazione finale di Videla, previa alla sentenza, dove ha tentato una difesa estrema dell’operato dell’esercito, ha dimostrato l’anacronismo e la povertà ideologica di un personaggio sprofondato nel passato, un genocida che, seduto comodamente sullo scranno degli imputati ha dimenticato che, a differenza delle sue vittime, abbia goduto del privilegio delle garanzie democratiche e che la sua sorte sia stata decisa nell’ambito di un processo giudiziario.
Con questa sentenza l’Argentina ha dimostrato come, alla fine, i vinti dalla Storia siano stati proprio quei grigi figuri in uniforme che, sprezzanti dei diritti e delle regole più elementari della convivenza civile avevano distrutto ogni parvenza di società. Videla e Bignone, a differenza di quanto si sarebbero aspettati nei giorni del loro Terrore, non hanno resistito al tempo. Lo hanno fatto, invece, la democrazia e la giustizia.