Non si erano mai visti, da anni, tanti giovani nei villaggi delle colline, lasciate a vecchi e bambini. Negli ultimi 10 anni tantissimi sono migrati (oltre 2 milioni). Magar, Tamang, Gurung, stanchi di vivere con poco, senza opportunità fra i campi faticosamente coltivati delle colline terrazzate del Nepal centrale. Proprio la zona più colpita dal terremoto.
Ora tornano a trovare i genitori, le mogli da Kathmandu, dal Terai e, qualcuno, anche dai paesi in cui lavorano come schiavi per 500 dollari al mese. (Emirati e Malesia in gran parte). Per chi ha avuto una vittima il governo rimborsa il biglietto aereo. Arrivano nei villaggi in jeep, camion, pullman stracarichi, in moto. A volte portano tende e teloni, sacchi di riso e noodles, aiutano a spostare macerie, mettere puntelli alle case di mattoni e argilla.
Altri non tornano per non perdere il salario e il costo del biglietto aereo, come il marito di Sanjeeta Lama, una donna forte del Timal, che alleva i suoi figli, coltiva i campi, paga i debiti fatti per far migrare il marito. Qualche parente è salito per aiutarla a recuperare le cose nella sua casa inclinata, salvare lo stock dei raccolti e i semi per le future piantagioni. Si dorme in tenda, con i bambini e i vicini di casa.
Sanjeeta è, nei limiti fortunata, la sua casa può essere riparata, il bufalo e le galline sono sopravvissuti, mais e semi sono salvi. Nel Timal non manca l’acqua, anche se strade e campi sono secchi in attesa del monsone. Sotto il villaggio scorre il fiume Sun Kosi, con un po di fatica l’acqua è portata su.
Per altri villaggi delle colline la situazione è ben peggiore, case distrutte da ricostruire; semi, raccolti , animali perduti.
Nel Nepal delle colline, devastato dal terremoto, si coltivava il 10% del riso e il 19% del mais (con cui si preparare il Dido, la polenta che sostituisce il riso nella dieta dei contadini). In queste aree il 70% della popolazione vive di agricoltura e allevamento (35% del PIL nepalese).