Magazine Società

nessun dove – seconda parte

Creato il 27 agosto 2015 da Gaia

Una delle possibili obiezioni a una società comunista è: come si fa a convincere le persone a lavorare in mancanza di competizione, proprietà privata, e denaro? La risposta dipende da come si definisce il lavoro, se sia una fatica che si è obbligati a fare per sopravvivere, o un piacere che si cerca volentieri. È evidente che, nella storia umana, il lavoro ha significato sia l’una che l’altra cosa per gli esseri umani che lo svolgono. La questione è ulteriormente complicata dal fatto che lo stesso lavoro (ad esempio, cucinare o pulire) può essere piacevole o spiacevole a seconda di come viene svolto e di come la società tratta chi lo svolge. Inoltre, non in tutte le società gli individui traggono beneficio dal lavoro che essi stessi svolgono: evidentemente, gli incentivi a lavorare per sé e gli incentivi a lavorare per gli altri non saranno gli stessi. La domanda diventa, quindi: è possibile una società in cui tutti svolgono un qualche tipo di lavoro e tutto il lavoro è gratificante per chi lo compie e contribuisce a mantenere un tenore di vita piacevole non solo per questa persona, ma per tutti quanti? Morris pensava di sì.

Le caratteristiche della società che lui mmagina. nell’utopia di News from nowhere sono come segue.

Il lavoro è volontario. I mezzi di produzione non sono di proprietà privata ma collettiva; non solo: non sono nemmeno centralizzati, ma distribuiti sul territorio, perché sarebbe “ridicolo” che un uomo avesse una passione per un mestiere, e fosse costretto a scegliere tra trasferirsi in un luogo preciso o doverla abbandonare. Anche il commercio è relativamente sparso, e Londra non è più la capitale mercantile del mondo.

Tutti hanno molteplici interessi e sanno fare più di una cosa. La società tiene in grande considerazione l’abilità manuale, che contiene quella intellettuale; gli intellettuali puri non compaiono nel libro, se non quando si dice che anche i professori e gli studiosi verranno a falciare, perché si divertono a farlo e un po’ di movimento gli fa bene (il libro ci tiene a sottolineare ripetutamente che falciare è un lavoro fantastico, e mi sono chiesta più volte se Morris abbia mai falciato). Prima che pensiate a Pol Pot, vi dirò che per quanto mi riguarda sarebbe un’ottima cosa che il naturale bisogno di movimento di chi svolge prevalentemente un lavoro intellettuale venisse soddisfatto in qualche mansione utile anziché nello sbracciarsi a vuoto in palestra.

Nei luoghi di lavoro c’è sempre compagnia e allegria. Se a qualcuno (incomprensibilmente) non va di falciare, può fare qualcos’altro e nessuno lo rimprovererà (ma tutti se ne stupiranno).

Se diventa necessario svolgere un lavoro pubblico, come un ponte, la decisione viene presa a maggioranza dopo un dibattito. Se qualcuno non è d’accordo, può rifiutarsi di contribuire ai lavori, ma non cambia molto dato che questi verranno svolti comunque. Dopo si vedrà se aveva avuto ragione o meno a opporsi.

I lavori spiacevoli vengono svolti dalle macchine, gli altri a mano, con soddisfazione; se non c’è un modo piacevole di svolgere un lavoro, si fa a meno di quel lavoro e dei suoi prodotti.

Nessuno vuole rischiare di rimanere senza lavoro, ma, anziché cercare di produrre di più per soddisfare il bisogno di lavoro, si cerca piuttosto di produrre meglio, e di creare arte e scienza sempre migliori.

La pigrizia è considerata una curiosa malattia dell’Ottocento. Consisteva nel far lavorare gli altri al posto proprio e rendeva fisicamente brutto chi ne era affetto.

Non esiste sovrapproduzione, perché le merci sono prodotte nel momento in cui servono. Tutto è fatto con grande cura, ma mai in eccesso nella speranza di venderlo, dato che nessuno può più essere costretto a comprare.

Non serve ricompensare il lavoro con denaro, perché “la ricompensa del lavoro è la vita.” E la ricompensa per un lavoro svolto particolarmente bene, chiede Guest?La ricompensa della creazione. La ricompensa che riceve Dio.”

Oltre a illustrare la sua proposta alternativa, Morris offre una critica al consumismo particolarmente credibile, dato che viene da un amante dell’artigianato e delle cose belle, nonché da un uomo che viveva producendo e vendendo cose, quindi da tutt’altro che un asceta. Il suo vecchio Hammond, parlando del diciannovesimo secolo, lo racconta così:

nell’ultimo stadio della civiltà gli uomini erano entrati in un circolo vizioso per quanto riguardava la produzione di merci. Avevano raggiunto una grande facilità di produzione, e per sfruttare al massimo questa facilità crearono gradualmente (…) un sistema elaboratissimo di acquisto e vendita, chiamato il Mercato Globale; e questo Mercato Globale, una volta avviato, li costringeva a continuare a produrre sempre più merci, che servissero o meno. Così che, mentre, ovviamente, non potevano liberarsi della fatica di produrre beni effettivamente necessari, creavano in serie infinite necessità fasulle o artificiali, che diventarono, sotto il dominio ferreo del Mercato Globale, tanto importanti quanto le vere necessità. (…) Quindi, dato che si erano costretti da soli ad arrancare sotto questo tremendo peso di produzione inutile, divenne impossibile per loro guardare al lavoro e ai suoi prodotti da un punto di vista che non fosse l’impegno infinito a dedicare la minor quantità possibile di lavoro a ogni singolo pezzo prodotto, e al tempo stesso a produrre più pezzi possibili. A questo ‘abbattimento dei costi di produzione’, come lo chiamavano, fu sacrificato tutto: la felicità che l’uomo trae dal suo lavoro, ma che dico, i suoi bisogni più elementari e la sua salute, il suo cibo, i suoi vestiti, la sua abitazione, il suo tempo libero, i suoi divertimenti, la sua istruzione – la sua vita, in poche parole – non contavano nulla di fronte a questa pressante necessità di ‘abbattere i costi’ nella produzione di merci, gran parte delle quali non valeva nemmeno la pena di produrre. E come se non bastasse, (…), anche se oggi facciamo fatica a crederci, anche gli uomini ricchi e potenti, i padroni dei poveracci di cui dicevo, si adeguarono a vivere tra paesaggi e rumori e odori che è nella stessa natura umana voler rifuggire, al solo scopo di sostenere con la loro ricchezza questa follia suprema.”


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

A proposito dell'autore


Gaia 251 condivisioni Vedi il suo profilo
Vedi il suo blog

L'autore non ha ancora riempito questo campo L'autore non ha ancora riempito questo campo

Magazine