Anzi, coraggiosa è stata l'autrice, Simona Sparaco, per aver pensato e raccontato in maniera così profonda una storia su un tema tanto delicato: l'aborto terapeutico.
C'è un amore grande tra Luce e Pietro, un amore per cui da tempo vivono sotto lo stesso tetto e provano ad avere un figlio. Per molti mesi non ci riescono, poi un bel giorno arriva Lorenzo. Lorenzo che sguazza nell'amore incondizionato dei suoi genitori fin dal primo istante, Lorenzo che fluttua nella pancia di Luce, che scalcia, che si fa sentire, che si fa vedere durante le ecografie. Mancano due mesi alla sua nascita quando i medici si accorgono che non è cresciuto bene, è una questione di millimetri, ma i millimetri in un feto di quelle dimensioni sono fondamentali. Luce e Pietro sentono i pareri di più dottori, dei più bravi, ma niente, sono unanimi nel loro giudizio: Lorenzo è affetto da una grave malattia, forse non sopravviverebbe alla nascita, ma la tragedia sarebbe se ce la facesse, perché la sua non sarebbe una vita e non sarebbe più vita quella dei suoi genitori. Che cosa fare dunque? Pietro e Luce sono davanti a un bivio, a due strade ugualmente dolorose, con l'unica differenza che un caso viene portato come esempio dai moralisti e dalla chiesa e che l'altro viene considerato al pari di un omicidio, per il quale poi ci si sente addosso il peso dei giudizi della gente. Sono costretti a volare all'estero per far valere un proprio diritto di scelta. Poi tornano, in due, con una pancia sgonfia, meno soldi e tanto dolore in più. C'è una stanza con gli orsacchiotti in casa, un lettino ancora impacchettato, vestitini con l'etichetta che Lorenzo non userà mai. Luce si spegne, mentre Pietro cerca in tutti i modi di riagganciare i fili, ma i mesi passano e quell'interruttore lui non riesce proprio a trovarlo. L'ho letta così, questa storia. Avvolta dal mio piumoncino rosa. L'ho letta senza tirare fiato, rapita da descrizioni tanto vere quanto crude, conquistata dal modo di scrivere di quest'autrice.
Io penso che sia complicato raccontare il dolore, credo che sia facile lasciarsi prendere la mano e diventare banali, lagnosi, superflui. Simona Sparaco non l'ha fatto: ha mantenuto uno stile asciutto e deciso, si è limitata a narrare i fatti con una precisione millimetrica, senza dare giudizi, senza fare la morale. Sarà stata senz'altro un'operazione difficile quella che ha portato alla nascita di questo libro.
Penso che ci siano tante Luce intorno a noi, ma nessuno sa di loro, perché in fondo in fondo siamo tutti più bravi a puntare il dito piuttosto che a cercare di capire. Cercare sì, perché nessuno credo possa davvero capire un dolore del genere se non lo vive.
Ogni tema che scatena dibattiti etici ha in sé mille sfaccettature ed è così delicato che penso che nessuno dovrebbe imporre la propria visione agli altri, perché non c'è da scherzare o da essere superficiali sull'eutanasia o l'aborto, perché non c'è da essere giudici di niente.
Sono la prima ad aver sempre detto che all'aborto non avrei mai ricorso, ma non avevo mai pensato all'aborto terapeutico, eppure questo libro mi ha fatto capire che non è una realtà così remota. Non se ne parla mai, ma esiste. Pensiamo tutti che, come ogni cosa brutta, a noi non accadrà, ma non lo possiamo davvero sapere. Magari siamo portatori sani e inconsapevoli delle peggiori malattie, magari non siamo forti quanto crediamo di essere. La realtà è che di fronte a certe scelte il dolore è obbligatorio. Nessuna madre, nessun padre, va incontro a cuor leggero all'aborto terapeutico. Nessuna donna torna a casa col sorriso sulle labbra dopo aver partorito un figlio mai nato. Nessuno fa i salti di gioia nel battezzare un feto che non ha mai visto altro che le pareti interne di un utero. Dovremmo mettercelo tutti in testa e porgere la mano, non puntare il dito.
Leggetelo, se potete. In quelle pagine c'è più luce di quello che probabilmente ho lasciato intendere io, e poi c'è Pietro, un personaggio bellissimo, secondo me. Un uomo. Semplicemente un uomo, che ama la sua donna e le indica la via, con un raro mix di forza e sensibilità.
Non mi riconosco in nessuna definizione. Mi sento fluida, sempre sul punto di tracimare, un fiume inquieto che si disperde in mille rivoli. Gli altri li ho incrociati come calamità naturali: hanno provocato smottamenti, piccoli movimenti tellurici, vortici capaci di risucchiarmi. Ma Pietro è stato il primo a cambiare le cose. Il primo a costruire argini e a imporre una direzione al mio corso. Il primo che mi abbia fatto sentire solida: lo stampo dentro al quale ho trovato una forma.