Due tratti distinguono le emozioni di plauso dall’indignazione e le sue varianti.
- Possono essere autodirette: mentre ci indigniamo solo degli altri, applaudiamo sia gli altri, sia noi stessi. Ci felicitiamo di ogni nostra esibizione di generosità, giustizia, lealtà, deferenza per i capi e, come Himmler, ci piace immaginarci puri. Per questo motivo i custodi della morale rimproverano il virtuoso che si compiace delle sue opere buone, invitandolo alla modestia, che è la virtù (forse mitica) che consiste nel non sentire emozioni di plauso verso noi stessi.
- Sono tiepide: mentre le violazioni morali ci fanno uscire il fumo dalle narici, le azioni buone ci inducono sorrisi fugaci. La folla lincia i bruti colti a molestare i bambini e osserva olimpica il pedone che aiuta la vecchietta a traversare la strada. Rimuginiamo sui torti subiti per decenni, dimentichiamo i favori ricevuti dopo pochi giorni. I giornalisti, che sanno cosa appassiona il pubblico, sbattono il mostro in prima pagina e il filantropo nel trafiletto della cronaca locale.
A volte i pettegoli sono mossi dal calcolo, perché sperano di trarre vantaggi strategici dal rovinare la reputazione degli altri. Ma sparlare è una delizia in sé, come dimostra l’interesse dei pettegoli per le stelle della TV, i regnanti e altre personalità cui non hanno il potere di fare del male.
La nostra ossessione per le carenze morali del prossimo si rivela anche nelle confabulazioni cui ci abbandoniamo contro chi ci dà un motivo di malanimo. Un amico tarda a un appuntamento senza avvertire? Mentre lo aspettiamo, elenchiamo nella mente tutti i suoi storici vizi, che trovano un compimento perfetto nel ritardo che sta facendo. Un collega ci nega un favore? I nostri occhi si aprono sui diecimila piccoli torti che ci aveva già fatto in passato, e di cui fino ad ora non ci eravamo accorti. Queste confabulazioni interne sono rozze, politicamente scorrette e abbondano in parolacce, non importa quale sia il nostro stile abituale. Non distinguereste un poeta da un camionista se poteste ascoltarle.
I pettegolezzi non sono che la versione per il pubblico di queste confabulazioni interiori. In ogni caso, i pettegolezzi ci danno materiale di cui parlare, animando conversazioni che altrimenti non valicherebbero la fase iniziale dei commenti sul tempo. Inoltre, i pettegolezzi sono una fonte di informazioni per gli affari e le relazioni sociali. I pochi coscienziosi che trovano ineducato sparlare degli assenti restano ignari degli ultimi sviluppi nel loro ambiente, scoprono le navi quando sono già salpate e non fanno carriera.
Gli scienziati sociali, sempre a caccia di dati sulle pratiche umane, dovrebbero sfruttare di più il nostro gusto per il pettegolezzo. Un sociologo che vuole studiare gli ospedali di solito chiede ai medici di parlargli del loro lavoro. In risposta il sociologo ottiene castelli in aria, perché i soggetti rimasticano le loro esperienze quotidiane per trarne un ritratto presentabile di se stessi. Se il sociologo dicesse ai medici “Mi parli dei suoi colleghi” otterrebbe dati più veri e succosi sulla vita ospedaliera.
Che la gente dedichi il 90% delle conversazioni a sparlare degli assenti implica che c’è un 90% di probabilità che i nostri conoscenti, colleghi, amici e parenti sparlino di noi quando non ci siamo. Significa che un’altra forma di ipocrisia, quella per cui la gente ci pugnala alle spalle e ci sorride di fronte, è inevitabile. La gente sparla di noi perché farlo l’euforizza e ci sorride per mantenere il rapporto. Come diceva Blaise Pascal, “Se tutti sapessero ciò che uno dice dell’altro non ci sarebbero quattro amici al mondo”.
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