di Uri Avnery
Uri Avnery
La guerra era finita. Le famiglie tornavano al loro kibbutz vicino a Gaza. Le scuole materne riaprivano i battenti. Un cessate il fuoco era in vigore e veniva ampliato, ancora e ancora.
E poi, di colpo, la guerra è tornata. Cosa è successo? Beh, Hamas ha lanciato razzi contro Beersheba durante il cessate il fuoco. Perché? No perché…sapete come sono i terroristi. Sanguinari. Non possono farne a meno. Proprio come gli scorpioni.
NO, non è così semplice.
I colloqui del Cairo sembravano vicini al successo, ma Benyamin Netanyahu era nei guai. Tenne segreta la bozza egiziana dell’accordo per un cessate il fuoco duraturo anche ai colleghi di Gabinetto che ne hanno appreso almeno una parte attraverso i media, che a loro volta avevano avuto notizia da fonte palestinese.
Sembra che il piano prevedesse un allentamento del blocco (di Gaza) se non proprio l’annullamento, e che per la richiesta del porto e dell’aeroporto le parti si sarebbero riviste entro un mese.
Cosa? Questo era il risultato per Israele? Dopo tutto il bombardare e uccidere, dopo aver subito la perdita di 64 soldati israeliani, dopo tutti i discorsi grandiosi sulla nostra vittoria clamorosa, era tutto qui? Non c’è da stupirsi che Netanyahu abbia tenuta nascosta la bozza.La delegazione israeliana è stata richiamata in patria senza firmare. I mediatori egiziani esasperati hanno ottenuto altre 24 ore del cessate il fuoco. Doveva scadere alla mezzanotte del 19 agosto, ma da tutte e due le parti ci si aspettava che fosse prolungato ancora, e ancora. E poi ecco cosa è successo.
Alle 16 tre razzi sono stati sparati su Bersheba, finendo in spazi aperti.
Niente sirena d’allarme. Curiosamente: Hamas ha negato di averli lanciati e nessun’ altra organizzazione palestinese l’ha rivendicato. Davvero strano. Dopo ogni lancio precedente da Gaza qualcuno se ne era sempre preso orgogliosamente il credito. Come al solito, prontamente aerei israeliani hanno iniziato a bombardar edifici nella Striscia di Gaza. Come al solito, i razzi piovevano su Israele.
Business as usual? Non proprio.
Prima di tutto, si è saputo che un’ora prima dell’arrivo dei razzi la popolazione israeliana nei pressi di Gaza era stata allertata da parte dell’esercito e invitata ad avviarsi ai rifugi e agli “spazi sicuri”.
Poi è emerso che il primo edificio colpito a Gaza apparteneva alla famiglia di un comandante militare di Hamas. Tre persone sono state uccise, tra cui un bambino e la madre.
Infine la notizia: si trattava della famiglia di Muhammad Deif, comandante delle Brigate Ezzedine al-Qassam, l’ala militare di Hamas. (Qassam era un eroe palestinese, il primo ribelle contro il dominio britannico in Palestina nel 1930, fu inseguito e ucciso dagli inglesi.) Tra le persone uccise il 19 agosto la moglie e il bambino di Deif. Ma Dief no, sembra proprio che lui, là, non c’era.
Non c’è di che stupirsi, Deif è scampato ad almeno quattro tentativi di assassinio, ha perso un occhio, vari arti, ma sempre uscito vivo. Tutti intorno a lui, i vari comandanti pari grado e subordinati politici e militari, decine di loro, sono stati assassinati nel corso degli anni. Ma lui niente…
[...] La Casa Bianca ha immediatamente reagito alla ripresa delle ostilità condannando il lancio di razzi di Hamas e riaffermando che “Israele ha il diritto di difendersi“. I media occidentali seguono a pappagallo su tutta la linea.
Per Netanyahu, che sapesse o meno in anticipo del tentativo di assassinio oppure no, si trattava di una via d’uscita da un dilemma essendosi messo nella spiacevole posizione di molti leader nella storia che iniziano una guerra e non sanno come uscirne. In guerra, un leader fa discorsi magniloquenti, promette vittoria e grandi risultati, promesse che raramente si avverano. (Se succede, come a Versailles nel 1919, può essere perfino peggio.)
Netanyahu è un talentuoso uomo di marketing, se non altro. Ha promesso un sacco, e la gente gli ha creduto e gli ha dato un gradimento del 77 per cento. Il progetto di proposta egiziana per un cessate il fuoco permanente, anche se marcatamente pro-Israele, era ben al di sotto di una vittoria per Israele. Era solo la certificazione di un pareggio. Il suo stesso Governo era contrario, l’opinione pubblica inacidita, sensibilmente. La ripresa della guerra lo ha tirato fuori dal pozzo.
E adesso?
Bombardare la popolazione di Gaza attira sempre più critiche da parte dell’opinione pubblica mondiale e ha anche perso il suo fascino in Israele. Il motto “Bombardiamoli fino a che smettono di odiarci” ovviamente non funziona.
L’alternativa è quella di entrare nella Striscia di Gaza e occupare completamente, in modo che anche Deif e i suoi uomini debbano emergere in superficie per essere assassinati. Ma questa è un’opzione pericolosa.
Quando ero soldato nella guerra del 1948, ci hanno insegnato a non entrare in una situazione che lascia il nemico senza via d’uscita perché, in tal caso, egli combatterà fino alla fine, causando molte vittime.
Non c’è via d’uscita dalla Striscia di Gaza. Se l’esercito israeliano viene inviato a conquistare l’intera Striscia, la lotta sarà feroce, provocherà la morte di centinaia di israeliani e migliaia di Palestinesi, e indicibili distruzioni. Il Primo ministro sarà una delle vittime politiche.
Netanyahu è pienamente consapevole di questo. Lui non lo vuole. Ma che altro può fare? Si può quasi aver pietà di quell’uomo.
Egli può, naturalmente, ordinare all’esercito di occupare solo alcune parti della Striscia, un villaggio qui, una città lì. Ma sarà anche questo diffondere morte e distruzione senza nessun manifesto guadagno. Alla fine, il malcontento pubblico sarà lo stesso.
Hamas ha minacciato questa settimana di aprire “le porte dell’inferno” per noi. Questo difficilmente riguarderebbe gli abitanti di Tel Aviv, ma per i villaggi e le città vicino a Gaza sarebbe davvero un inferno. Vittime poche, ma paura devastante. Famiglie con bambini dovrebbero sfollare in massa. Al ripristino della calma, cercherebbero di tornare a casa, ma altri razzi li costringerebbero a scappare di nuovo. La loro situazione evoca una forte risposta emotiva in tutto il paese. Nessun politico può ignorarlo. Meno di tutti il primo ministro.
Ha bisogno di porre fine alla guerra. Ha bisogno anche di una chiara immagine di vittoria. Ma come raggiungere questo obiettivo?
Il dittatore egiziano cerca di aiutare. Così fa Barack Obama, anche se è furioso con Netanyahu e lo odia tanto che gli si torcono le budella. Altrettanto Mahmoud Abbas, che teme una vittoria di Hamas.
Ma per d’ora, l’uomo che ha in mano la decisione finale è il Figlio di Morte, Mohammed Deif, se è vivo e vegeto. In caso contrario, il suo successore. Ma, se lui è vivo, l’assassinio della moglie e del figlio piccolo non può averlo reso più dolce e più pacifico.
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