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Netflix non ci fa paura

Creato il 09 ottobre 2015 da Paopru

Il D-day averrà il 22 ottobre e le coste digitali italiane saranno arrembate da una rivoluzione tecnologica senza precedenti. Difficile stimare le conseguenze, che potrebbero comportare perfino il cambiamento culturale di molti di noi nel fruire di film e serie tv, abbandonando mezzi più o meno legali e accordandoci per pagare i famigerati 8 euro al mese e usufruire dello streaming sul pc. Ma come stanno reagendo i broadcaster italiani? Caso interessante quello di Chili.tv, una spin-off di fastweb che opera sfruttanto la piattaforma TVOD, la comune pey-per-view. Intervistato dal sito Linkiesta, il suo fondatore e presidente Stefano Parisi parla dei timori per il proprio brand, ma anche per le opportunità tecnologiche che potrebbero prospettarsi. Il resto dell’intervista la trovate sul sito de Linkiesta.

netflixStefano Parisi

In questi giorni sta crescendo molto l’attesa per l’arrivo in Italia di Netflix, fissato per il 22 ottobre, ma, per molti, agognato da anni. La piattaforma digitale di streaming di contenuti video on demand su abbonamento conta milioni di abbonati in tutto il mondo e si è messa da qualche anno a produrre direttamente le proprie serie televisive, sfornando serie tv di grandissimo successo come House of Cards e Orange Is the New Black, ma non è certamente l’unica piattaforma attiva sul mercato.

In particolare, tra le varie che operano in Italia nel campo del broadcasting, c’è Chili, una piattaforma nata nel 2012 come spin off del ramo d’azienda Over The Top TV di Fastweb, una piattaforma che, nel frattempo, è cresciuta, staccandosi nell’aprile del 2014 da Fastweb ed espandendosi in altri quattro paesi dell’Unione Europea — Austria, Polonia, Germania e Regno Unito — arrivando ad avere circa 500mila clienti, con un tasso di crescita dichiarato di circa 15mila utenti al mese.

Si tratta di numeri decisamente più piccoli di quelli che registra Netflix, eppure a Chili non sono per niente preoccupati degli effetti di concorrenza che potrebbe avere lo sbarco della piattaforma americana in Italia. «Non abbiamo paura di Netflix», dice Stefano Parisi, fondatore, presidente e Chief Strategy Officer di Chili. «Anzi se arriva e, grazie al suo peso mediatico, apre il mercato per noi è una cosa molto positiva».

Non temete la concorrenza di un player così ingombrante?
No, nel senso che Netflix non ci fa concorrenza diretta. La loro è una piattaforma SVOD — acronimo per Subscription Video On Demand — vende contenuti su abbonamento. Chili invece è una piattaforma di TVOD, ovvero di Transactional Vod, un sistema di pay per view come iTunes. Da noi si affitta o si compra il singolo contenuto.

Che differenze ci sono nell’offerta?
Prima di tutto il fatto che possiamo avere film più recenti, perché la finestra per le trasmissioni in TVOD è la stessa finestra dell’Home Video, ovvero quella che parte a partire da tre mesi dopo l’uscita nelle sale. Per quanto riguarda l’archivio, la cosiddetta library, invece, abbiamo praticamente le stesse potenzialità di Netflix. Sono proprio queste caratteristiche che ci rendono felici dell’arrivo di Netflix, che da una parte può aprire il mercato, e dall’altra non si sovrappone alla nostra offerta.

La difficoltà di espansione in Italia è dovuta a problemi infrastrutturali?
No, se lei si riferisce alla larghezza della banda, quello non è un problema. La maggior parte dei consumi sono in standard definition, quindi non sono troppo pesanti e si possono vedere tranquillamente con una buona connessione ADSL, addirittura in mobile si riesce a vedere con il 3G.

E allora qual è il problema?
Il problema vero è che solo il 50 per cento degli italiani ha un collegamento internet a casa. Il video on demand vero è quello che cambia le modalità di vedere la televisione, ed è quello che va sulla televisione, sulle smart tv in particolare. È quando hai un pubblico che sa usare la smart tv, che sa comprare o affittare contenuti tramite il telefono, quelle sono le capacità che servono a un pubblico per diventare un pubblico adatto a una diffusione allargata delle broadcast tv come la nostra. In Italia è qui il problema. Perché le televisioni connesse a internet sono poche, e perché, come dicevo poco fa, soltanto il 50 per cento delle famiglie può contare su una connessione internet fissa. Questo è il vero handicap, un handicap più culturale e di abitudini che infrastrutturale.

Che prospettive ci sono per il futuro?

Ovviamente spero che l’ingresso di Netflix nel mercato italiano possa smuovere le cose, anche perché c’è una specie di paradosso: quel 50 per cento di italiani che ha internet in casa, ce l’ha perché ha un computer. Ma in questi ultimi tempi nelle case di tutti gli italiani stanno entrando sempre di più le smart tv, ma che purtroppo sono ancora usate in larga parte come comuni televisori. Continua a leggere su Linkiesta –>


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