L’Autismo è un disturbo pervasivo dello sviluppo caratterizzato dalla compromissione di alcune aree molto importanti come quella della comunicazione verbale e non verbale, quella comportamentale e quella dell’interazione sociale.
Nello specifico, il soggetto affetto da autismo ha grosse difficoltà nella comunicazione: può presentare delle carenze dal punto di vista linguistico, può fare fatica a capire ciò che gli viene detto o a trasmettere agli altri ciò che prova. Il comportamento può pertanto apparire inadeguato, ripetitivo e caratterizzato da stereotipie (es. battere le mani, andare in punta di piedi…), autolesionismo ed eterolesionismo. Rispetto alle capacità d’interazione sociale il soggetto autistico tende ad isolarsi, come se non avvertisse l’esigenza di stare con gli altri, di relazionarsi con loro, apparendo il più delle volte rinchiuso in un altro mondo dove gli altri faticano ad entrare. Questi sono gli aspetti principali che caratterizzano l’autismo e che sono impiegati nel DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, 2000) come criteri diagnostici per poter fare la diagnosi.
Ad ogni modo, i soggetti autistici hanno anche altre difficoltà quali: l’essere riluttanti al cambiamento, poiché essendo molto abitudinari potrebbero presentare comportamenti-problema nel momento in cui queste routine dovessero essere modificate; hanno difficoltà a riconoscere le proprie e altrui emozioni ed infine hanno problemi di imitazione e comprensione delle intenzioni altrui.
Queste caratteristiche, nel corso degli anni ’90, hanno portato alcuni studiosi a supporre che potesse esserci una spiegazione neurofisiologica a tale problematica. Nello specifico, alla base del deficit relazionale, fu ipotizzato il malfunzionamento di un sistema di neuroni definiti “neuroni specchio”. Questi neuroni sembrano essere implicati, in particolare, nella comprensione delle intenzioni degli altri quando eseguono un’azione e nella capacità immediata d’imitazione della stessa, oltre che nell’apprendimento di nuovi pattern motori. In pratica, secondo gli studiosi l’incapacità, da parte dei soggetti autistici, di relazionarsi con gli altri e di comprenderli può essere dovuta proprio ad un ipofunzionamento dei neuroni specchio, fondamentali per codificare le azioni altrui.
Questi neuroni, per far sì che sia replicato un dato movimento, devono riconoscerlo e rispondervi in maniera selettiva, altrimenti si rischia di confonderlo con altri tipi di azioni attribuendovi scopi errati.
Vi sono diverse evidenze sperimentali che, con tecniche diverse, come ad esempio la fRMI (risonanza magnetica funzionale), hanno confermato questa ipotesi, macontemporaneamente vi sono altri studi che hanno sostenuto l’esatto opposto.
Nello specifico, un recente studio pubblicato sulla rivista Neuron di Dinstein e coll. (Dinstein, Thomas, Humphreys, Minshew, Behrmann, Heeger, 2010) ha messo in discussione l’ipotesi che i neuroni-specchio potessero essere implicati nei deficit relazionali dei soggetti con autismo. Gli studiosi hanno messo a confronto un gruppo di soggetti affetti da autismo con un gruppo di controllo, entrambi i gruppi sono stati sottoposti, in una prima parte dell’esperimento, alla passiva osservazione di alcune immagini in cui erano raffigurati diversi tipi di azioni mentre, nella seconda parte dell’esperimento, è stato detto loro di riprodurre le medesime azioni osservate in precedenza. Attraverso l’uso di risonanza magnetica è stata osservata l’attività dei neuroni-specchio e i risultati hanno dimostrato che sia i soggetti autistici sia il gruppo di controllo hanno un’equivalente modalità di attivazione di questi neuroni, andando a contrastare con l’ipotesi che esista un malfunzionamento del sistema-specchio in soggetti autistici.
In conclusione, i risultati dello studio di Dinstein e colleghi (2010) vanno ad aggiungersi a quelli di alcuni studi precedenti che, per l’appunto, sostenevano che i soggetti autistici hanno un normale funzionamento dei neuroni specchio. Ovviamente, questi studi sono piuttosto esigui rispetto alle numerose evidenze sperimentali a sostegno dell’ipotesi del malfunzionamento neuronale. Inoltre, i risultati contrastanti potrebbero essere dovuti a diversi fattori come, ad esempio, l’impiego di metodologie diverse, o l’aver preso in considerazione solo determinati aspetti tralasciandone altri. Ad ogni modo, sarebbe opportuno che la ricerca prosegua facendo chiarezza, in modo da capire se sia opportuno o meno prendere in considerazione altre ipotesi circa l’origine dei deficit relazionali che caratterizzano gli individui con autismo.
Negli ultimi anni si è verificato un incremento dei casi di autismo e il numero sembra essere ancora in aumento, per cui è diventato prioritario trovare al più presto i fattori che, combinati tra loro, possono favorire l’insorgenza ed il mantenimento di questo disturbo.
Riferimento bibliografico
Dinstein, I., Thomas, C., Humphreys, K., Minshew, N., Behrmann, M., e Heeger, D. (2010). Normal movement selectivity in autism, Neuron, 66, 461-469.