IL DOTT. BARBIERI introducendo l’incontro, ha subito voluto chiarire che «il rapporto mente-cervello come rapporto hardware e software non è sicuramente corretto. Il cervello non è una macchina, perché il sistema decisionale del cervello non è computazionale. Quando prendiamo una decisione, non lo facciamo come un computer che valuta tutte le possibili opzioni in atto e ne sceglie una, abbiamo anche un apporto affettivo che ci guida nelle decisioni, a volte ci può far fare delle decisioni giuste a volte ce le può far fare sbagliate ma il cervello umano funziona in questo modo». Si è poi spostato sul cuore del dibattito, cioè il rapporto sul libero arbitrio, dicendo che «chiaramente coloro che ritengono, in maniera riduzionistica, che il cervello produca solamente impulsi elettrochimici e questi automaticamente si traducano poi in decisioni operative, tendono a ritenere che la libertà non esiste, in quanto tutto dovrebbe essere predeterminato. In realtà, ultimamente, anche questo tipo di approccio è stato abbastanza contestato, fortunatamente».
IL DOTT. CERONI si è concentrato sugli aspetti neurologici, scardinando il luogo comune di certo scientismo materialista per cui «l’uomo è il suo cervello», come abbiamo imparato dalla filosofia di Cartesio (“Cogito ergo sum”). Il neurologo invece ritiene «che non si possa assolutamente dare per scontato una tale posizione». La quale, tra l’altro, se affermata veramente porterebbe alla deresponsabilizzazione totale: «una simile interpretazione implica la negazione della libertà, che sarebbe solo apparente, e pertanto della responsabilità. Nessuna persona potrebbe più essere ritenuta responsabile dei suoi atti. Spero sia anche chiaro a tutti che una tale interpretazione non ha nulla di scientifico. Questa affermazione, appunto che l’uomo è il suo cervello, non è un’affermazione scientifica, bensì è un’affermazione che in quanto non assoluta e non dimostrabile non si gioca sul piano scientifico, bensì su quello filosofico e da questo deve essere argomentato se non vuole essere un pregiudizio che nulla ha a che vedere con la realtà». Anche le neuroscienze hanno il loro dogma, e questo è appunto il binomio mente-cervello. Lo scienziato ripercorre così la storia che ha portato a questa rigidità, dalla critica a Cartesio fino al Nobel Francis Crick. Arriva poi a criticare anche certa divulgazione che ogni tanto annuncia la scoperta del gene dell’altruismo, dell’egoismo, della felicità, dell’alcolismo ecc.., ma in realtà è da sempre risaputo che «ogni pensiero sentimento, gesto, percezione, esperienza, qualunque cosa mia ha un correlato neurologico e elettrofisiologico, penso che questo sia del tutto indubitabile, non esiste atto che io faccio, momento che io viva, sentimento che mi attraversi che non abbia un correlato neuro-fisiologico. Nulla può accadere in me che non abbia una base fisiologica, che non implichi un’attivazione dei circuiti nervosi, ma ciò non significa affatto che tutto sia riconducibile al mio cervello. Io non sono il mio cervello, che si accenda l’area non vuol dire immediatamente che quella sia la causa, che quella causa il mio comportamento». Il riduzionismo scientifico ha sempre preteso di ridurre l’uomo a quello che può conoscere, eppure cosa sia veramente “l’io” «non può essere risolto dalla scienza, non è di tipo scientifico, quando la scienza pretende di dare la risposta a questo tipo di quesiti commette un errore previo da cui poi è accecata, la pretesa che il metodo scientifico sia l’unico metodo di conoscenza e tra l’altro questa affermazione non è scientifica. Quando avanza tale pretesa è come se di fatto rendesse inesistenti tutte le realtà non conoscibili col metodo scientifico. Inoltre l’affermazione “la conoscenza scientifica è l’unica conoscenza oggettiva vera” non è un affermazione scientifica vera, bensì un’affermazione filosofica e come tale deve essere argomentata». La risposta del neurologo è che per conoscere cosa sia realmente il proprio “io”, non posso affidarmi allo scienziato, ma «poiché si tratta di me, di quello che mi costituisce, che è più intimo a me, devo cercarlo dentro la mia esperienza, così come essa traspare nel folto della vita. Mi accorgerò che sono costituito da due ordini di fattori, con caratteristiche diverse e irriducibili tra loro. Uno comprende fenomeni materiali (divisibili, misurabili, visibili, che cambiano nel tempo, si corrompono) e fenomeni non misurabili (come i concetti, le verità matematiche, l’Io, i giudizi di valore, le decisioni che assumiamo nella vita). Questi ultimi sono un ordine di fenomeni che possiamo chiamare “spirituale” o “non materiale”, in un modo più ristretto si possono chiamare “mentali”». Queste due parti non sono divisibili e perciò «ogni tentativo di spiegare esaurientemente i fenomeni non materiali a partire dal principio materiale cozza contro l’esperienza, che ci riporge come radicalmente irriducibili». Il neurologo conclude il suo intervento parlando della coscienza presenza negli stati vegetativi e dell’errore nel chiamarli “stati permanenti”, poiché non lo sono affatto.
IL DOTT. CAVALLARO si è invece dilungato sulla schizofrenia e alcune condizioni patologiche sia in neurologia che in psichiatria, che possono portare ad una modificazione dello stato normale di coscienza. Sottolineiamo un passaggio sulla definizione di coscienza, dove spiega che «nella maggior parte delle situazioni i neurologi riducono la coscienza allo stato di vigilanza, però abbiamo degli studi sugli stati vegetativi persistenti, come le ricerche del dottor Massimini fatte con la simulazione magnetica a sonda, con la registrazione delle risposte neuronali fatte negli Stati Uniti: se voi buttate una bomba magnetica con la stimolazione magnetica avete una risposta di diffusione delle reti neuronali che è simile a quelle degli stati di veglia». Chi guarda l’attivazione della corteccia delle persone in coma, «smentirà clamorosamente chi sostiene che sia in coma vegetativo. Il termine “coma vegetativo” è già di per sé una sentenza, come se quello fosse un vegetale, come se sopravvivessero soltanto le funzioni vegetative che mi fanno sopravvivere, mentre invece come fai a dirlo così semplicisticamente davanti a una condizione così complessa?». Lo psichiatra è d’accordo su moltissimi aspetti di cui ha parlato il dott. Ceroni, come sicuramente il fatto che «l’analisi semplice dimostra che io sono fatto di due ordini di fenomeni che sono irriducibili uno all’altro. Non potrò mai pensare che l’idea venga fuori da una estrema complicazione dei circuiti cerebrali. Sono due ordini completamente diversi e allo stesso tempo si danno soltanto insieme: non esiste la coscienza senza il circuito cerebrale perché io sono fatto del mio io, della mia coscienza e del mio corpo, del mio cervello, del mio ambiente, del mondo in cui sono». La coscienza esiste ma non è estrapolabile «dalla mia umanità che è fatta del mio corpo e del mio mondo. La coscienza è un fenomeno che esiste nella mia esperienza umana ed è inseparabile. Secondo me non dobbiamo avere dubbi sul fatto che la coscienza non sia l’accensione di circuiti cerebrali. Ho detto invece che ogni atto, ogni esperienza, ogni aspetto della mia umanità ha certamente sempre un aspetto neurofisiologico, elettrofisiologico».