"Apocalypse now" VI
di: F.F.Coppola.
Fuori avanza il tramonto nell'aria indolente. Silenzioso si deposita sull'acqua del fiume spessa come sciroppo; ammanta la giungla così "massiccia" nella sua tetraggine da apparire indistruttibile. E raggiunge Willard che aspetta di conoscere cosa gli si sta costruendo intorno (oltre alla gabbia di bambù in cui e' recluso). Il "fotoreporter": "Lo sai che gli piaci ? Gli piaci molto... davvero. Ha qualcosa in testa per te... Gli piaci perché sei ancora vivo... Ha dei progetti per te. Tu, tu... aiuterai lui". Nel frattempo, era bastata una fugace sortita per capire che "li' dentro c'era un odore di morte lenta, di malaria... Di incubi". E che "era senz'altro la fine del fiume" (Willard). Come del lunghissimo viaggio di una Civiltà il cui approdo e' un uomo "eccezionale" allo stremo, più triste di una scimmia. Consumati, questo e quella, dal medesimo dissidio tanto profondo quanto atroce tra il proclamarsi aperti e tolleranti e l'agire quasi solo alla stregua di una forza brutale e soverchiatrice. Così Brando/Kurtz, eccessivo già a partire dal fisico (la sua palese obesità "tramortì" Coppola che fu costretto a fare buon viso a cattiva sorte nel tentativo di comporre in un insieme il più armonico possibile, da un lato, le istanze politiche, filosofiche e morali provenienti da Conrad; dall'altro, l'intervenuta necessita' di trasformare il registro espressivo del personaggio rimodulandolo 'obtorto collo' su un tono maggiormente allusivo e simbolico - "appesantendolo", di fatto, ancora un po' -; e un tanto oltre, l'intenzione più volte ribadita da Brando di accentuare l'enigmaticità del "suo" colonnello dilatandone in primis la verve improvvisativa e poi muovendolo senza posa sull'incerto confine luce/ombra, oscurità/presenza, buio/rivelazione), si scuote sul suo giaciglio mentre la mdp inquadra, leggermente di sbieco, un angolo completamente nero. Proprio da questo "nero" - esteticamente sublime, di una pasta quasi tattile, nero "vivo" di mano caravaggesca, si potrebbe dire - emerge la testa lucida dell'uomo-dio (Conrad: "Ed eccola di colpo, la sua testa simile a una palla, una palla d'avorio").
Willard la contempla in ginocchio, dal basso verso l'alto, timoroso, perplesso e in attesa, come se stesse per essere pronunciato un vaticinio. Kurtz, dal canto suo, indulge da subito in generose aspersioni, deboli scongiuri per una putrefazione oramai nelle cose, insieme a "quel brutto colore, quella promessa di morte grigio-azzurra come il ventre di un pesce, che si diffondeva verso l'alto risalendo dal petto fino a coprire il viso " - M.Herr, op. cit. - Quindi saggia Willard, prima d'introdurlo al "paradiso delle gardenie", allegoria di un luogo puro - le gardenie nel linguaggio dei fiori rappresentano la sincerità - che si oppone alla menzogna: menzogna della guerra; menzogna della propaganda civilizzatrice; menzogna della pietà e della comprensione (Kurtz: "Perché non c'è nulla che io detesti di più del fetore delle menzogne". Stessa insofferenza maturata da Willard: "Più vedevo menzogne, più le odiavo", così come patita dallo stesso Marlow: "Voi sapete quanto io odii, detesti, ripugni alla menzogna, non perché io sia più schietto del resto dei mortali, ma semplicemente perché la menzogna m'atterrisce. C'è in essa un lezzo di morte, un alito di corruzione, che e' proprio quel che io più odio e detesto al mondo, quel che vorrei dimenticare"). Kurtz: "Lei di dov'è, Willard ?". Willard: "Sono dell'Ohio, signore". K: "E' nato li' ?". W: "Sissignore". K: "Dove esattamente ?". W: "A Toledo, signore". K: "Quant'e ' distante dal fiume ?". W: "Dal fiume Ohio, signore ?". K: "Aha...". W: "Circa duecento miglia". (K: "Ho disceso quel fiume, una volta, quand'ero ragazzo. C'è un posto lungo il fiume... non ricordo più... Deve essere stata una piantagione di gardenie. O forse di altri fiori, un tempo... E' selvaggio, invaso da erbacce, ora. Per circa cinque miglia, pero', si sarebbe detto che il paradiso... fosse caduto sulla terra... sotto forma di gardenie...")/["K: "I went down that river, when I was kid. There's a place in the river... I can't remember... must have been a gardenia plantation at one time... All wild and overgrown now, but about five miles you'd think that heaven... just fell on the earth... in the form of gardenias"]... ... K: "Cosa le hanno detto ?". W: "Mi hanno detto che... lei e'... completamente impazzito e... che i suoi metodi... erano malsani" (in orig. 'unsound'). K: "I miei metodi sono malsani ?". W: "Io... non vedo alcun metodo... signore". (K: "Mi aspettavo uno come lei... Lei cosa si aspettava... Lei e' un assassino ?". W: "Sono un soldato". K: "Ne' l'uno ne' l'altro... Lei e' un garzone di bottega... che e' stato mandato dal droghiere... a incassare i sospesi")/[K: "I expected someone like you... What did you expect ?... Are you an assassin ?". W: "I'm a soldier". K: "You're neither... You're an errand boy... sent by grocery clerk... to collect a bill"]...
Willard - tra se' - : "Sul fiume pensavo che appena lo avrei visto, avrei saputo che cosa fare. Ma non fu così. Rimasi giorni la' dentro con lui. Senza sorveglianza. Ero libero. Ma lui sapeva che non sarei andato in nessun posto... Sapeva più lui di quanto avrei fatto di quanto ne sapessi io". In questa bolla a bassa entropia, all'interno della quale anche il tempo stenta; dopo la decapitazione di "Chef" - preposto all'eventuale trasmissione radio delle coordinate utili al bombardamento dell'avamposto - da parte di Kurtz, pegno da pagare alla fiducia del "re";
col Capitano Colby (le cui scene in origine prevedevano anche dei dialoghi e un'interazione più marcata) a fluttuare sullo sfondo mimando morbidi sincronismi marziali di un'immaginaria danza "bugaku", si precisa - tra la vegetazione che invade gli ambienti e gl'idoli khmer a sovrapporsi discreti ai volti di presenze che scivolano impalpabili come in un perenne dormiveglia - la dialettica "re"/(ipotetico) successore (per certi versi, quella padre/figlio, in cui si può, volendo, riconoscere qualche esile corrispondenza edipica nel parallelo con "The end" dei Doors che torna prepotentemente in quest'ultima parte del film, al momento di far convergere le peregrinazioni del "killer" protagonista del brano allorché giunge al cospetto dei genitori - o di figure etichettabili come tali -: "And he come a door.../and he looked inside/'Father ?'/'Yes son'/'I want to kill you'/'Mother ?'... I want to... fuck you'"), tra Kurtz e Willard, alimentata tanto in Conrad quanto in Coppola dalle sollecitazioni legate ad un testo come "Il ramo d'oro"/"The golden bough" di James G. Frazer (pubblicato per la prima volta nel 1890; come opera completa tra il 1911 e il 1915 e in una versione "sintetica", curata dallo stesso autore, nel 1922), che appare tra quelli degni di far parte della scelta ristretta dell'ufficiale/"poeta guerriero", insieme alla già menzionata "La terra desolata" di Eliot e a "From ritual to romance"/"Indagine sul Santo Graal" (1920) di Jessie L. Weston, imperniato sul ciclo arturiano e il mito del Graal. Scritti non a caso collegati fra loro da tutta una serie di risonanze e dichiarate influenze (Eliot), isolati da Coppola in un lento movimento discendente verso sinistra (come un ritrarsi) della mdp a pedinare lo sguardo di Willard e a testimoniare in un chiarore opaco e freddo concorde a quello che stringeva gli effetti personali dell'angosciato capitano in cerca di "una missione" all'inizio della vicenda, la presunzione, la sterilità di fondo e soprattutto il potenziale corruttivo della Cultura quando e' forzata a rendersi complice della prevaricazione e della violenza: lei ancor più subdola e pericolosa se si presenta adornata delle fogge più splendenti della sua forma (ancora Eliot).
Tornando a "Il ramo d'oro" dello scozzese Frazer (antropologo dai molteplici interessi, una vita spesa nell'accademia dalla quale ottenne
vari riconoscimenti, non ultimo quello di 'fellow' al Trinity College di Cambridge), il discorso che può essere fatto intorno ad un lavoro come il suo,
il quale, seppur con il tempo abbia visto le proprie argomentazioni e l'impianto delle sue metodologie ridimensionarsi drasticamente per via degli
approfondimenti della ricerca scientifica incorsi nei campi indagati - antropologia, etnografia, religione, magia, folklore, et - non può prescindere
da un dato di tutta evidenza: la notevole eco che esso ebbe a cavallo della sua diffusione, parliamo di un periodo compreso tra la fine del XIX secolo e
l'inizio del XX, in ambito genericamente "culturale" (artistico, letterario, et.). Ciò soprattutto in forza del fatto che poneva al centro dei suoi
interessi storie di popoli - e quindi usanze, costumi, leggende - in buona parte ancora sconosciute al grande pubblico: il che consentiva il diffondersi
su vasta scala di narrazioni, di speculazioni (indipendentemente dalla loro veridicità) che andavano ad affiancarsi quasi senza frizione ad un già vivace gusto per l'"avventura" e per l'"esotico", tipico dei giorni delle ultime importanti esplorazioni e dell'apogeo degli imperi coloniali. Conrad - e a ruota Coppola - non nasconde di conoscere il testo di Frazer e si appropria di alcuni suoi temi nel tratteggiare la parabola del personaggio "Kurtz" e i suoi rapporti con colui (Marlow) che ne rappresenta per certi versi l'antitesi ma pure, per altri, una sorta di propaggine. Nello specifico, il pensiero va al capitolo intitolato "L'uccisione del re divino", nel quale Frazer descrive in ragione dei suoi studi e secondo il suo punto di vista e la sua sensibilità il perpetuarsi di una certa tradizione all'interno di alcune comunità "primitive" (la quale reminiscenza si rintraccia in contesti simili indagati da M.Bloch nel suo "I re taumaturghi", quando illustra, ad esempio, lungo i rami delle dinastie, in particolare francese e britannica, la credenza che voleva il re in grado di curare talune malattie - il leggendario "king's touch" - e a cui non sfugge lo stesso conflitto vietnamita: "Non potevi fare una colpa a nessuno di credere in qualsiasi cosa... Durante le operazioni vedevi degli uomini far grappolo attorno al 'soldato dai poteri magici', creato da molte unita', che avrebbe portato a se' chiunque gli stesse abbastanza vicino attraverso un campo di sicurezza, almeno fino a quando non l'avessero sostituito e rispedito a casa o finche' non fosse saltato in aria, e allora l'unità avrebbe trasferito quella sua magia su qualche altro" - M.Herr, op. cit. -): "L'uomo creo' gli dei a sua
immagine e somiglianza e, essendo mortale, penso' naturalmente che anche quelle sue creature si trovassero nella stessa condizione... Le culture primitive credono, a volte, che la propria sicurezza e quella del mondo intero dipendano dalla vita di uno di questi uomini-dei, o incarnazioni umane della divinità. E, quindi, ne tutelano gelosamente la vita, per tutelare la propria. Ma nulla potrà impedire all'uomo-dio d'invecchiare, indebolirsi e, infine, morire. I suoi fedeli debbono fare i conti con questa triste realtà e affrontarla come meglio possono... L'uomo-dio deve essere ucciso appena le sue forze danno segni di cedimento, e la sua anima trasferita nel corpo di un successore vigoroso, prima di venire seriamente danneggiata dall'incombente decadimento... Uccidendo l'uomo-dio si era, in primo luogo sicuri di catturarne l'anima uscente e trasferirla in un degno successore; e, in secondo luogo eliminandolo prima che perdesse le forze, avrebbero sicuramente evitato che il mondo si deteriorasse come si deteriorava l'uomo-dio. Uccidendolo e trasferendo la sua anima ancora in pieno rigoglio in un successore robusto e vigoroso, lo scopo era raggiunto, e ogni pericolo evitato" - J.G. Frazer, "Il ramo d'oro" -. Come Conrad fa di Marlow una sorta di "esecutore testamentario" del viaggio nella tenebra dell'avventuriero Kurtz (Marlow: "Non tradii Mister Kurtz. Era stabilito che non lo avrei tradito mai; stava scritto che sarei rimasto fedele sono all'ultimo all'incubo che m'ero scelto"), unico, nei fatti, a guardare in faccia l'"orrore", a "conoscerlo", cioè a perdersi in esso ("Il terribile volto di una verità intravista, visione di un grigiore informe impregnato di sofferenza fisica e d'uno sprezzo noncurante per la evanescenza di tutte le cose, sia anche di quella sofferenza medesima... Egli aveva compiuto il passo supremo, aveva varcato la barriera...", Conrad), mentre Marlow ripiega, seppur arricchito di maggiore consapevolezza, nella consuetudine (ritorna nella "Civiltà") e nella menzogna (alla fidanzata dirà che l'ultima parola pronunciata da quell'"uomo notevole" era stata il di lei nome), Coppola - almeno nella versione consolidata che abbiamo definito "standard" - fa di Willard l'incarnazione più attinente agli orizzonti di Frazer di forza rigeneratrice e inesorabile la cui risolutezza appare (di proposito) incerta solo al momento di stabilire il proprio destino (per un lungo attimo, Willard, col volto che entra ed esce senza posa dal buio, dopo "aver portato a termine" la missione e "posto fine" a Kurtz, troneggia, lama insanguinata in una mano
appunti scritti - il "verbo" - del Colonnello nell'altra, sulla folla muta e assorta del villaggio pronta ad innalzarlo al rango di nuovo capo/dio,
inginocchiandosi. Ancora nello stupore del momento, lascia quindi cadere l'arma, e si appresta a recuperare Lance, regredito oramai ad una sorta di
torpida ebetudine infantile). Titubanza impossibile da riscontrare nell'ultimo monologo di Kurtz, uno dei più inquietanti che il Cinema ricordi, concentrato
di misura interpretativa (Brando), di qualità compositiva ed estetica (Storaro alterna i piani del volto e degli occhi di Brando attraversati da una
determinazione feroce e stremata alla presenza costante e maligna del "nero" che sembra avanzare per invadere ogni fotogramma), di rimandi letterari e
poetici, uno dei quali - quello al "Macbeth" shakespeariano - addirittura impressionante. Difficile infatti non trovare corrispondenze e alchimie tra
parole che in taluni momenti sembrano fare parte di un solo, immenso, angosciante, ribrezzo: "Ho quasi dimenticato che sapore ha la paura. Un tempo i
miei sensi si sarebbero agghiacciati a udire un grido notturno, e i capelli mi si sarebbero rizzati vivi sulla testa, a un racconto pauroso. Ma adesso ho
fatto orge di orrori; ogni atrocità e' così familiare ai miei pensieri omicidi che non può farmi sussultare... e tutti i nostri ieri non hanno fatto che
illuminare a dei pazzi la via che conduce alla polvere della morte. Spengiti, spengiti, piccola candela ! La vita e' solo un'ombra che cammina, un povero
guitto che si pavoneggia e si dimena per un'ora sulla scena e poi cade nell'oblio: la storia raccontata da un'idiota, piena di frastuono e di foga, e
che non significa nulla" - W.Shakespeare, "Macbeth" - Macbeth al quale le "fatidiche sorelle", espressione viva e concreta del lato-in-ombra-delle-cose,
avevano vaticinato che "giammai piegherà la testa/finche' da Birnam tutta la foresta/non muova verso di lui, in Dunsiname". Più o meno come Kurtz, il quale, ad un certo punto, nelle parole di Willard, "anche la giungla (lo) voleva morto". "Io ho visto degli orrori" - e' Kurtz che parla - "Orrori che ha visto
anche lei. Ma lei non ha il diritto di chiamarmi assassino. Ha il diritto di uccidermi. Ha il diritto di fare questo. Ma non ha il diritto di giudicarmi... E' impossibile trovare le parole per descrivere ciò che e' necessario... a coloro che non sanno ciò che significa l'orrore... L'orrore ha un volto e bisogna farsi amico l'orrore. Orrore e terrore morale sono i tuoi amici. Ma se non lo sono, essi sono nemici da temere. Sono dei veri nemici/("I've seen horrors. Horrors that you've seen. But you have no right to call me a murderer. You have a right to kill me. You have a right to do that. But you have no right to judge me... It's impossible for words to describe what is necessary... to those who do not know what horror means... Horror has a face and you must take a friend of horror. Horror and moral terror are your friends. If they are not, then they are enemies to be feared. They are truly enemies"). "Ricordo quando ero nelle Forze Speciali... Sembra migliaia di secoli fa. Andammo in un campo per vaccinare dei bambini. Lasciammo il campo dopo aver vaccinato i bambini contro la polio. Più tardi, correndo, venne un vecchio a richiamarci. Piangeva. Era cieco. Tornammo al campo. Erano venuti i Vietcong e avevano tagliato ogni braccio vaccinato. Erano la'. Un mucchio, un mucchio di piccole braccia" (episodio realmente accaduto e riportato successivamente a Milius da un amico
che ne fu testimone). "E mi ricordo che... ho pianto. Ho pianto come... come... come una madre. Volevo strapparmi i denti di bocca. Non sapevo più che volevo fare. E voglio ricordarlo. Non voglio mai dimenticarlo. Non voglio mai dimenticarlo... Poi mi resi conto, come fossi stato colpito, colpito da un diamante in piena fronte. (E ho pensato: 'Dio che genio in questo. Che genio, che volontà per fare questo. Perfetto, genuino, completo, cristallino, puro'. E così mi resi conto che loro erano più forti di noi. Perché riuscivano a sopportarlo. Questi non erano mostri, erano uomini. Quadri addestrati. Uomini che combattevano col cuore, che hanno famiglia, che fanno figli, che sono pieni d'amore. Ma che... avevano la forza, la forza di fare questo"/["And I thought: 'My God, the genius of that. The genius. They will do that. Perfect, genuine, complete, crystalline, pure'. And then I realized they were stronger than we. Because they could stand that. These were not monsters. These were men. Trained crades. These men who fought with their hearts, who had families, who had children, who were filled with love. But they had the strenght, the strenght to do that"]. Se io avessi dieci divisioni di questi uomini, i nostri problemi qui si risolverebbero molto rapidamente. Bisogna avere uomini con un senso morale ma che allo stesso tempo siano capaci di utilizzare i loro primordiali istinti di uccidere senza emozione, senza passione. Senza discernimento... senza discernimento. Perché e' il voler giudicare che ci sconfigge".
Ora non resta che morire, mentre la pioggia torna a battere la terra, quasi a sostituirsi (o ad impersonare alla perfezione) un destino già scritto, scritto
in Kurtz, scritto nei risvolti più riposti e meno confessabili di un mondo di cui egli e' stato tra gli artefici più importanti nello svolgersi di uno dei
periodi più controversi della sua storia. Willard: "Mi avrebbero promosso Maggiore per questo... E non ero nemmeno più nel loro esercito del cazzo"/
("They were going to make me a Major for this... And I wasn't even in their fucking Army anymore")... "Tutti volevano che lo facessi... Lui più di ogni
altro... Sentivo che lui era lassù... in attesa che io lo liberassi dal dolore..."("Voleva soltanto morire da soldato... in piedi... non come un povero
rinnegato, perso e stracciaculo/["He just wanted to go out like a soldier... standing up... not like some poor, wasted, rag-assed renegade"]. {"Quando ci si
accorge che e' arrivata la propria fine, e' bene accettarla con coraggio. Comportandosi in questo modo, si può anche evitare la caduta" - Y.Tsunetomo,
op. cit. -}... "Persino la giungla lo voleva morto. E da essa, in realtà, lui prendeva gli ordini". Conrad: "Giaceva supino, con gli occhi chiusi, e mi
ritirai in silenzio, ma non senza averlo udito mormorare: 'Vivere rettamente, morire, morire...'". Coppola orchestra la scena dell'"immolazione" di Kurtz
giocando uno schema basato sul semplice ma efficace montaggio alternato, all'interno del quale s'inseguono, in un crescendo in equilibrio tra fatalismo
e prostrazione, tra lampi improvvisi e una pioggia che via via diventa scrosciante, i passi di Willard che ascende alle stanze private del Colonnello
per abbatterlo a colpi di fendenti vibrati con una roncola, e i preparativi nel villaggio per il sacrificio di un bufalo "carabao" come rito propiziatorio per
l'avvento del nuovo "re". L'integrazione alla sequenza fu suggerita all'autore italo-americano da una festa che gl'indigeni Ifugao - molti dei quali
all'interno del cast come presenze che animano l'avamposto di Kurtz - celebrarono durante le riprese. Eleanor Coppola, moglie del regista, ne diede
un dettagliato resoconto redigendo le note relative al documentario sul film "Hearts of darkness - a filmaker's apocalypse -" che stava realizzando: "Il
capo mi ha detto che per la festa avrebbero ucciso anche un bufalo 'carabao' e allora ho deciso di tornare a casa per vedere se voleva venire anche Francis...
Lui era steso sul divano immobile e avvilito. E' venuto con me sul set. Il 'carabao' era legato ad un albero li' vicino. Armeggiavo con la cinepresa,
cercando di riprendere in un'unica inquadratura Francis, i sacerdoti e il 'carabao'. All'improvviso ho sentito uno scalpiccio dietro di me e quattro
uomini armati di machete mi sono passati accanto di corsa e hanno cominciato a menare colpi al 'carabao'. Era una bestia grossa, ma nel giro di due o tre
minuti era a terra morta e avevano cominciato a macellarla. La coda l'hanno data ai bambini che erano rimasti a guardare... La bestia e' stata squartata e
portata all'ombra sotto la casa. I bambini infilavano le dita nella trachea dell'animale e ci giocavano... Il capo ci ha chiesto se avremmo fatto l'onore
al sacerdote di accettare la parte migliore del 'carabao', il cuore, che generalmente e' riservata a lui. Abbiamo detto di si', allora lui e' venuto
fuori con in mano il cuore e diversi pezzi di lombata legati insieme con una cordicella. Gocciolavano sangue. L'abbiamo ringraziato. Attraverso l'interprete
ci ha detto che gli sarebbe piaciuto avere una sua foto con Francis. Ne ho scattata una dei due sacerdoti e Francis. Abbiamo messo il cuore in una scatola di cartone nel portabagagli della macchina e siamo partiti" - E.Coppola, "Diario dell'apocalisse" - Simbolicamente affine al parricidio, il gesto di
Willard (summa di tanti gesti preparatori) la cui prossimità a Kurtz ne scardina una volta per tutte le certezze - entrambi distorcono i propri
lineamenti dipingendosi il volto coi colori mimetici; l'uno e l'altro per il breve intervallo che li vede interagire si spostano sull'insidioso crinale
luce/ombra: oltre il quale, Kurtz si perderà; al di qua del quale, Willard si ritrarrà cambiato pero' nell'intimo per sempre - in antitesi con la cerimonia e
il sacrificio del bufalo, nella sua brutalità gesto finalizzato comunque a favorire l'insorgere di una rinnovata prosperità, sancisce in via definitiva la natura ingannatrice e malvagia dei "principi", delle "leggi" e delle "necessita'" (di cui Kurtz, qui, e' l'incarnazione) quando essi, nello slancio nevrotico a superare di continuo se stessi, finiscono per travolgere chiunque si ponga sul loro cammino. Così la "ragione", spinta al suo estremo diventa arroganza; il "desiderio" si fa perversione; la "volontà" degenera in abiezione e ogni progetto, ogni piano, tutti gl'"immensi piani" perdono i loro paramenti nobili, edificanti, innovativi, e si mostrano per quello che sono, nudi: gare di avidità; ossessione per la supremazia; piacere nella sopraffazione, che la lama di Willard taglia ma non recide, interrompe ma non elimina, contribuendo a porre le premesse per la genesi di un'ennesima ipocrisia, di un altro manipolabile fraintendimento - tenebra nella tenebra - attorno alla figura di tutti i Kurtz di questo mondo. A dire, una sorta di fosca grandezza, di ambigua malia, di sciagurato trasporto, eterna tabe dormiente nel cuore (in particolare) dell'Occidente, sempre pronta a risvegliarsi e a dilagare. "La ragione ha la forma di un angolo, sta seduta e non si muove. L'errore ha la forma rotonda e, incurante del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto, non sta mai fermo, rotolando da una parte all'altra" - Y.Tsunetomo, op. cit. - Come un riflesso condizionato, come una maledizione: "Un sacco di uomini conobbero la pietà nella guerra, alcuni la conobbero e non riuscirono a conviverci, chiusura totale del sentimento spazzato via dalla guerra, tipo 'chi se ne fotte'. Certi ripiegavano su posizioni di dura ironia, cinismo, disperazione, certi vedevano l'azione e si dichiaravano a favore, solo la mattanza poteva farli sentire così vivi. E altri semplicemente impazzivano, seguivano la freccia di luce nera oltre la curva e prendevano possesso della follia che era stata ad aspettarli laggiù fiduciosa per diciotto o venticinque o cinquant'anni" - M.Herr, op. cit. -
E così la pioggia continua a cadere, sempre più fitta, in una immobilità senza tempo, la giungla sullo sfondo a ricomporre il più arcaico degli equilibri. Flebile, il lascito di una testimonianza, ultimativa affermazione di se' che, senza incidere sul peso delle forze in campo, verra' recapitata, replicando ancora una volta quel "gioco" in cui l'Occidente e' davvero indiscusso maestro: quello delle mezze verità. Conrad: "Io [Marlow] mi sono trovato ad un capello dall'occasione estrema di pronunciarmi, e mi sono avvisto con umiliazione che probabilmente non avrei avuto nulla da dire. Appunto per questo affermo che Kurtz era un uomo notevole. Aveva qualcosa da dire, lui. E lo disse... Egli aveva tirato le somme - e aveva giudicato - : 'Quale orrore'... In tal modo mi ritrovai alla fine con un sottile pacchetto di lettere e il ritratto di quella ragazza" [la fidanzata di Kurtz]. Kurtz/Brando: "Mi preoccupa che mio figlio... possa non capire... ciò... che ho cercato di essere... e... se dovessi essere ucciso, vorrei che qualcuno andasse a casa mia e dicesse a mio figlio... tutto... Tutto quello che ho fatto... tutto quello che lei ha visto... E se lei mi capisce, Willard, lei farà questo per me". Per il resto, non c'è possibilità alcuna che non sia il silenzio. L'oblio, forse. Intanto, tutto viene trascinato via. Più di ogni altra cosa "questo particolare modo che abbiamo di vivere con noi stessi": l'orrore. L'orrore.
- The end(s) -
Come ebbe a dire Coppola: "Il finale e' sempre debole". E dal momento che e' raro che una debolezza non cerchi (e trovi) compagnia, ecco che il regista arrivo' a giostrarsi fra le mani addirittura tre finali. Nel primo, quello più volte definito per comodità "standard", come visto Willard uccide Kurtz, recupera il soldato-bambino Lance e riaffronta il fiume a bordo della PBR, interrompendo il contatto radio con i Comandi in attesa di ricevere le
coordinate per il bombardamento del villaggio/santuario. Il secondo, prevedeva l'esecuzione di Kurtz, la segnalazione via radio dell'ubicazione dell'avamposto e l'allontanamento repentino di Willard e Lance prima dell'incursione aerea oramai convenuta. Il terzo finale - il più vicino a Frazer - contemplava Willard eliminare Kurtz, sostituirsi a lui e prendere possesso del "regno" sul fiume e il controllo dei suoi abitanti. A latere - ma di sicuro interesse - l'epilogo ideato/sognato da John Milius: in un feroce scontro a fuoco con i Vietcong, Kurtz e Willard combattono fianco a fianco. Kurtz muore, Willard gli succede alla testa dell'"esercito fantasma", arrivando a sparare contro una squadra di elicotteri inviati a recuperarlo.
TFK
- parte sesta -
Fine
Magazine Cinema
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