New Hollywood e d'intorni (2): Incontri ravvicinati del terzo tipo
Creato il 25 agosto 2012 da Veripaccheri
"Incontri
ravvicinati del terzo tipo"/"Close Encounters of The Third Kind"
di: Steven Spielberg
con: R. Dreyfuss,
F. Truffaut, T. Garr, C. Guffrey
USA, 1977
Una delle cose per
le quali saremo sempre grati ad un cineasta fondamentale come Steven Spielberg e' di certo averci
suggerito di guardarlo meglio il cielo notturno, per vederlo con altri occhi.Dopo
l'esperienza del suo "Incontri ravvicinati del terzo
tipo"/"Close encounters of the third kind" (1977), il cielo notturno,
il cielo di sempre, non e' stato più lo stesso. Abbiamo cominciato ad
aspettarci qualcosa da lui, per schiudersi e solo la nostra pigrizia, la nostra
paura, ci impedisse di forzarlo per scoprire
portenti mai visti, magari. O inconcepibili orrori. O, forse, solo semplici
promesse. Ne' esaltanti ne' deprimenti ma promesse. In particolare, questo
accadeva quando il ragazzo d'oro di Hollywood ci chiedeva - a sua imitazione,
noi con l'immaginazione, lui con le sue predilette panoramiche laterali ad
abbracciare più campo visivo possibile - di scrutare il cielo notturno da
un'altura, in lontananza, preferibilmente durante una placida sera di fine
primavera - niente vento, qualche nuvoletta sbrindellata all'orizzonte - mentre
col suo armamentario di stelle e blu silenzioso s'andava a sistemare sopra una
cittadina qualunque che, smessi gli abiti del decoro e delle
responsabilità, si stiracchiava nel respiro lungo dell'ennesimo giorno che
finisce.
La semplicità,
l'ingenuità (spesso, a volte con ragione, rimproverata a Spielberg),
l'elementare radicalita' di un'immagine come questa, basta quasi da sola -
vista la potenza evocativa con cui si oppone al logorio degli anni e delle
coscienze - a rinvigorire l'essenziale pianta della "meraviglia" e la dice abbastanza
lunga sul fascino pressoché intatto del film presso un numero incalcolabile di
persone. Del resto, il primordiale meccanismo emotivo/estetico della
"meraviglia" proprio con la leva
degli Spielberg - pensiamo solo, come esempio, al suo più noto compagno di
avventura, George Lucas - e con il cambiamento tecnologico e produttivo che ha
caratterizzato tutta la prima parte degli anni settanta (si attua proprio in
questo periodo un rovesciamento delle prospettive di fruizione dell'opera
cinematografica: l'esperienza legata al cinema diventa un momento di fascinazione
visivo/spettacolare prima che uno scavo psicologico; un alternarsi di stati
emozionali prima che un'indagine razionale, spianando il terreno all'avvento
dei cosiddetti "blockbuster", gigantesche macchine narrative per l'intrattenimento di
massa), si impone e permea di se buona parte della Nuova Hollywood emersa come
frutto tardo di un cinema che era stato glorioso e creatore di modelli ma stava
esaurendo la propria spinta propulsiva e soprattuto stentava a rinnovarsi.
Non a caso, uno dei
motivi che ridiede vigore al cinema americano e lo rese compiutamente
"moderno", coestensivo al mondo che si andava trasformando, fu quel
nuovo modo di sentire, d'interpretare i fermenti culturali della società dell'epoca
- figlio anche, in parte, della stagione della controcultura e di cui Spielberg
fu uno dei più capaci interpreti - e di tenere insieme cose apparentemente
inconciliabili, tipo la sostanziale sfiducia nell'agire dell'uomo e delle sue
istituzioni e un'attesa febbrile per una sorta di ricomposizione universale ad
opera magari di "forze" esterne. O anche l'appoggio quasi
sentimentale ad istanze movimentiste e ambientali e uno sfumato, diffidente
quanto si vuole, ma inequivocabile ritornare sull'"american way of
life" (famiglie operaie o middle class da foto ricordo con cane, mountain bike,
garage con attrezzi e campo di mini basket). E poi un atteggiamento
antiretorico di fondo, la dimestichezza con i moduli narrativi televisivi, con
l'universo dei cartoni e dei comics, una vaga religiosità coincidente con una
specie di umanitarismo salvifico o quanto meno consolatorio, a confliggere, in
apparenza, con un solido realismo pure se circoscritto alla descrizione degli
eventi più che votato all'analisi delle cause che li hanno originati. Dopo il
successo planetario de "Lo squalo" (1974), Spielberg può
concretamente mettere le mani sul proprio cinema, scegliere i soggetti,
scriversi le sceneggiature, indirizzare produttivamente gli sforzi: in
sostanza, concentrarsi sui modelli tematici, narrativi, stilistici sopradetti.
Avere il controllo totale dell'opera, insomma. Agire in pressoché completa
libertà creativa, lasciare che l'immaginazione si prenda le sue rivincite. In
tal senso "Incontri..." e' quanto di più diretto,
"orizzontale" e"meraviglioso" Spielberg abbia mai proposto,
almeno nella prima parte della sua carriera, e come canone di sviluppo di storie
generalmente sempre molto lineari, poco inclini cioè alle complicazioni
drammaturgiche, come ai rovelli intellettualistici.
(parte prima)
(di The FisherKing)
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