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New york : la babele dei dialetti del mondo

Creato il 20 agosto 2010 da Madyur
NEW YORK : LA BABELE DEI DIALETTI DEL MONDO

A New York capita di sentir parlare decine di lingue diverse dall’inglese. Lingue comuni, ma anche idiomi rari , quasi estinti nei luoghi di origine. Nella zona di Dyker Heights , a Brooklyn, è facile ascoltare lo shugni di quanto non succeda nel Pamir. E il gottscheerisch si parla più a Ridgewood, nel Queens, che nell’enclave tedesca in Slovenia.

New York è diventata la città ideale per studiare le lingue in via di estinzione: un gruppo di filologi locali non si è fatto sfuggire l’occasione, setacciando i cinque quartieri della Grande Mela come fossero i cinque continenti del mondo.

“New York è la città con la più alta concentrazione d’idiomi al mondo” dice Daniel Kaufman , fondatrice della Endangered Language Alliance (Ela) , organizzazione per la conservazione dei linguaggi. “Qui si parlano circa 800 lingue diverse , metà delle quali rischia di scomparire nel giro di una generazione”.

I dialetti sono tanti : Dal gaelico al garifuna ( dei Caraibi) , dal mixe ( della provincia messicana di Oaxaca) , al mamuju ( dell’Indonesia). I linguisti dell’Ela stanno cercando di mappare un atlante linguistico. Secondo L’Unesco , oltre metà delle quasi 7000 lingue parlate oggi parlate sul pianeta rischiano di estinguersi entro un secolo. Eppure gli studiosi degli idiomi in pericolo son meno di un centinaio nel mondo, e le difficoltà logistiche delle ricerche sul campo complicano il loro lavoro: concentrare gli sforzi a New York può segnare una svolta.

Spesso la scomparsa di un linguaggio deriva dalla violazione di diritti umani e dalla prevaricazione di una cultura sull’altra.

Daowd Salih è uno di questi. E’ arrivato negli Stati Uniti negli Anni Novanta, rifugiato dal nativo Darfur , ha fondato un’associazione che diffonde i diritti umani in Darfur (Damanga) e collabora con l’Ela. La sua etinia Massalit è stata la prima vittima delle milizie appoggiate dal governo sudanese. Oggi la sua lingua è cancellata dal Darfur, e sopravvive nei campi profughi del Ciad e in altre parti del Sudan. Salih sta creando una grammatica e un dizionario massalit. “Non esistendo testi scritti , il rischio è che le nuove generazioni crescano senza conoscere la propria lingua” dice. “Un popolo senza lingua è come una nazione senza primo ministro: manca di una vera rappresentatività”.

Martha Hutter parla gottscheerisch , dialetto tedescole cui origini risalgono al XIV secolo. La sua comunità fu costretta ad abbandonare la Slovenia prima dai tedeschi e poi dai partigiani jugoslavi. Hutter parla la sua lingua solo con i fratelli e qualche vicino, ma con i suoi figli parla inglese. “In questo mondo manca già il tempo per imparare le cose utili , figuriamoci quelle inutili” ci dice.

“La lingua è il collante che ha tenuto unito insieme la nostra comunità per secoli e ci ha permesso di condividere valori e tradizioni” sottolinea Hutter. Abusi e violenze non sono l’unico motivo della scomparsa di una lingua. Lo sviluppo economico ha contribuito alla disgregazione di piccole comunità , con il conseguente processo di uniformità delle lingue. New York ha giocato , in questa situazione, un ruolo fondamentale accogliendo migliaia d’immigrati in cerca di lavoro in una babele apprezzata dai filologi.

Esiste anche il dialetto Quaglietta , un paese in provincia di Avellino , che ormai conta più abitanti a New York che sulle montagne dell’Irpinia.Quando si riuniscono nella sede della loro associazione , i quagliettani d’America sono tenuti a parlare in dialetto , una sorta di napoletano con qualche spruzzo di spagnolo.

Qualche tempo fa i rampolli dei quagliettani d’America hanno cercato d’introdurre l’inglese nelle riunioni dei membri più giovani. “Non glielo abbiamo permesso” dice Carpinelli , presidente dell’Associazione e immigrato a New York. “Uno dei nostri scopi principali è preservare la lingua: senza quella la nostra comunità perderebbe la sua identità”

madyur

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