Magazine Poesie
“Toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne”, risuonano così le parole del profeta Ezechiele nella voce di Armando Buonaiuto, nel pomeriggio di sabato 27 settembre, mentre introduce un dialogo che nutre il “cuore intelligente” di TorinoSpiritualità 2014 del lirismo inaspettato della psichiatria, nelle parole di Eugenio Borgna, e della brillante intuizione psicologica in quelle della scrittrice Valeria Parrella. Così l’un descrive l’altro. Lei legge le pagine di sapore lirico di lui. Lui riconosce in lei il dono della parola letteraria che sa farsi degna interprete delle emozioni, perché sa parlare al cuore.
Insieme disegnano le coordinate per uno sguardo etico sulla fragilità che abita in noi e quella che incontriamo nell’altro, nella consapevolezza doverosa per chi lavora nel mondo della cura, sia essa medica o educativa, di doversi misurare con la scelta delle parole, soprattutto quando rivolte a chi sta male.
“Non c’è psichiatria senza immagini, senza metafore” afferma Borgna testimoniando un tributo al linguaggio letterario capace di riconoscere, raccontare le ragioni del cuore di ascendenza pascaliana come nessuna diagnosi rigorosa può fare.
Ma dove nascono le parole letterarie? Nella solitudine. “La solitudine è fondamentale per uno scrittore “ afferma Parrella. E quindi il silenzio che la accompagna. D’altro canto scrive Borgna “Senza silenzio non ci sono parole”. Nel silenzio, poi, quello non solitario, quello gravido di pensieri, si può incontrare lo sguardo dell’altro e allora bisogna anche imparare a “leggere il silenzio, a leggere lo sguardo” , perfino ad “essere insieme nello sguardo”. E ancor più a riscoprire il valore comunicativo del sorriso. Nello “spaesamento che la percezione della vita crea” in cui può declinarsi la fragilità secondo Parrella, la voce di Borgna invita a riconoscere le nostre fragilità e ad accogliere quelle degli altri.
Come dire, giocando con i titoli dei loro libri, uniti da una profonda consonanza di spirito, è tempo di educare alla fragilità che è in noi.
Riporto il passo letto da Parrella a onorare la scrittura che lei definisce, nel corso dell'incontro, una "scrittura felice", quella di uno psichiatra che sa amaramente come le parole possano essere anche, dice lui, "notti oscure da cui non ci liberiamo mai più" oppure generatrici di nuovi orizzonti di senso.
" ...la gioia testimonia di un'arcana nostalgia di infitto, di un infitto che non si spegne nemmeno nelle condizioni di straziato dolore e di quotidiana attesa della morte; come quelle vissute da Etty Hillesum a Westerbork, il campo di concentramento olandese nel quale è stata confinata dal 1941 al 1943: nell'attesa, com'è avvenuto, di essere mandata a morire ad Auschwitz con i genitori e con Mischa, uno dei suoi due fratelli [...]. La gioia, una gioia di inesprimibile tenerezza, rinasce in Etty Hillesum con parole che non si possono citare se non con il cuore in gola: <Ma cosa credete, che non veda il filo spinato, non veda il dominio della morte, sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, e questo spicchio di cielo ce l'ho nel cuore, e in questo spicchio di cielo che ho nel cuore io vedo libertà e bellezza. Non ci credete? Invece è così>."
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