Torino, Van Der. Ringraziamo Ilenia Rubino, che ci ha permesso di utilizzare la sua fotografia.
Dopo aver scritto del secondo lavoro uscito per Oak Editions (label che conoscerete per l’operazione da noi appoggiata, “Dronegazers?”) col nome di Walkingsoundtracks, decido di saggiare dal vivo il percorso artistico di Nicola Di Croce. L’occasione viene data dalla galleria sabauda Van Der, che ne ospita a sua volta una veneziana, Spazio Fludd, portatrice della mostra intitolata “Specimen & Gelatology”.
In circa mezz’ora il musicista di stanza a Venezia si misura con la riproposizione di alcuni dei pezzi dell’ultima release, riuscendo a reinterpretarli con misura, partendo da un canovaccio però mai del tutto scevro da positivi cambi di traiettorie, e questo è decisamente un buon segno. In sostanza si tratta della conferma di un lento flusso sonoro che si fa sempre più cangiante, e che ospita pure una chitarra acustica, quasi a “tradire” una mai sopita voglia di innestare stilemi di tipo “classico” in strutture che rimangono multiformi e sfuggenti per eccellenza. Dunque, al netto di alcune imperfezioni tecniche (come confessato da lui stesso a fine esibizione), si deve prendere atto di quanto il suo sia un lavoro certosino (ed appassionato) sulle singole atmosfere. Di Croce ha una spiccata propensione a plasmare il suono caratterizzando una determinata scena (mentale, cinematografica), accompagnata dalla netta sensazione di avere a che fare con un individuo che conosce bene quelli che sono i limiti “tecnici” di ogni singolo strumento (caratteristica che a volte viene messa in discussione da alcuni epigoni di musiche più o meno vicine al “rumore”). L’artista lucano insomma, oltre a sapere il fatto proprio e ad argomentarlo con opportuna modestia, sa bene quanta fatica si cela dietro alla costruzione di architetture sonore tanto evocative quanto mai del tutto scontate (e non è un caso che vanti collaborazioni in ambiti cinematografici, come già scritto in sede di recensione). Continueremo a tenerlo d’occhio.
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