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Niente naja e niente laurea per la pensione. È il governo dei militesenti e degli ignoranti

Da Massimoconsorti @massimoconsorti
Niente naja e niente laurea per la pensione. È il governo dei militesenti e degli ignoranti Che il prossimo non sarà un autunno caldo ma caldissimo è nelle cose. Purtroppo la sensazione che l’Italia è governata da una gang di dilettanti si fa ogni giorno che passa più netta e più chiara. Otto ore di vertice ad Arcore a casa del presidente del consiglio, e non nella sede istituzionale di Palazzo Chigi, già la dicono lunga sul senso dello Stato che hanno le mezzeseghe al potere per volontà popolare, ma che quello stesso vertice sia servito solo ad allargare la forbice fra i ricchi e i poveri, i dipendenti pubblici e i privati, gli evasori e chi le tasse le paga fino all’ultimo cent, coloro che trascorrono le ferie a Capracotta e chi invece piglia l’aereo personale e vola ad Antigua, è sotto gli occhi di tutti. Sulle pensioni poi, argomento sul quale Bossi aveva investito la sua già scarsissima credibilità, il vertice Pdl-Lega ha cantato un de profundis che ha spinto la pur moderata signora Susanna Camusso a parlare di “golpe”. Il fatto è che se uno nasce evasore fiscale non può all’improvviso, e per il bene comune, diventare un indefesso contribuente. Se uno nasce mariuolo, a meno che Giove Tonante non lo fulmini e il Padreterno non gli si mostri con la spada in mano sulla via di Damasco, mariuolo resterà per sempre. Alle conversioni crediamo poco, ai ravvedimenti forse un po’ di più, ma nel buon senso abbiamo investito buona parte della nostra esistenza, cosa che dalle parti di Arcore appare invece come un concetto contronatura. Prendiamo le pensioni. Un uomo, inteso nel senso di maschio, si laurea, va a fare il militare rubando un anno di vita al lavoro e, arrivato a un certo punto della sua carriera, decide di riscattare gli anni di studio e di farsi accreditare sul suo prospetto contributivo l’anno di naja. Mentre per i quattro o cinque o sei anni di università versa allo Stato somme non indifferenti, l’anno di militare gli viene riconosciuto (previa esibizione del foglio matricolare) come periodo lavorativo a tutti gli effetti. Qualcuno durante la naja si sarà pure divertito ma per noi che siamo incappati nel sequestro Moro, la parola “divertimento” è stata tabù anzi, le ore di servizio di ordine pubblico, con il fucile in mano, passate sulla strada nei posti di blocco, continuiamo a viverle come un incubo. Berlusconi, che il militare non lo ha fatto, non si è posto il problema. La Lega, che ha al suo interno la più bassa percentuale di laureati di tutte le forze politiche italiane messe insieme, ha detto che si poteva fare. Il risultato è che un laureato in medicina, con servizio militare accreditato, dovrà lavorare sette anni di più mentre all’operaio della fonderia o della catena di montaggio, un anno di militare non verrà riconosciuto, ergo, “fabbrica mia non ti mollo più”. È saltato il contributo di solidarietà. Neppure la soglia dei 200mila euro ha convinto i ricchi della cosca di centrodestra a far pagare un po’ di più chi ha di più. Non sarebbe stato equo perché il ricco quei soldi della tassa li avrebbe investiti in ricerca, in cultura, in nuovo lavoro (dicono loro) e poi sono già abbastanza tartassati da un sistema fiscale punente, perché vessarli ancora e negare loro l’ebbrezza dello yacht e del Suv? Sono insorti tutti, dalle leghe e confederazioni dei consumatori ai magistrati, dagli insegnanti agli impiegati, dai pensionati in essere a quelli in fieri. Perfino Bonanni ha detto “c’è qualcosa che non va”, mentre Angeletti ha minacciato uno sciopero generale sì, ma del pubblico impiego. Di Pietro (tornato in andropausa), ha detto che questa manovra ha “luci e ombre” mentre Bersani, colto dalla sindrome da “scaldacuori” alla festa del Pd di Pesaro, ha dichiarato: “Il governo non vuole rompere il patto con gli evasori”. Ma quello che emerge in queste ore è soprattutto il contropacco che Giulietto Tremonti ha confezionato al Cavaliere. Dovete sapere che durante il vertice di Arcore, Tremonti ha detto a chiare lettere che il dimezzamento dei tagli previsti per gli enti locali, e il non innalzamento di un punto percentuale dell’Iva, non avrebbero intaccato il famoso “saldo finale”. Finito il vertice, mentre Giulio se ne tornava a Lorenzago (dove i cellulari non funzionano perché non c’è né campo né trippa per Silvio), i tecnici del ministero delle Finanze facevano sapere che alla manovra, così come era stata disegnata, mancavano ancora 5 miliardi di euro. Berlusconi, ovviamente, è andato su tutte le furie tanto che avrebbe voluto prendere Tremonti per le palle e strizzargliele con una rapida mossa di kung-fu. Ma Giulio era già partito per le sue montagne e Silvio non ha potuto fare altro che andare in tivvù a dire: “Questa manovra è bellissima, armonica, coerente ed equa”, costringendo Gianni Letta a ricorrere ad una ipersniffata di white suffle. Per Silvio, insomma, questa è una manovra equa mentre a noi sembra più una manovra da “Equitalia”, visto che le ganasce fiscali, dopo questi provvedimenti criminali, si metteranno in moto come non mai. Il tutto avviene mentre dalle carte dell’inchiesta sulla P3 il nome di Silvio viene fuori 1000 volte, ma si sa, fra pensionati rincoglioniti e rincoglioniti tout-cuort si parla sempre degli stessi argomenti: le malattie, l’aria condizionata dei centri commerciali, l’ultimo torneo di bocce, il culo della bandante e come farsi dare dal medico i campioni gratuiti di Viagra. I mercati l’hanno già bocciata, lo spred è tornato ad aumentare, di eurobond non si parla e la crescita del 2 per cento di Pil prevista per il 2011 si fermerà, nella migliore delle ipotesi all’1,8 per cento che, tradotto, significa “crescita zero”. Siccome Travaglio si è inventato un finale degno di essere riportato, lo facciamo attribuendogliene correttamente la paternità: “Francia e Germania, per favore, invadeteci”.

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