Vicepreside. Ha ragione Luca Telese a definirla così ma a me Elsa Fornero ricorda una figura assai più perturbante della mia carriera scolastica alle elementari: l’assistente sanitaria.
Non me la sono mai dimenticata. Era una cinquantina piccola e dalla faccia dura e rugosa come quella della Cosa dei “Fantastici 4″. Capelli corti e neri e rossetto sempre sbavato sugli incisivi radi. Sempre in camice bianco che più bianco non si può. Poveretta, magari in privato era una pasta di donna che coccolava i nipotini a forza di pane e nutella, ma mi terrorizzava.
Poteva arrivare in classe in qualunque momento della mattinata e non si faceva annunciare, faceva irruzione. Spalancava la porta con la stessa grazia che avrebbero usato i Delta Force, gracchiando: “Visita medicaaa!” Da quel momento poteva capitarti l’intradermoreazione alla tubecolina oppure una di quelle schermografie, fatte nel cortile della scuola con l’unità mobile, che andavano così di moda negli anni ’60, fottendosene bellamente delle conseguenze delle radiazioni sugli impuberi. Mi viene da ridere a pensare che oggi, dal dentista, per una lastrina ad un molare escono tutti dalla stanza e tu rimani lì con dieci chili di piombo a grembiulone addosso che ti ricopre dal collo ai piedi. Allora si andava più per le spicce. Due, tre proiezioni ciascuno, e avanti il prossimo. E’ strano che noi degli anni Sessanta non siamo fosforescenti al buio.
Il potere dell’assistente sanitaria sulla tua salute era quasi assoluto, a meno che il pediatra non ti facesse un certificato d’esenzione per l’intradermoreazione alla tubercolina o altre diavolerie del genere. E, ovviamente, tutto ciò che ti faceva: punture, lastre e visite, comprese le sgridate e gli scappellotti (allora usava, mica c’erano i genitori di oggi), perché a volte, in quanto bambino, ti capitava di piangere, era per il tuo bene. Ti faceva male ma era necessario e non si doveva discutere. Come la riforma della Fornero.