Era il 1876 quando Nietzsche annunciava
senza troppi fronzoli ne La gaia scienza
la “morte di Dio”. Da quel lontano
XIX secolo non ci siamo accontentati di ammazzare esclusivamente la sfera
metafisica, ci siamo fatti prendere la mano freddando via via, “progressivamente”,
anche ogni valore condiviso, sia morale che culturale. E’ vero, nell’idea di
Nietzsche e del suo nichilismo attivo,
l’atteggiamento nato da quella terribile e disillusoria “verità” era lungi
dall’essere una sbadata dichiarazione di disimpegno, un facile ”affrancamento”
da quei vincoli che fungevano da cardini esistenziali, rassicuranti “stelle
polari” a cui volgere lo sguardo per trovare un fine e un senso all’esistenza:
era al contrario un’amara presa di coscienza, una volitiva accettazione delle
“regole del gioco”, un sì alla vita
incondizionato, l’opportunità di sostituire quegli dei ormai logori e
mortificanti con sé stessi, senza tuttavia mai liberarsi della vita: “se non facciamo della morte di Dio una
grande rinuncia e una perpetua vittoria su noi stessi, dovremo pagare questa
perdita”.
Il “nichilismo attivo” non libera, ma vincola, dacché lo “spirito
libero” ama solo ciò che è necessario (l’amor
fati nietzscheano non è un rassicurante “fare tutto ciò che si vuole”,
bensì un “volere tutto ciò che si fa”). Quest’”uomo moderno” che non trova più
nel mondo una finalità e uno scopo a cui aderire, non è tuttavia un essere
immorale come lo può essere il killer contemporaneo che brama la morte di tutto
ciò che lo riporti alla “passione” per la vita.
Quell’uomo, sostituendosi a Dio
e ad ogni alterità metafisica, diviene “responsabile
di tutto ciò che vive”. Per dirla ancora con Camus: “al termine della massima liberazione, Nietzsche sceglie dunque la
massima dipendenza”.
Oggi invece, nell’epoca della
post-modernità liquida, atomizzata, frantumata e virtuale, abbiamo ucciso cogli
dei anche ogni valore e fondamento che tentasse di dare un senso ad una vita
che ne risulta spesso priva. E lo abbiamo fatto senza tuttavia aver sostituito
a quelle mummie morenti nuovi valori sostanziali. Senza fondamenti, cardini,
fini, obiettivi e sensi – anche illusori – da inseguire, l’uomo si è perso in
un labirinto vorticoso di pin, di bit, di byte, di puk, di numeri e di conti -
anonimi ma schedati, senza identità ma con password certificante, nullificati
ma con valore di mercato, risorse umane senza essere uomini. Troppo fragile e
malaticcio per intraprendere da solo la via del superomismo nietzscheano, quest’uomo
tecnologico sembra aver preferito un sicuro nulla ad un incerto qualcosa. Sfuggito
alle grinfie di Dio, ha sostituito quella sicura prigione metafisica con una
prigione razional-economica, facendo logica-mente di ogni quantità
misurabile la nuova “legge di Dio”. In fondo, quest’uomo retrocesso a strumento
nelle mani di un meccanismo che lo sovrasta desidera poche cose e spesso
facilmente raggiungibili: è il semplice benessere da salotto, quello giustificato
dal “dio quattrino” dominante.
E così il Progresso, assieme alle sue
ancelle tecnologia e economia, ha vinto con ampio distacco la partita dei
valori. Ma lo ha fatto a caro prezzo, proprio a discapito dell’uomo. Retrocesso
a vittima di un marchingegno che lo imprigiona schiacciandone l’umanità (che
bello il comfort delle prigioni dorate!), sembra persino compiacersene. Eppure,
mentre il Dio e le “tavole di valori”, peraltro spesso largamente condivise
dall’uomo metafisico preindustriale, stavano in piedi grazie a “certezze”
assolute, e venivano riconosciuto proprio in virtù di una monolitica
inattaccabilità, quantunque fondata sulla superstizione e sull’autorità, oggi,
al contrario, il nostro mondo liquefatto e disciolto sta in piedi solo perché è
completamente inattaccabile (come si può d’altronde colpire qualcosa che si è
voluto rendere un nulla “consapevole” per stare al riparo e permanere così nel
suo stesso nihil? Colpire il vuoto è
impresa insensata, se non si è della parrocchia del Cern o fan di qualche poeta
vagamente scientista).
Un mondo senza senso ma che tuttavia
funziona – potrebbe non a torto obiettare qualche dietologo esistenzialista -.
Ma funziona proprio perché non prevede la variabile “uomo”. L’unica variabile
impazzita, non “es-perimentabile” perché
irriducibile a quantità oggettive, non semplificabile in uno schema (checché ne
pensino quegli orripilati ed impauriti dalla realtà: gli psicologi e gli
psicanalisti), non calcolabile secondo parametri e protocolli prestabiliti.
Se l’uomo fa paura ai pii scientisti di
oggi, basta quindi cassarlo, rimuovendolo come si fa con ogni cosa che possa
inficiare la correttezza delle loro algide teorie ontologiche. Muore così
l’uomo, ma nascono al contempo la scienza e la sua “app” umanoide: il mercato.
E il mercato è la più grande invenzione dalla modernità post-nietzscheana. Il
nuovo nichilismo passivo dei nichilismi. Un’illusione prospettica per cui c’è
bisogno di aumentare a dismisura la velocità di circolazione delle merci per far
rimanere in piedi l’intero meccanismo (il Pil, ad esempio, viene
calcolato soprattutto sulla velocità degli scambi!). Un po’ come una trottola
vortica su sé stessa appoggiata ad un fondamento che ha una superficie
piccolissima, il mercato si regge sulla sua inconsistenza solo aumentando il moto
centrifugo/centripeta.
E la velocità è diventata così, sbrigativamente, la
nuova dea a cui unanimemente prostrarsi (“il
tempo è denaro” disse quel calvinista di ritorno di Jefferson).
Tutto deve quindi fluire velocissimamente sotto i miei occhi intorpiditi,
affinché io,. non accorgendomi di ciò che sto osservando, non mi ponga problemi
su ciò che ho appena visto (vediamo un sacco di cose ma non ne assimiliamo
nessuna. L’uomo moderno, come disse Nietzsche, ha “insieme fame e colica”). Reggersi in piedi vorticando senza senso
su sé stessi come una sorta di bulimia dettata dall'amnesia di un capogiro, è in definitiva il metodo che ha determinato il successo del mercato e del denaro. La buffa storia dello stesso ominide
contemporaneo, quello che ha preferito affrancarsi da Dio solo per trovare
nuovi dei più funzionali alla sua voglia di narcolessi esistenziale.