L’ATTUALITA’ DI “CUORE”di Nigel Davemport
Sino alla metà del secolo scorso, intere generazioni di ragazzi hanno trascorso le proprie giornate in compagnia dei personaggi deamicisiani: Enrico, Coretti, Garrone, Franti, Perboni, la Maestrina dalla penna rossa, etc.
Cuore era uno dei cosiddetti classici per l’infanzia, un romanzo raccomandato per il suo alto contenuto morale. Diverse le trasposizioni realizzate da cinema e tv, sia in passato che in tempi più recenti, a testimonianza dell’interesse che l’opera suscitava e suscita, specialmente presso le generazioni più attempate.
Il racconto si dipana sotto forma di diario; a redigerlo è Enrico, un alunno delle scuole elementari. Le cronache delle varie giornate scolastiche si alternano con interventi epistolari dei suoi familiari, il tutto con chiari intenti didascalici.
Nel libro sono contenuti nove racconti, che il maestro propone mensilmente alla classe: Il piccolo patriota padovano; La piccola vedetta lombarda; Il piccolo scrivano fiorentino; Il tamburino sardo; L’infermiere di Tata; Sangue romagnolo; Valore civile; Dagli Appennini alle Ande; Naufragio.
Protagonisti di tali vicende sono sempre i ragazzi, ognuno appartenente ad una regione diversa e dotato di lodevoli qualità: solidarietà, audacia, abnegazione, che vengono impiegate a difesa della patria, della famiglia e dei propri simili, sino ad arrivare all’estremo sacrificio: l’immolazione della propria vita per gli altri.
De Amicis attribuisce un ruolo preciso ad ogni personaggio: Enrico, figlio di un ingegnere, è il classico esponente della media borghesia; Garrone, l’emblema della bonarietà e generosità del popolo; Franti il “cattivo”, il ribelle e così via, secondo classificazioni e differenze ancor oggi esistenti, pure se definite con termini più sfumati.
Nonostante l’enorme successo ottenuto, oggi pochi ragazzi leggono Cuore. Chi lo conosce è perchè ne ha sentito parlare dai familiari o ha visto qualche suo adattamento alla tv.
Anche nelle recenti statistiche commerciali dell’editoria per ragazzi, il libro non è citato. Si tratta dunque di un testo pressoché dimenticato, non tanto perché vetusto e sorpassato, ma perché, a partire dagli anni Sessanta, una certa critica rigida ed “inquadrata” si è divertita a farne il proprio bersaglio preferito; così Cuore è diventato tutto ed il contrario di tutto, persino una “minaccia per il progresso sociale”, tant’è che alcuni commentatori, fra i quali anche qualche nome illustre, hanno fatto a gara per ridicolizzarne il contenuto.
Costoro lo ritenevano - ma quel che è peggio è che qualcuno lo ritiene tuttora - un romanzo da evitare, perché ipocrita e reazionario. Esso esalterebbe ideali nazionalisti e orienterebbe i giovani verso il conservatorismo, allontanandoli dalla lotta di classe.
Ma gli appunti mossi al libro non tengono conto che Cuore è soltanto un romanzo, ovvero una narrazione immaginaria, inoltre peccano di anti-storicità, perché fu scritto a venticinque anni dall’Unità d’Italia, quando “fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani”.
Il romanzo, secondo l’autore, doveva contribuire a dimostrare la pari dignità di tutti gli italiani e concorrere a creare una lingua comune, con cui dialogare ed abbattere le incomprensioni e i pregiudizi dovuti alle differenti culture ed alle diverse parlate regionali.
I detrattori di Cuore hanno rinvenuto dei difetti pure nei personaggi, definendo Enrico antipatico e troppo perbenista ed elogiando invece Franti per il suo carattere anticonformista.
Quest’ultimo, come molti sanno, viene descritto da De Amicis in modo negativo, in quanto incarna il prototipo dell’irriducibile, del ribelle; egli non ha alcun interesse per lo studio, né per altre attività, manca del minimo senso civico ed è indifferente alle pur generose offerte di aiuto che gli vengono rivolte.
Franti però non sembra un emarginato o una vittima del “sistema”, ma più semplicemente un balordo, uno scriteriato, un tipo rintracciabile in ogni ceto sociale, abbiente o non abbiente, borghese o proletario. A guardar bene, anche il suo retroterra familiare non sembra particolarmente problematico o depresso.
I sentimenti che il personaggio suscita nei lettori sono vari e contrastanti; partono dalla rabbia e dall’indignazione ed arrivano sino alla “pietas” e al perdono, dunque l’autore non prova alcuna acrimonia nei suoi confronti.
Definirlo simpatico, come qualcuno continua a fare, ed indicarlo come un martire della libertà o un modello da imitare è veramente illogico; attribuirgli, per altro, una coscienza di classe o addirittura adombrare in lui la possibilità di un qualche progetto rivoluzionario è una forzatura inaccettabile.
E’ singolare che si continui a giudicare un’opera scritta un secolo e mezzo fa col metro dei nostri tempi e degli attuali stereotipi culturali.
Qui è evidente il vecchio e ormai abusato "leitmotiv" di un populismo volto essenzialmente ad attirarsi le simpatie degli innovatori e degli intellettuali, ma che alla lunga ha finito per creare degli equivoci, disorientando i giovani e contribuendo a generare il caos.
Se aveva senso tessere l'elogio di Franti negli anni Settanta, dato il momento storico che richiedeva di dare una spallata alla borghesia abbiente e ai ceti dominanti, non ha più senso adesso, in quanto i tempi sono ben diversi e dovrebbero indurre a ragionare con obiettività.
In una società dove più di un Franti ha fatto carriera ed è andato a ricoprire incarichi importanti se non addirittura di potere, si comincia a provare nostalgia per la retorica deamicisiana e per la mediocre “convenzionalità” dei Coretti, Derossi e Garrone!
Oggi, a centocinquant’anni dall’Unità d’Italia, continuare a parlar male di Cuore e a snobbarlo è sbagliato e lo dimostra, tra l’altro, il film Il maestro di Vigevano (1960) diretto da Elio Petri, che si basa sull’omonimo capolavoro di Lucio Mastronardi e riprende uno dei temi centrali del libro “Cuore”, ovvero la condizione degli insegnanti elementari italiani, bistrattati e dileggiati dall’imprenditoria rampante dell’epoca.
Nessuno nega che “Cuore” presenti delle ingenuità e manchi per altro di realismo, ma è un errore ridicolizzarne o sottovalutarne il contenuto, visto il quadro non certo entusiasmante del nostro paese.
Oltre alla crisi economica, politica ed alle spinte secessioniste, si sta registrando una crescente indifferenza verso i valori veri della vita. Ciò si verifica anche nel mondo giovanile, sempre più attratto da ideali solipsistici e di facile protagonismo, alimentati pure da programmi televisivi di dubbio gusto.
Le cronache di questi ultimi anni riportano numerosi episodi di violenza, perpetrati ai danni di emarginati e disabili, oltre che casi d’insofferenza verso le istituzioni.
La scuola fatica sempre più a gestire gli allievi e, anche quando fa ricorso a legittime forme sanzionatorie, viene accusata di autoritarismo e finisce al centro di mortificanti polemiche.
Molti osservatori sono concordi nell’affermare che certi comportamenti giovanili derivano dalle profonde trasformazioni socio-culturali avvenute nell’ultimo trentennio, ma sono anche il frutto di un processo iniziato negli anni Settanta e volto a ridimensionare il ruolo di insegnanti ed educatori e ad enfatizzare invece i diritti dei giovani, generando in loro un senso d’onnipotenza e d’impunibilità.
Tutti ormai riconoscono che il Movimento Sessantottino ha prodotto importanti conquiste democratiche: diritto al lavoro, emancipazione femminile, uguaglianza sociale, etc. ma ha generato pure degli equivoci, o meglio, delle distorsioni; uno di questi è appunto la delegittimazione di valori come il rispetto, la solidarietà, l’altruismo, l’amor patrio, ritenuti improvvisamente inutili, falsi ed ipocriti e perciò “messi all’indice”.
Invece, proprio queste virtù andrebbero recuperate e riproposte vigorosamente, come manifestazioni più alte dell’uomo, indispensabili per edificare una società veramente progredita e civile.