Maglione a strisce orizzontali, cappellaccio e, soprattutto, mano destra fornita di guanto caratterizzato da quattro affilatissime lame montate come fossero lunghe unghie, l’ex bidello molesta-bambini Freddy Krueger, bruciato vivo dai cittadini di Springwood ed assunta in seguito la capacità di penetrare nei sogni dei loro figli adolescenti per ucciderli, è stato senza dubbio il simbolo del cinema horror degli anni Ottanta. Creato nel 1984 da Wes Craven tramite l’ormai classico “Nightmare dal profondo della notte” (1984) e protagonista anche dei sei successivi sequel (dei quali solo l’ultimo, “Nightmare-Nuovo incubo”, firmato dallo stesso), oltre che del cross-over “Freddy vs Jason” (2003) di Ronny Yu, viene resuscitato sullo schermo dalla Platinum Dunes di Michael Bay – cui dobbiamo quasi tutti i remake horror d’inizio XXI secolo, da “Non aprite quella porta” a “Venerdì 13” – in questo nuovo tassello che, ponendo l’ottimo Jackie Earle Haley di “Watchmen” (2009) nei panni del boogeyman sfigurato che permise al grandissimo Robert Englund di trasformarsi in una vera e propria icona del genere, sembra presentare le fattezze di un incrocio tra il rifacimento e il prequel del capostipite. Infatti, sebbene vengano riproposte diverse delle sequenze mitiche del film di Craven, da quella che vede Nancy – qui interpretata dalla Rooney Mara di “The social network” – addormentarsi nella vasca da bagno all’altra in cui il muro, alle spalle della stessa sdraiata nel letto, si deforma fino ad assumere connotati kruegeriani, il regista Samuel Bayer, proveniente dai videoclip e alla sua prima prova al servizio di un lungometraggio, introduce anche un flashback volto a mostrarci l’uccisione del Freddy comune mortale. Flashback in precedenza raccontato per immagini solo nel pilot datato 1988 della serie televisiva “Freddy’s nightmares”, ma che, riproposto nel terzo millennio con aggiunta di dubbio sull’effettiva colpevolezza del mostro, sembra quasi allegoricamente incarnare la “personalità” di una potenza a stelle e strisce spaventata in maniera concreta dalle proprie ferite post-11 settembre; piuttosto lontana da quella che, sempre sicura di trovarsi dalla parte della ragione, trovava conforto nel giustizialismo reaganiano quando a turbare l’american dream erano per lo più, appunto, gli incubi cinematografici di Krueger. E, considerando la maggiore importanza che viene data – rispetto agli altri film della serie – ad elementi legati in maniera profonda alla realtà come l’(ab)uso di psicofarmaci, non risulta difficile credere che produttori e regista, i quali sembrano in parte attingere anche dal riuscito “Nightmare 4-Il non risveglio” (1988) di Renny Harlin (si pensi all’inizio al diner o al momento in cui Kris alias Katie Cassidy si addormenta in classe), abbiano volutamente tenuto conto di questo sottotesto socio-politico. Anche se, in fin dei conti, il “Nightmare” 2010, non privo di felici intuizioni (l’incubo sulle note della sempreverde “All I have to do is dream”) e caratterizzato da un connubio fotografia-colonna sonora che, una volta tanto, rispecchia l’atmosfera originale della serie, non si presenta altro che nelle vesti di prodotto volto a proporre al nuovo giovane pubblico il personaggio che ha rappresentato una vera e propria miniera d’oro per la New Line Cinema. Personaggio che Haley interpreta talmente bene da non far rimpiangere affatto Englund, nonostante il nuovo look a cui i fan irriducibili dovranno abituarsi, avvolti da interventi in digitale ed effetti pirotecnici tendenti negativamente a spettacolarizzare ciò che venne a suo tempo portato sullo schermo in maniera tanto artigianale quanto più raccapricciante (basta paragonare la morte di Kris con quella dell’analoga Tina nella pellicola del 1984). Quindi, Freddy si è limitato a tornare… prendere o lasciare!
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