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Nightmare before Christmas di Henry Selick e Tim Burton. I know the stories and I know the rhymes
Creato il 22 dicembre 2011 da SpaceoddityMa non è facile per un incubo, il peggiore di tutti, per quello che ti attanaglia lo stomaco e ti toglie il respiro, capire il Natale. Jack ci mette entusiasmo e intelligenza, ma i conti non tornano. Pensa che il punto sia Babbo Natale, organizza un rapimento come può, ma Santa Claus nella mente di chi è abituato all'orrore diventa Sandy Claws (Artigli Sabbiosi), per cui anche rapirlo non è cosa facilissima (senza considerare la mole). Infine ci riesce, ed è a questo punto che comincia il vero incubo: non quello fatto in casa, il gioco da ragazzi di un mondo dispettoso e molto triste, ma l'incubo (Nightmare) che viene dal cielo, al posto di Babbo Natale e le sue slitte. La notte di Natale viene stravolta e i bambini sembrano dover rinunciare al loro sogno e ai loro regali.
Questa è la sceneggiatura che Tim Burton ha affidato alla regia di Henry Selick per quel gioiello di stop motion noto con il nome di Nightmare before Christmas (1993). L'umore gotico e grottesco dell'uno e l'animazione, un po' meta-animazione, dell'altro rendono questo lungometraggio un cult da oltre vent'anni, in specie nel periodo natalizio, insieme a Edward mani di forbice. Per quanto Nightmare before Christmas sia forse meno originale, mi incanta con la sua inventiva coerente e insieme sbrigliata: Tim Burton e Henry Selick, in un'animazione che già anticipa inquadrature e zoomate che saranno della cinematografia in 3D, ritagliano tre mondi spennellandone i tratti fondamentali: e il tratto fondamentale, in tutti e tre i casi, è il senso dell'attesa. Si badi: non un'attesa di qualcuno o di qualcosa. Gli uomini e le altre creature, sartoriali o d'altra fabbrica, aspettano di poter significare qualcosa. Sono esseri in cerca di senso: nel mondo di Jack la notte è il regno degli incubi, nel mondo di Babbo Natale è il momento della gioia, nel mondo degli umani è l'appagamento di un effimero come un altro.
E in tutte e tre le scene approntate da Henry Selick e Tim Burton campeggia la domanda di Jack: What does it mean? "Che significa?": ovvero, che ne è stato del nostro momento, che senso ha tutto ciò? Perché Santa Claus è sparito, perché niente è più come prima? Proviamo: niente è più come prima perché in un incubo riuscito male il creatore ha perso il controllo delle sue creature e queste hanno perso la loro ragion d'essere. Questi mostri sfuggono al loro Dr. Frankenstein (in quest'inseguimento continuo di un archetipo burtoniano nella sua altalena tra morte e vita) e invadono il mondo regolato da una ferrea disciplina dell'autoconsapevolezza.
Prometeo e Pigmalione stupiti devono correre ai rimedi, ma il frutto del loro genio non sta più al gioco, viene sedotto dalle luci e dalle speranze del Natale, da un'attesa nuova e diversa che non è nel suo laboratorio. Ne viene fuori un melodramma, che però ha i tempi di un musical. Mi fa un po' ridere che l'autore dell'irriverente Mars Attacks! (1996) - in cui si propone una spietata parodia dell'emotivismo e delle colonne sonore nel cinema contemporaneo - incanali la vicenda di Nightmare before Christmas nelle splendide - e raffinatissime - canzoni di Danny Elfman (per altro, splendida voce di Jack), che va citato quale vero e proprio coautore del film.
Nightmare before Christmas è la storia di un caos che scivola sui pentagrammi, di un'alterarsi inquieto di equilibri e sentimenti. Jack deve solo guardarsi intorno e troverà ciò che lo completa, il suo destino che non ansima negli incubi, ma sospira tra le vecchie ossa, in profondità prima ignorate. Lontani dalle angosce esistenziali di un Beckett e più che nella felicità un po' posticcia del mondo di Babbo Natale, che ricorda anche troppo (ma con più gusto) il princisbecco di Zemeckis in Polar Express, è proprio in mezzo all'orrore e alle sue dozzinali mascherate che l'attesa s'impregna di un senso.
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