Da Nascita della madre, Variazioni su Lilith. Epilogo. Riblog 11 dicembre 2009
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Il deserto è un luogo fuor di ogni misura, “non esistono serrature, nulla è chiuso, non c’è nulla” (Théodore Monod), un ecosistema estremo che porta allo stremo l’esperienza. Perciò è la dimora di Lilith, perché Lilith è attesa, sospensione, un gioco di fasi climatiche che culminano sempre in un ritorno. Il deserto che abita Lilith vuole essere questo affastellarsi apparentemente casule di volti, nomi e simboli che con il loro differirsi spezzino il ritmo della sua identità, caos che degenera ossessivamente oggetti sulla distesa del tempo. Quanto questa arida casualità, sia intimamente legata all’assoluto, è tutto da vedere. Lo si vedrà a posteriori se passando di qua, sarà possibile discendere “nella zona di silenzio in cui lo spirito all’unisono affronterà l’assoluto e la sua maschera: il caso”(Octavio Paz). Non ci sono chiavi di lettura in questo deserto, né serrature. È un percorso lungo una città che come un cactus ha spuntato umidità al deserto. È il corpo siamese della città, nel cuore del ritorno a una cittadinanza che renda documento di quanto ogni orrore abbia rimosso. È nel diserto dei vivi, non nell’oroscopo, che attraverso la porta autunnale lo scorpione abbraccia il sagittario, sancendo il ritorno all’inverno ammalato della realtà “che si ama e si odia per il suo male” (Valdimir Holan). E tutto sotto l’egida irredenta dell’unico lemma che alla fine Lilith incarna: dissidenza: singolare, femminile. Non dissidenza di fogli volutamente trasgressivi o carica virale all’attacco di una società inesistente ma organica cancerosa, umana ma naturalmente aliena al corpus sociale; Lilith, la straniera, marginale e intestina all’accertamento che ogni volta le rende documenti irregolari. Più che virale la dissidenza di Lilith è un cancro sottocutaneo al clamore; e più che l’affermazione reca la scomparsa, cui è destinato il segreto di ogni vera ritualità che conduca a morte e con la morte alla nigredo, al passaggio a una fase più autentica. Ed è un percorso inenarrabile altrimenti che a gesti, simboli atemporali, decadenti. Un discorso che intraprende il suo compimento nel momento in cui si coglie un accenno al proprio destino nel caso; e quando ciò accade a quelli che abbiano un destino votato ad un solo demone che li possegga, sembra di guardare il volto di quel demone, di cogliere quanto ogni cosa ruoti infine introno a quello. Ecco, quando questo accade, quello è il giorno che si comprendere per intero la propria impotenza e ci si perdona…. Da Nascita della madre, Variazioni su Lilith. Epilogo. 11 dicembre 2009View original