Io non ho ancora capito perché, oltre ai cinque sensi canonici e all’eventuale sesto (di cui, peraltro, ben poche persone sembrano dotate, se si esclude un nutrito gruppo di ciarlatani), non sia mai stato preso ufficialmente in considerazione il senso dell’umorismo. Ognuno ha il suo, e questo va da sé – un po’ come il gusto, in definitiva, se no non si capirebbe il motivo per cui certa gente va matta per i cachi, mentre a me provocano un voltastomaco pressoché istantaneo. Insomma, avete capito quello che intendo: una cosa (un film, un libro, un gesto, una battuta) che fa scompisciare uno dalle risate, in un altro provoca un sorrisino di cortesia lasciando un terzo del tutto indifferente. Ci pensavo l’altro giorno all’uscita del cinema.
Un’amica mi ha trascinata a vedere Sole a catinelle. Vedrai, un capolavoro, ti devi tenere la pancia dal ridere, e dài, e vieni, e su, io me lo rivedo volentieri una seconda volta. Sono andata più perplessa che contrariata.
Non che sia una musona, tutt’altro. Semmai sono una bastiana contraria (non l’ho mai vista al femminile, ‘st’espressione), perché non

Ma insomma, mi ha detto spazientita la mia amica, non c’è proprio niente che ti faccia ridere? Eppure sei sempre stata una donna divertente…
Beh, una cosa che mi ha sempre fatto ridere è quando qualcuno piglia una storta per la strada – lo so, non sta bene ridere delle disgrazie altrui, ma la faccia atterrita di una persona che tenta di evitare una caduta rovinosa a me ha sempre divertito. Ma si stava parlando di film e allora m’è venuta in mente la scena di Fra Diavolo con Stanlio ubriaco fradicio che, pian piano, spinge Ollio a ridere a crepapelle fino all’immancabile gaffe finale. Ecco, quella scena mi farebbe ridere pure se la vedessi cento volte di seguito.


Dice: sarai insensibile allo humor inglese (o naturalizzato tale – Mikes nacque ungherese: spe- cifichiamolo, prima che parta il cruficige di qualche zelantone). Ma allora pure l’umorismo francese non attecchisce su di me, ché le cento e più pagine di Régis Mailhot che mi sono sciroppata, dietro consiglio di un’altra amica entusiasta, per cercare ristoro dal grigiore di un’estate particolarmente soffocante mi hanno fatta piombare in uno stato di cupo e afoso abbattimento. Varcando i Pirenei, devo ammettere che sì, di recente ho scoperto un autore assai divertente: si tratta di Eduardo Mendoza, di cui ho letto (in traduzione italiana) Nessuna notizia di Gurb e O la borsa o la vita. In quest’ultimo ho ritrovato uno squinternato detective mezzo psicopatico le cui vicende smitizzano, in un certo senso, un genere giallo-noir ormai un po’ troppo inflazionato, e c’è da sperare che Feltrinelli continui a tradurlo perché ha scritto alcuni racconti davvero simpatici.
Sul fronte italiano, tralasciando l’umorismo discreto di uno Stefano Benni, che tuttavia non mi ha mai provocato una grassa risata, ho provato a rivolgermi a comici di professione per andare sul sicuro. Ma la Littizzetto mi aveva lasciata indifferente come il gambo di sedano citato in quel titolo, mentre la Marchesini, di cui mi ero precipitata a comprare il primo libro sperando di rivivere sulla carta stampata le esilaranti esperienze vissute in tivù o a teatro, mi ha sorpresa per la sua seriosità – non sospettavo minimamente che si fosse messa a scrivere disattivando la sua impagabile verve comica. Persino la comicità di una Franca Valeri sembra perdere vigore quando la parola da parlata diventa scritta. Ma allora non c’è un solo libro che ti abbia fatta ridere di cuore, ha chiesto sconsolata la mia amica. Sì che c’è. Anzi, ce ne sono due.


Insomma, secondo me il libro di Durrell è divertente da morire. L’ho regalato spesso, quasi sempre ad adolescenti con poca o punta voglia di leggere, e ogni volta ha suscitato commenti entusiastici – è sempre interessante capire come nasce una passione e cosa (non) fare per ostacolarla. Ma non mi si fraintenda: la mamma dei Durrell, distratta e affettuosa com’è, è un personaggio tenerissimo.
Del secondo libro parlerò un’altra volta, abbordando magari anche lo spinoso tema delle traduzioni – se non avessi imparato che bisogna far tirare un po’ il collo ai lettori, vorrebbe dire che tutto il Ken Follett che mi sono letta non mi ha insegnato nulla…
A risentirci.