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Creato il 27 febbraio 2014 da Marvigar4

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Il nostro matrimonio è di marmo. Quando penso alle ere che sono trascorse e hanno attraversato il mio corpo mi ritrovo eternamente viva e sempre appassionata. In te riaffermo il mio destino, lo metto in gioco ancora e ancora, ma non mi pesa saperti mortale: tu partecipi e porgi la mano a questa promessa senza fine. La distanza che ti impietrì all’inizio, la mia apparenza glaciale, s’è disciolta in un abbraccio. Insieme siamo diventati materia palpitante. Mi riportasti il vento caldo o gelido, un altro vento eppure lo stesso accarezzato da mio padre; mi hai ridato la pioggia del cielo caduta, conservata dal mare, riaccolta, restituita di nuovo; cantasti le stagioni, quante e quali, spettatrici dei giochi tragici o comici degli uomini; hai narrato il fuoco dei vulcani, lo scintillio dei fulmini, il bagliore delle esplosioni, le vibrazioni perenni della terra riscaldata dal sole e infreddata dalla notte. Tutto.

Ricordo la tua prima visita, l’agilità giovanile delle gambe che salivano e la sosta emozionata in fondo alla scalinata. Mi riconoscesti. Ero io. Ti conobbi, trasformato dai secoli. L’abito che indossavi non mi era nuovo. Già visto recentemente. Ma il respiro del tuo affanno, l’ammirazione, e gli occhi posati su di me venivano da lontano, molto lontano.

È bastato uno sguardo per intenderci. Ti sono infinitamente grata per l’amore che mi hai dato immediatamente. Credimi, ho anch’io la mia vanità, e sapermi non perfetta nelle mie forme, mutilata dalle angherie del tempo, tolta dalla funzione che avevo e che non posso più permettermi, mi crea angoscia. Sì, sto dicendo la verità, quella verità che nessuno s’aspetterebbe da me e quindi non chiede.

Ho le ali che non mi autorizzano a volare, anzi, mi trattengono con il loro peso. Furono modellate per impedirmi di salire in alto, tuttavia ho squarciato i secoli muovendomi nell’aria della storia. Respiro l’ossigeno, come fai tu, avverto le trasformazioni restando immobilizzata quaggiù…

© Marco Vignolo Gargini



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