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Nino Lo Bianco: Volevo fare il consulente

Creato il 29 giugno 2010 da Leone_antonino @AntoniLeone

Nino Lo Bianco: Volevo fare il consulenteMezzo secolo di capitalismo italiano visto da dentro

E’ il titolo del libro di Nino Lo Bianco, il quale racconta ricordi, esperienze e testimonianze del suo lungo impegno professionale nella consulenza di direzione e nelle imprese. Esprime la necessità di ripensare il capitalismo, il quale non è morto, nei suoi valori etici e nelle sue forme più mature e trasparenti. Nel libro esprime giudizi sulla crisi economica e sugli strumenti da adottare per superarla.

Curriculum di Nino Lo Bianco

Laureato in Giurisprudenza, docente e ricercatore presso l’Insead e docente di Finanza e Controllo presso l’Isida fino al 1970.Partner di Gea e fondatore e amministratore delegato di Telos Management Consultants nel 1974 e dal 1996, epoca della fusione Telos Deloitte Consulting, amministratore delegato di Deloitte Consulting Italia e Membro dell’European Board. Dal 1999 Senior Global Partner, dal 2000 Presidente e AD.Lo Bianco ha maturato quaranta anni di esperienza nella Consulenza di Direzione ai più alti livelli nell’industria, nei servizi e nella Pubblica Amministrazione in Italia e all’estero. Consigliere di amministrazione di numerose società industriali e immobiliari, è stato attivo nelle associazioni di categoria (Presidente ASSCO nel 1993 e vice-presidente FITA). Tra i suoi interventi su gruppi privati e pubblici si segnalano progetti per aziende quali IRI, ENI, FIAT, Telecom Italia, TIM, Iveco, Pirelli, Finmeccanica, RCS, Fondiaria, Ministeri Interni, Difesa, Esteri.Ex membro del Board della Saint John’s University – Roman Campus e del Bureau dell’advisor dell’Istituto di Innovazione Tecnologica.
Ha lasciato Deloitte Consulting a maggio 2003 per co-fondare Business Integration Partners dove ha assunto la carica di Presidente e Consigliere Delegato dall’Agosto 2003.


Ho pensato di pubblicare una vecchia ed interessante intervista a Nino Lo Bianco a cura di Roberta Leone del 31 dicembre 2004


Ci racconta la sua carriera professionale dalla docenza in Insead e Isida alla fondazione della società Telos Management Consultants? Quali sono state le motivazioni che l’hanno spinta a dedicarsi alla consulenza di direzione? Può indicare le competenze e i progetti realizzati da Telos? Negli anni 70 come si configurava il mercato della consulenza di direzione in Italia?

La partecipazione al VI° Master Isida, nel 1961-1962, è stata un’esperienza chiave per me. Il metodo dei casi, l’impianto del corso, importato da Harvard, la novità dell’insegnamento, tipica di una business school di altissima qualità dato il supporto ricevuto in quegli anni dall’EPA (European Productivity Agency) mi fece scoprire un mondo di problematiche, professionalità e cultura assolutamente diverso rispetto alla mia formazione precedente.Ne sono rimasto affascinato ed è così iniziato un periodo di intensi stimoli professionali. L’offerta di lavoro avanzata dall’Istituto, al termine del corso, mi ha gratificato ed attratto assai più delle proposte di lavoro ricevute da ENI, OLIVETTI, IRFIS.Nel corso di circa sette anni dedicati alla docenza presso l‘Istituto e come visiting professor in molte organizzazioni europee, (in ciò favorito dal fatto che l’Isida era l’unica Istituzione Italiana membro dell’EAMTC: European Association Management Training Center) ho progressivamente maturato l’interesse all’applicazione pratica e alla sperimentazione concreta dei temi dell’insegnamento di Strategia, Finanza e Controllo approfondite in Italia e all’estero.Poichè la Sicilia non offriva un tessuto aziendale di dimensione e livello tali da apprezzare contenuti e cultura tanto più avanzati era gioco forza lavorare molto al Nord o all’estero. La difficoltà di sviluppare per l’Istituto, ero infatti divenuto Vice Direttore dell’Isida con l’incarico di coordinare le ricerche e le consulenze, oltre le difficoltà logistiche che trasporti e telecomunicazioni dell’epoca comportavano, mi hanno spinto progressivamente a progettare il trasferimento a Milano ed il passaggio alla consulenza, allora in fase nascente e con potenziale culturale, economico, imprenditivo molto attrattivi.Dopo circa tre anni spesi in Gea e l’esperienza conseguita, l’occasione di incontro di altri giovani consulenti nata nel corso del progetto di lancio dell’Isvor Fiat di Marentino, generò l’idea di sviluppare una struttura di riferimento, italiana come la Gea, ma orientata più decisamente verso il settore della grande azienda e della implementazione operativa delle proposte della consulenza scaturenti dalla fase di analisi strategica.In tal senso Telos si è orientata sin dall’inizio al servizio dei maggiori Gruppi aziendali dell’epoca e ha partecipato al loro sviluppo, a partire dagli anni ’70 di Fiat, IRI, ENI, Finmeccanica, Stet, etc...Le aree di maggiore efficacia e successo sono state certamente lo sviluppo organizzativo e il change management di tali conglomerati, la riduzione costi e lo sviluppo delle efficienze operative (con lo sviluppo dello Zero Base Budget di matrice Telos) la fabbrica integrata (con lo sviluppo di rilevanti collaborazioni con strutture giapponesi importate direttamente da Telos) l’approntamento di progetti di formazione di relevanti aspetti di cambiamento strategico; ad esempio per Gruppi come Fiat, Montedison, Stet)Telos ha pertanto coperto l’esigenza dell’epoca di poter contare su un operatore nazionale, capace di accoppiare la cultura del management anglosassone con le difficoltà di comprensione, adattamento, sviluppo in una realtà diversa e lontana come la nostra.La crescita è stata continua, com successi economici ragguardevoli e l’acquisizione di una dimensione competitiva di qualche interesse. All’inizio degli anni 90 Telos fatturava, infatti, circa 40 miliardi di lire e poteva contare su uno staff di 160-170 consulenti, in larghissima misura senior e dotati di competenze eccellenti.


Perché ha scelto di concludere l’esperienza di Telos per continuare l’impegno in Deloitte Consulting Italia? Che esperienze ha maturato in questa società internazionale?

All’inizio degli anni 90 il tema della globalizzazione e il predominio delle multinazionali, in particolare Usa, creavano uno scenario molto diverso da quello che si è poi sviluppato.Le tendenze manageriali configuravano come problematiche di maggiore interesse la revisione dei processi gestionali (BPR) l’integrazione delle strutture (Value chain) la radicale modifica dei sistemi IT (da sistemi di area a ERP). Il mercato di applicazione: l’omogeizzazione delle strutture a livello globale.I champion nazionali trovavano grande difficoltà nel competere e si stava diffondendo la sensazione che il passaggio alla globalizzazione fosse indispensabile per mantenere il successo precedente.Fummo avvicinati dai rappresentanti mondiali della Deloitte Consulting che volevano rilanciare l’esperienza precedente, di poco successo, sviluppata in Italia. L’offerta di entrare nella “Confederazione” era attraente sotto il profilo culturale ed economicamente vantaggiosa.Dopo un’approfondita analisi e visite di studio volte alla comprensione dell’offerta sviluppata da Deloitte, in particolare negli Usa e in UK, è sembrato stimolante per tutti, i fondatori e lo staff professionale sviluppare, un “merge” inizialmente parziale, e successivamente di integrazione completa, con il sistema.E’ stata un’esperienza molto arricchente e di grande interesse professionale.Dopo il 1999 il sistema intendeva sviluppare un network internazionale molto integrato, con scambio di risorse tra i vari paesi a seconda delle esigenze e delle specializzazioni richieste. Cito l’esempio di un grande progetto innovativo nelle TLC. In Italia tale progetto ha richiesto nel momento del picco oltre 90 consulenti. Gli stranieri da noi coinvolti erano oltre 60, di 12 diverse nazionalità. Personalmente la carriere interna e la nomina a Senior Global Partner (categoria che ha inizialmente avuto 6 soli nominati, di cui uno solo Europeo) mi ha dato grande soddisfazione e occasione di confronto internazionale e di scambio culturale molto piacevoli.


Quali sono stati gli obiettivi che l’hanno portata a dedicarsi all’associazione ASSCO? Quali sono stati i cambiamenti che ha introdotto o avrebbe voluto introdurre in ASSCO e le prospettive delle associazione di consulenza direzionali?

Sono stato da sempre convinto che la nostra professione, essendo molto giovane, richiedesse un grande impegno, da parte di tutti, per essere “riconosciuta” e incisiva nel contesto economico nazionale. Essere riconosciuti è un prerequisito per incidere nello scenario socio-tecnico del Paese. Solo un’associazione forte e attiva poteva creare questi presupposti.La scelta di fondo del mandato ha conciso con la confluenza dell’associazione in Confindustria, al fine di avere una rappresentatività e un ruolo più visibili ed efficaci.

L’entrata delle Big Eight nel mercato della consulenza direzionale e la utilizzazione della tecnologia della comunicazione e della informazione da parte delle grandi multinazionali della consulenza che sconvolgimenti ha portato nel settore della consulenza di direzione?

Il fenomeno più appariscente è stato certamente quello dimensionale. La quantità di capitale disponibile da parte delle grandi Società di Audit e la loro presenza in tutti i Paesi economicamente sviluppati ha prodotto un gigantismo societario impensabile e imprevedibile. La loro vicinanza all’amministrazione delle grandi organizzazioni pubbliche/private e alle esigenze informatiche, ha spostato il focus della nostra attività dalla strategia e dall’organizzazione, all’IT e ai sistemi più in generale portando il baricentro dell’attività sul prodotto e sulla standardizzazione delle applicazioni rispetto al “servizio artigianale” di grande qualità e innovazione offerto dalle società operanti in precedenza con risorse più limitate ma particolarmente selezionate in base alla qualità.Il mutare dello scenario e una certa stanchezza delle domande dopo il 2000 (saturazione della richiesta di ERP, anno 2000, sboom dell’E-economy) ha creato e sta creando grandi difficoltà e mettendo in discussione il modello creato da tali società nel corso degli anni 90.


Considerati gli effetti dello scandalo Enron (scomparsa di Arthur Andersen in pochi mesi e crisi di fiducia) perché le società di audit collegate alle attività di consulting si ostinano (non tutte) a continuare a gestire le due attività?

Non me lo so spiegare. E’ una scelta antistorica, priva di motivazioni razionali. Probabilmente è difficile vendere o smontare strutture elefantiache, composte da migliaia di addetti e con strutture patrimoniali deboli e situazioni debitorie molto esposte.


A luglio del 2003 nasce Business Integration Partners, la quale si presenta con delle caratteristiche uniche nel mercato della consulenza italiana in quanto si posiziona tra i grandi system integrator (Accenture, Cap Gemini, Deloitte) e le società di business strategy (Boston Consulting Group, Bain & Company, Booz Allen Hamilton). Può spiegare la posizione originale di mercato di BIP, i settori ai quali si rivolge ed i servizi di consulenza che offre?

Ci è sembrato che l’evoluzione del mercato richiedesse nuovamente strutture professionali più flessibili, capaci di cogliere le esigenze locali (tanto delle multinazionali che dei champion nazionali) e di offrire competenze e seniority atte a cogliere le necessità di innovazione e di adeguamento di strategie superate e poco adatte al nuovo clima competitivo.In particolare puntiamo, come dice il nostro marchio, all’integrazione verticale, trasferendo le esigenze strategiche in risposte organizzative e nella strumentazione IT e non più efficaci; orizzontale trasferendo l’efficacia ipotizzata per un operatore del Settore nella compatibilità degli interessi di vari attori coinvolti nella value chain complessiva.Operiamo pertanto con uno staff adeguatamente selezionato e preparato (soprattutto mediamente dotato di qualità ed esperienza superiore alla concorrenza) puntando ad offrire collaborazioni efficaci e non solo pretese specializzazioni funzionali (spesso di tipo standard, o informatico, spesso applicando pedissequamente i manuali interni di riferimento).La dedizione al servizio e il focus sull’efficacia dell’intervento, prevalenti rispetto al profitto e al rispetto del budget della società di consulenza, sono le chiavi del successo annunciato (oltre 20 milioni di euro di fatturato nel 2004, e 14% di EBIT al termine del primo anno di vita della BIP)Dopo l’acquisizione della leadership di Settore (Energia e Telecoms) puntiamo alla penetrazione in nuove industries in cui le esperienze in precedenza accumulate dello staff interno possano riprodurre lo stesso modello di offerta e di successo.


Che importanza ha la formazione delle business school per chi intende impegnarsi nel settore della consulenza di direzione?

La formazione delle business school ha rappresentato, e tutt’ora rappresenta, una tappa obbligata per chi desidera intraprendere una carriera professionale di lungo periodo nel settore della consulenza direzionale.Si potrebbe dire che le due attività sono due facce di una sola medaglia, in particolare ove l’attività di consulenza intrapresa sia di tipo organizzativo e strategico.Se un consulente specialista, in particolare operante nell’IT o nelle operations può crescere in assenza di approfondite conoscenze di general management, chi voglia esprimersi nell’area della consulenza direzionale ha la necessità (quasi la soddisfazione di un pre-requisito) di acquisire una vision strategica e bilanciata dei vari aspetti gestionali.Il processo di formazione, tipico dei master in Business Administration, risulta la migliore palestra per inquadrare le successive esperienze professionali o l’ambiente più utile per sistematizzare e razionalizzare le esperienze compiute nei primi anni di esercizio della professione.La peculiarità delle business school, orientate all’insegnamento del cosa e del come intervenire su casi concreti, con metodologie sofisticate e innovative, rende tale esperienza fondamentale nello sviluppo professionale dei futuri manager e ancor più dei futuri consulenti.L’impegno di studio, il costo, la naturale durata temporale necessari rendono, pertanto, estremamente importante la scelta della business school presso la quale vivere l’esperienza del Master.Possiamo concludere che il master è divenuto, di fatto, una condizione irrinunciabile per una carriera di successo; ma la scelta del Master e la sua qualità sono gli elementi che determinano l’efficacia e la redditività dell’investimento.


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