Il mondo di fuori, quello dove tutti viviamo, sembra fuori dalla portata della vista e della memoria. Una parziale cecità e un oblio mirato indirizzano dunque i personaggi, un po' eroi e un po' farseschi, di Nino Vetri a raccontarsi rifiutando qualunque sfumatura di provvisorio. Tutti si comportano come se fossero sempre stati, si cresce per essere quel che si è, il divenire è una variannte più o meno accettabile del mutare.
Racconto popolato da maschere, questo più sintetico romanzo è "posseduto" da anime che, difettando di un presente che possa esser compreo, vissuto, espresso, non si incontrano mai. È attraverso un numero ristrettodi situazioni che le vite dialogano tra loro dell'impossiilità di convivere nel presente: è come se non si amassero, come se ciascuno parlasse la sua lingua, nessuno si capisce, da qui sembra corpo lo spazio dei singoli personaggi, la loro autonomia.
Le ultime ore dei miei occhiali, da questo punto di vista, è un romanzo ancora imperfetto. Nino Vetri ha, sì, trovato il suo linguaggio, ma in una forma magmatica, incerta: nei romanzi successivi, come Lume Lume, rinuncia a ragione a una punteggiatura un po' stilizzata, sensata e sensibile, ma talvolta capricciosa. Tuttavia, già in questo primo romanzo edito da Sellerio, il suo mondo interiore e familiare avvolge di voci e di note tutte sue, colpisce con le scorribande parte vere, parte inventate, per una Palermo che fu. Anche su questo, Nino Vetri è cresciuto nel tempo e ha dimostrato che il reale, la Palermo che abitiamo noi oggi, è un frutto della nostra più intima fantasia e, per perfezionarsi, passa inevitabilmente di là.