Parte il treno.
Erano le diciotto e trenta, quando Ninuccia vestita come una ragazza ma con i capelli cortissimi e bianchi, mise i piedi nel taxi.“Dove andiamo bella signora?” chiese il tassista con occhio distratto e la sigaretta penzoloni tra le labbra spenta”.“Andiamo alla Stazione Centrale ed in fretta per favore!” “Ochei” rispose il tassista, “Se vuole fumi pure, anche se è vietato lo può fare, il axi è mio e decido io, mi farà compagnia. Poi scrutandola dallo specchietto retrovisore, le chiese a bruciapelo:” Scusi la domanda, ma lei non è la dottoressa…“No!” rispose secca, “Non lo dica nemmeno per scherzo, io non sono quella là” E aspirò ad occhi chiusi la sua prima boccata di fumo da donna nuova e libera. Fuori il termometro segnava ancora meno sei, si strinse nel loden verde e mise le gambe sopra la valigia, guardando fuori dal finestrino semi aperto. Si era ripromessa che non lo avrebbe fatto, che non avrebbe guardato fuori dal finestrino, ma non mantenne fede alla promessa. Guardò per l’ultima volta il suo Palazzo, le case, i vialetti, le piante gelate, i bambini, i percorsi che aveva fatto per decenni e che conosceva a memoria. Via via che il taxi procedeva divenivano sempre più piccini, alla fine erano ridotti a dei puntini adimensionali. Sapeva con precisione assoluta, dove si trovava ogni cartello stradale, ogni buca, ogni tombino, avendo percorso migliaia di volte Bologna a piedi per mantenere la linea e per scacciare la depressione. Mentre la sigaretta stava terminando, si accorse che il tassista guardava in continuazione dallo specchietto retrovisore con aria di curiosità e le richiese con fare più deciso:”Ma scusi è proprio lei: lei è la dottoressa Ercolani, sarò anche un tassista e basta, ma non sono rimbecillito, lei è lei!” “Senta, se non la smette, io scendo e vado a piedi, tanto manca poco alla stazione, non è vero?” “Ad occhio e croce, se la strada non è troppo ghiacciata e se lei avesse messo le gomme termiche, in otto minuti e mezzo ce la faremmo ad arrivare in stazione, tutto sommato farei prima io a piedi, non fosse per questa pesante valigia.!” “Le gomme termiche ce le ho, sono un tantino logorate questo è vero, ma non la farò scivolare sul ghiaccio, stia serena! Il suo bel sedere ridanciano non ne risentirà, lo potrà usare ancora. E comunque ora che ci penso bene lei non è lei, non può essere, i suoi modi di fare non sono gentili ed eleganti come quelli della Dottoressa Ercolani, ci assomiglia come viso, ma per il resto.. ehm, non sarà mai come lei. Le rare volte che è salita su un taxi, mi dicono i miei colleghi che è sempre elegantissima e perfetta in ogni gesto che compie, fosse anche fare uno starnuto. A prescindere dall’abbigliamento, che non è come quello che indossa lei ora, fuori moda e con la puzza di canfora, cioè sembra una figlia di .. cioè una figlia dei fiori, anche se un po’ attempata! Nemmeno se campasse cento anni potrebbe essere lei!”E così dicendo sputò fuori dal finestrino, in segno di disprezzo per quella donna arrogante e maleducata. “Finalmente hai capito, disse passando al tu, “Non sono lei e non voglio esserlo, parola mia, io sono Dora.” “Dora e poi?” le chiese l’uomo con occhio sospettoso e il sopracciglio rialzato a dismisura. “Dora e basta” rispose Ninuccia, scocciata ma oramai tranquilla per non essere stata riconosciuta.
Si accese un’ultima sigaretta, felice che quel piccolo viaggio stesse per terminare, si rimise il loden, annodando bene sciarpa e colbacco di visone, logoro quel tanto che bastava per sembrare di lapin, ma ancora funzionale. Era pronta per scendere da quell’auto e dal quell’uomo curioso e puzzolente. Finalmente intravide la grande vetrata della Stazione Centrale di Bologna, fortunatamente il tassista accostò proprio davanti alla porta principale, dato che un poco per l’orario, ed un poco per il freddo, non c’erano molte auto in coda. Guardando il tassametro sputo’ di nuovo fuori dal finestrino e Ninuccia mentre aprì la portiera chiese con fare appositamente scontroso”Quanto ti devo per questo viaggio penoso? La prossima volta che fai salire una signora, ti consiglio di lavarti, altrimenti sul tuo taxi, a Bologna non sale più nessuno”.L’uomo per poco non imprecò, ma strinse forte le nocche e rispose”Sono cento euro, sarebbero stati cinquanta, ma data la tua maleducazione ne voglio cento, altrimenti ti investo e con il cavolo che prendi il tuo treno!” Ninuccia mise in tasca dei jeans una mano ed estrasse due biglietti da cento, glieli buttò nell’auto dicendo “Tieni il resto e vaffanculo!”
Voleva essere sicura che non gli rimanesse nemmeno un piccolo dubbio sulla sua identità. Ma lei non era più lei da questo momento, ora diventava Dora: Dora e basta. Lui le urlò di fermarsi per prendere il resto, ma era già scomparsa con la sua valigia nella sala d’attesa della stazione. Fece appena in tempo ad andare allo sportello, per prendere il biglietto del treno dalle mani di un’impiegata distratta che ripeteva come un giradischi rotto, la solita frase di rito. Naturalmente voleva viaggiare in seconda classe, che aveva prenotato al telefono. “E’ in partenza tra cinque minuti, sul binario numero otto, poi lo dovrà cambiare a Roma, poi lo dovrà cambiare a.. si sbrighi!” le disse l’impiegata, “o lo perderà”. “Non lo perderò, stia tranquilla,” rispose, mentre un altro biglietto da cento euro scivolò al di sotto della feritoia di vetro, dove la donna di stucco le urlò “Ma questi sono troppi, prenda il resto signora”. Mentre Dora correva, la voce rimbombò nell’atrio, “Lo tenga lei, ora non perderò il treno, ho già perso troppe cose e persone nella mia vita”. Il capostazione fischiò, il capotreno rifischiò alzando la paletta, le porte si chiusero e Dora salì al volo, perdendo una Clark mentre si avvinghiava alla scaletta. Rimase impigliata tra le porte e si sentì tirare dentro da una mano possente per non ricadere all’indietro. Non fece in tempo a girarsi, per ringraziare la persona che l’aveva aiutata a salire, che questa era già sparita dentro ad uno scompartimento, confondendosi tra le nuvole di fumo degli stretti corridoi.
Si appoggiò per un istante alla parete per riprendere fiato, si tolse il colbacco, il cappotto, la sciarpa ed i guanti, ma si accorse che aveva un piede senza una scarpa. “Accidenti, come faccio ora, con questo freddo, ma dove è andata? Ora guardo nella valigia se ne ho un altro paio di scorta: accipicchia! Cominciamo bene! Almeno per le scarpe, problemi non ne dovrei avere. Cercando di non dare troppo nell’occhio, visto che zoppicava per la mancanza della scarpa, cercò il suo scompartimento, con il posto prenotato. Dovette percorrere quasi tutto il treno in lunghezza per trovarlo, notando l’ alto numero di persone che si servivano di questo mezzo di trasporto. Per un attimo pensò alla comodità delle sue auto, ai suoi amici autisti con i quali, durante i lunghi tragitti per lavoro si faceva delle interminabili e grasse risate. Anche se era un mezzo di trasporto lussuoso e veloce questo Eurostar non era uno dei suoi bolidi avuti in regalo dal marito. E non era nemmeno la sua prima auto da lei acquistata:un’Alfa Romeo Spider duetto, modello coda tronca, della quale andava particolarmente fiera, avendola pagata con i proventi della vendita del suo primo libro.
Se con Rosina decidevano di trascorrere un week end al mare, da sole senza uomini, senza telefoni o computer attorno, usavano la Spider! Solo Aristide Paolini, veniva invitato a quei goliardici week end al mare per ridere di niente ed abbronzarsi tranquilli! Ari, così come lo chiamavano in privato, era il fidatissimo maggiordomo del defunto Cavalier Sangalli, responsabile di tutto il Palazzo e del Castello di South Staffordshire, che Ninuccia aveva comperato anni prima. Era l’unica figura maschile della quale sia lei sia Rosina si fidavano ciecamente, senza riserva mentale alcuna. D’altro canto Aristide da sempre innamorato di Rosina, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, compreso accettare Ninuccia e le sue ossessioni. Aristide le diceva scherzosamente, che quei sassi d’epoca, avrebbero avuto bisogno di una massiccia ristrutturazione non solo storica, ma anche umana. Per Ari, era stato il compito più delicato che aveva dovuto portare a termine per Ninuccia, da quando era al suo servizio. Tutte le beghe burocratiche ed i ritardi per ottenere il consenso alla ristrutturazione da parte della sovrintendenza ai Beni Culturali, la lingua inglese che Aristide mal digeriva, le regole ferree ben diverse da quelle italiane, avevano portato Paolini ad una stanchezza fisica e mentale non indifferente. Motivo per cui, Ninuccia e Rosina lo invitavano sovente a distrarsi con loro al mare. Al termine dei lavori, eseguiti egregiamente anche se esausto, Paolini era fiero ed orgoglioso di ciò che era riuscito ad ottenere. Dopo diversi anni di duro lavoro e di voli da Bologna all’Inghilterra, ora il Castello “Ben’ s Family”splendeva anche di luce emiliana. Ogni arredo era stato restaurato e rimesso al suo posto, con qualche importante pezzo di eleganza ruspante Bolognese.
Come le grandi madie per fare il pane, sistemate nelle enormi cucine del Castello,i Rolini trovati per mercatini nelle zone reggiane da Rosina e Ninuccia, durante le loro incursioni per svuotare il mercato e comperare di tutto.Dopo questi flash, la mente di Ninuccia, si destava e tornava alla nuda e cruda realtà. Continuava mentalmente a darsi della stupida, riflettendo che aveva uno scopo ben preciso:non era su quel treno per una gita premio, lo sapeva bene, quindi niente rimpianti di nessun genere, tanto meno di tipo lussuoso.(continua…)