Magazine Diario personale

Ninuccia e le scarpe degli Angeli(http://www.con-fine.com/home/la-storia-di-ninuccia/

Da Gattolona1964

Capitolo VIII:  Una nuova identità.

Seppure stanca e provata dopo quell’avventuroso e lunghissimo viaggio, il suo passo era ancora svelto e scattante. Si ritrovò ben presto in Contrada Santa Annunciata, se ne rese conto nell’udire un rintocco di campane in lontananza. Se la memoria non la tradiva, dovevano essere quelle della Parrocchia di San Paolo ma non ne era certissima. Aveva letto da qualche parte che la Parrocchia, l’annessa canonica, le abitazioni dei mezzadri ed i terreni circostanti, erano divenuti piena proprietà degli Eredi Mielini Lupi. La chiesa perciò non veniva più utilizzata per  la Santa Messa. A Bologna, nei ritagli di tempo, Ninuccia cercava di tenersi aggiornata sulle notizie che riguardavano Castrolibero. Non era mai riuscita a dimenticare il suo Paese, nonostante tutto il male che le aveva procurato. Le campane con il loro disarmonico suono funzionavano ancora, anche se con il battacchio rotto oramai da decenni.

Centro-storico-Mendicino
campanile
Sentì e contò nove rintocchi e pensò che alle nove di mattina, di solito lei era già in piedi da almeno un paio d’ore. Mentre camminava, riguardava con attenzione il paesaggio che le si prospettava davanti, cercava con uno sforzo sovrumano di ricordare se tutto quanto era ancora al proprio posto o se negli anni, qualcosa era cambiato in quel Paese. Ogni tratto delle stradine ghiacciate sembrava le parlasse ”Guarda che sei tu che sei scappata, sei tu che ci hai rinnegato e sei profondamente cambiata. Noi ci siamo siamo ancora tutti e ti aspettavamo da molto tempo, dolce Ninuccia” I visi che passavano in tutta fretta, ogni colore che intravedeva nel grigio e bianco di quella giornata invernale, ogni sasso messo lì sulla sua strada le parlava e le domande che le venivano rivolte, non avevano ancora una risposta.
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La sua più grande preoccupazione era quella di non venire riconosciuta da anima viva, nessuno doveva sapere che era ritornata per cercare Beniamino, in modo tale che se qualcuno aveva qualcosa da dirle per errore o per la voglia di chiacchierare del passato, lei lo avrebbe captato subito. Doveva ascoltare ogni parola attentamente, raccogliere il maggior numero di informazioni possibile, prendere in considerazione chiunque le pronunciasse e valutarne la veridicità. Il suo compito era anche quello di memorizzare ogni particolare che riguardasse la sua infanzia e le nefandezze che Don Raffaele Quadri compiva non solo all’interno della Fabbrica, ma anche all’interno delle tenere cosce di qualche sua lavorante. Lo stupro da lei subito, era stato occultato e mascherato a dovere da Angelica, aiutata a sua volta da Rosina, che si premunirono di mandare via dal paese Ninuccia, quando la pancia iniziava a divenire molto evidente. Avevano sparso la voce che Ninuccia era dovuta andare a Reggio Calabria da una zia, per evitare di ammalarsi ancora durante l’inverno, prendendo l’ennesima broncopolmonite. In Paese, nessuno secondo i suoi calcoli ed i suoi ricordi si era accorto della gravidanza. Angelica si era premunita di diffondere la voce che un residuo di asiacella l’aveva deformata, per giustificare le sue prime rotondità.
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Pagò profumatamente le malelingue più insistenti, con l’indennizzo ricevuto da Mastro Raffaele per il gravissimo torto subito. E se qualcuno avesse avuto il benché minimo sospetto di una possibile gravidanza di Ninuccia, ci pensava la dolce Angelica a far zittire le petulanti bocche. All’insaputa del marito Biagio che a parer suo, era meno importante di una suglia, faceva zittire con modi non proprio ortodossi coloro che osavano anche solo menzionare la parola gravidanza. Dove non arrivava lei con i soldi e a volte con il suo corpo, arrivava Mastro Raffaele con il suo potere. Passarono così gli anni e quel mistero tanto ambiguo quanto inconsueto, cadde per così dire in prescrizione. Man mano che Ninuccia cresceva e dimagriva a vista d’occhio, non se ne riparlo più. Di bambini in casa Ercolani, al numero otto di Via dei Tigli nemmeno l’ombra, di conseguenza ogni dubbio o sospetto erano svaniti come una bolla di sapone. Ninuccia doveva cercare di ricomporre un mosaico lungo quarantasei anni, doveva trasformarsi in una perfetta ed abile investigatrice, forse uno dei pochi mestieri che non aveva ancora svolto in vita sua. Rosina non era certa al cento per cento che ce l’avrebbe fatta, ma dal momento che la decisione era stata presa, confidava che vi riuscisse. Non osava però pensare come se ci sarebbe riuscita, ma soprattutto se avesse raggiunto lo scopo. Rosina sapeva ed era convinta che Beniamino fosse morto, questo non glielo toglieva dalla testa nessuno: lo aveva visto con i suoi occhi e aveva visto la lama del coltellaccio, o almeno così credeva. Se il bambino si fosse salvato miracolosamente dalle mani dell’assassina, in modo a questo punto inspiegabile, poteva stare certa che sua madre lo avrebbe trovato.
Ma Rosina scuoteva la testa e abbassava lo sguardo:”Il bambino è morto, non c’è più, come te lo devo dire per Dio? Per me è uno strazio ogni volta che sono costretta a ricordartelo”. Non si trattava di vendere migliaia di libri, o di acquistare una Banca: qua era in gioco la carne della sua carne, che ancora gridava vendetta, per quello che era stato fatto ad entrambi. Si trattava di un figlio strappato alla madre, ucciso da una nonna psicotica ed infanticida, si parlava di una madre alla quale veniva tolto nel modo più brutale che esista il bene che ha appena dato al mondo. Dora Scalzi, questa era l’identità che voleva assumere. Per prima cosa si era prefissata di trovare una dimora non lussuosa, quindi niente alberghi o Hotel a quattro stelle, dove senz’altro l’avrebbero riconosciuta, ma “Una cuccia confortevole e calda, devi trovarti” le aveva raccomandato Rosina.
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Decise di chiedere aiuto al Parroco di Castrolibero, ma di quale Parrocchia? Si ricordava della chiesetta di Santa Liberata, dove c’era un tempo Don Gaudenzio Alessi, decise che quella per il nome che aveva, andava benone e sarebbe stata di buon auspicio. “ Prima devo assolutamente telefonare a Rosina per sapere come sta, ora cerco un bar e le telefono, dato che il cellulare me l’ha buttato via quel..
marano marchesato
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Già, nella sua mente circolava ancora quell’uomo con la barba che fissava il pavimento e che sperava con tutto il cuore di non rivedere più per un bel pezzo a venire. Con la bocca diceva queste parole, ma il suo cuore pensava tutt’altro, si chiedeva come mai non l’aveva ancora incontrato e sperava che da un minuto all’altro potesse riapparire, almeno per chiederle come stava e se aveva freddo ai piedi. Ma di Gaudenzio ancora nulla, nemmeno un filo di barba si intravedeva. Non avrebbe chiesto a nessuno se lo conoscevano oppure dove poterlo trovare. Mise i piedi dentro al primo bar che incontrò sul suo cammino, l’insegna diceva”Bar degli amici”,entrò sorridente e chiese di poter telefonare. Acquistò cinque schede telefoniche da dieci euro l’una, usando una parte del resto che Mafaldo le aveva dato sulla corriera, resto che aveva conservato nascondendolo nel doppio fondo della valigia. Il doppiofondo era di stoffa a quadretti blu e bianchi, sembrava una tovaglia da picnic e fungeva perfettamente da ripostiglio segreto. Vi era anche la sua carta d’identità falsa, procurata da Aristide con l’aiuto di alcuni suoi fidati amici. Riposte per bene vi erano anche le medicine per gli attacchi di panico, una fotografia di lei e di Rosina piccoline, ed alcuni altri documenti che in caso di guaio serio, avrebbero provato che lei era la dottoressa Ninuccia Ercolani Sangalli e non Dora Scalzi. Scalzi Dora, così diceva la sua carta d’identità, residente a Modena, nata il quattordici ottobre millenovecentocinquanta, professione: dirigente, stato civile:vedova. Almeno questo era stato progettato e deciso con lucidità da Rosina e dal fedele Aristide, che pur di accontentare Ninuccia si sarebbe fatto tagliare una mano. Prese il ricevitore del telefono e compose il numero di casa. Fortunatamente Rosina disse”Pronto, Palazzo Ercolani, chi parla?” Con un sorriso che le avvolgeva il viso, Ninuccia quasi urlò dentro al telefono:”Sono io, sono arrivata circa un paio d’ore fa, il viaggio è andato bene. Tu come stai? Che cosa ti ha fatto esattamente quella screanzata di Greta? Come sta Celeste, ma come stai tu mia adorata sorella?”. “Ehi piano con le domande a raffica! Risponderò a tutto ma vai adagio nel comporre le parole altrimenti ti verrà uno dei tuoi attacchi, ed io non sono lì con te a farti respirare nel modo che conosciamo.” disse Rosina cercando di dare un contegno alla voce già rotta dal pianto e dall’emozione di sentire la sua Ninni. “Non sto malissimo, ma ciò non vuol dire che io stia benone, le lastre hanno evidenziato la rottura scomposta della caviglia, del crociato ed anche la parte superiore del menisco. Ne avrò per almeno sei mesi con il gesso, poi ci sarà un intervento chirurgico e poi dovrò… insomma poi sono nelle mani del Signore, per fartela breve!”. Passando a parlare di persone sgradevoli, Greta sta eseguendo degli accertamenti in Clinica per capire la sua nausea ed il suo nervosismo da dove le derivino. Sia lei che Celeste non sono partite per Saint Moritz. Ogni giorno sono alla Clinica per un esame diverso e Celeste l’accompagna sempre. Ergo, se non sono rimbecillita del tutto, mi ha fatto cadere per niente quella.. quella, non oso definirla! I tuoi completi da sci non era destino che li avessero loro! Comunque tutto sommato stanno bene, noi ce la caveremo anche senza di te, anzi, Ce la caveremo egregiamente! Temiamo, ma tu questo lo sai benissimo e lo hai dovuto mettere in preventivo, che la tua delusione sarà immensa, quando avrai la certezza che lui è morto. Non esiste, non è mai esistito se non per brevissimi istanti, tu lo hai potuto vedere solo per un attimo, anche se il suo volto è stampato nella tua memoria. Hai deciso di partire da sola per cercarlo, dopo quasi trent’anni. Hai voluto lasciarti tutto alle spalle e lo vuoi adesso a tutti i costi, piantando in asso chi ti ama veramente, così quasi per una rivalsa, quasi per dimostrare a te stessa che potevi essere anche per lui una buona madre? Dovevi pensarci prima cara mia, non puoi più permetterti di giocare con la vita degli altri, me compresa, per cercare una persona che tu non conosci e che non puoi amare, visto che i tuoi occhi si sono posati sul suo corpicino per pochi minuti. Non te lo permetto Ninuccia! “Tu vieni a dire a me, ora a questo punto che cosa è giusto e che cosa non lo è? Sono io che non te lo permetto, visto che quel mattino non l’hai uccisa con una mazzata in testa, tu non le hai affondato la tenaglia di mio padre nel cervello, mentre io urlavo di dolore come una pazza!” “Ma ti rendi conto di quello che dici? Eravamo piccole, impaurite, in mezzo a quel lago di langue, lei invece era un mostro di tre taglie più grande di noi due messe assieme! Era pure sbronza quel mattino, piena di forza e di odio, non l’avremmo mai battuta, nemmeno se tu fossi stata libera ed in piedi, anche se sanguinante.” Non si lasciavano parlare a vicenda, erano ancora troppo arrabbiate con il destino, ma si amavano profondamente come due sorelle e nessuna delle due, voleva avere la responsabilità del dolore dell’altra e così finivano spesso per bisticciare. “Ti chiedo la cortesia di lasciarmi finire di parlare, ti sottolineo che dovevi pensarci prima se compiere o no, questo folle ed insensato gesto! Decenni fa per la precisione, invece di correre da un lato all’altro del mondo, per accumulare tesori e uomini inutili! Che cos’è questa improvvisa voglia di maternità? Non ti bastano le tue figlie? Non hai un esercito di amici tuoi e miei, che non voglio chiamare subalterni, ma uso appositamente la parola amici! Perché mi fai e ti fai questo? Ora starai doppiamente male, la tua salute non è più quella di un tempo, e tu…tu sei partita da sola.
Si beh, sei andata via senza di me ed io mi trovo qua sola, ed è la prima volta che accade! Ecco sono riuscita a dirlo, accidenti a te! Non lo troverai mai purtroppo, te l’abbiamo detto io e Aristide in tutte le lingue del mondo, te lo hanno ripetuto fior di detective a suon di cifre folli, spese per sentirti dire che di lui non c’è nemmeno una piccola lapide in sasso crepato sulla quale piangere, non esiste segno di lui, non abbiamo un solo piccolo maledettissimo indizio, di qualcuno che ha visto o sentito qualcosa. Niente di niente, a conti fatti tu non lo hai nemmeno partorito, nessuno ti vide con la pancia, lei ed io non parlammo ad anima viva della tua gravidanza, e abbiamo fatto tacere chi aveva anche solo un dubbio. Ma se esistesse qualche dannata anima che sa, di certo non parlerà mai! Dovessero tagliargli la lingua e amputargli i testicoli: non li conosci ancora i nostri ex compaesani?” Rosina sembrava un fiume in piena, usava un linguaggio che raramente Ninuccia le aveva udito usare, sembrava come impazzita e non riusciva a trattenere con diplomazia quello che la sua mente covava. Ora non taceva più e le vomitava tutto addosso senza trattenere nulla. Continuò imperterrita anche se il dolore alla gamba era lancinante:”Sei arrivata persino a consultare diverse sensitive, basta te ne prego! Non ce la faccio più! Torna indietro se non vuoi che stavolta il cuore ti si spezzi del tutto per sempre.
Rosina dovette trattenere un singhiozzo improvviso, molto simile ad un pianto, bevette un sorso di camomilla e tentò di proseguire, prese tutto il fiato che le rimaneva in gola e le disse” Tu sei da sola in questo percorso, lo vuoi capire o no?” Rosina deglutì ancora forte, nella speranza di trovare altra voce da usare, ma all’improvviso sentì in gola un nocciolo di pesca che la stava strangolando. Dovette chiamare Aristide con il cerca persone per un bicchiere d’acqua ed un calmante. Allo stremo delle forze, Rosina Giudici si ritrovò con in bocca il lembo del lenzuolo ricamato, strappato dai continui morsi che gli dava per non urlare e non far capire a Ninuccia che era disperata. Ma anche se non aveva più fiato in gola e la salivazione era scomparsa dalla bocca, continuò senza arrendersi a conversare. “Di conseguenza ci vedremo molto prima di un anno, i tuoi sessanta li festeggerai con noi a Palazzo come ogni anno e non dove ti trovi ora. Abbi cura di te, Ninni e quando avrai bisogno, sai dove trovarmi, ma per saluti o scemenze di poco conto ti chiedo di non disturbarmi più: la decisione che hai preso è una sentenza di morte per te. La mia voce e la mia testa non sono rotte, non sono ingessate, funzionano discretamente bene e comprendono da sole, che non posso fare di più per te in questo momento della tua vita. Mi devo solo rassegnare e prenderne atto e cosi sia!” La conversazione era terminata ancor prima che Ninuccia, potesse dire a Rosina che le voleva bene, un bene dell’anima, voleva urlarle che ora sarebbe ritornata indietro da lei. Cercava in ogni modo la voce, per dirle che era tutto folle quello che voleva compiere, ma le parole non le uscivano più dalla bocca, nemmeno una. Voleva anche rassicurarla sul fatto che era tutto vero quello che lei le aveva detto, ma era pur vero che Ninuccia non sarebbe mai ritornata sui suoi passi. Non aveva tagliato i capelli a zero per un valzer degli ormoni, non si era fatta tutto quel viaggio orribile per una voglietta da donna incinta, nulla di tutto questo: lei ora voleva solo trovare suo figlio, punto e basta anche se era in ritardo di quarantasei anni. Era come un fuoco che le squarciava il petto e non la lasciava respirare, doveva trovarlo a tutti i costi, anche se avesse dovuto rovistare e mettere a soqquadro Castrolibero e l’intera Calabria. Chiese al barista una toilette per prendere tempo e lui, asciugando distrattamente una tazzina, gliela indicò dicendole”In fondo a sinistra c’è il bagno, ma, scusi signora, noi due non ci siamo già conosciuti? Io sono Martino, Martino Ponzi e tu non sei..?Ma sì che sei la Nin… sì, tu sei Ninu..”. Prima che il barista potesse finire la frase, Ninuccia scappò in bagno con la fronte ed il solco tra i due seni completamente bagnati di sudore. Stava per svenire, ma il pensiero degli occhi imploranti di Beniamino che l’avevano guardata per pochi secondi, le impedì di cadere. In un lampo le venne un’ idea, tirò la catenella dell’acqua, si bagnò le tempie ed i polsi, si asciugò per bene il seno ed uscì dalla toilette, sicura di sé e determinata come non mai. “La ringrazio per il telefono, signor… come ha detto?” “Sono Martino, ma non ti ricordi più di me?” “Guardi mi confonde con un’altra donna ,io mi chiamo Dora Scalzi, sono arrivata poc’anzi per ricostruire l’albero genealogico della mia famiglia. Sono stata incaricata dal Comune di Modena per il quale lavoro, di fare queste ricerche storiche. Pare, dico pare, che io abbia la famiglia con le origini più antiche di tutta Modena. I miei superiori hanno scelto me quest’anno e non una delle mie colleghe, che invece sarebbe stata ben felice di venire via per un po’ di tempo, dalle nebbie e dall’umidità emiliane!L’ uomo del bar la fissò stupito, la riguardò meglio e disse dispiaciuto”In effetti, ora che la guardo ehm, meglio, non può essere lei, anzi lei non aveva queste forme. Anche se dopo tanti anni sarà cambiata certamente, ma ricordo bene che odiava i capelli rasati a zero come un soldato, non se li sarebbe mai tagliata in vita sua, mai!Lei li portava lunghi con i boccoli, anche se sua madre la obbligava a raccoglierli a crocchia, come una vecchia nonna e a tenerli coperti con un fazzoletto nero in segno di lutto. Quale lutto poi? non l’ho ancora capito alla mia età! Lei era bella, lei era la vita ed il sole di Castrolibero, non ce ne sarà mai più un’altra, come Ninuccia Ercolani. Era talmente bella che tutti noi ragazzi perdemmo la testa per lei, ma lei non ci credeva e diceva che si sentiva orribile con quella piccola gobba sul naso.“Me la farò togliere prima o poi, vorrei un profilo perfetto ed il nasino all’insù, così sembro proprio una strega e temo di spaventare i bambini! Lo farò a Cosenza con i soldi che guadagnerò dalla vendita del mio primo libro” Martino tornò in sé e smise di guardare il soffitto, aveva avuto una visione celestiale ma doveva tornare con i piedi per terra o avrebbe fatto avere un altro attacco di panico alla donna che gli stava di fronte.“Mi scusi signora, ma lei ha un naso troppo perfetto, capelli troppo corti da maschio, lei è troppo dove dovrebbe essere poco, ed è pochissimo dove lei era il massimo, mi scusi la franchezza! Con la nostra amata e mai dimenticata Ninuccia lei non c’azzecca proprio nulla! Era bellissima, anche se aveva quel lieve difetto sul naso, su questo non si discute.”Martino terminò il suo lungo discorso, dopo aver onorato e santificato una donna che agli occhi di Ninuccia pareva già morta e beata. Dovevano averla amata molto al Paese, i suoi pochi e veri amici! Mi scuso signora Scalzi: come posso fare per farmi perdonare?” “Beh, visto che me lo chiede, una cosa per me la potrebbe fare e sarebbe molto molto gradita.” “Tutto quello che vuole” rispose Martino prontamente, aggiustandosi il grembiule e posando la tazzina che oramai doveva essere più che asciutta. “Avrei bisogno di trovare un alloggio che non sia una locanda o un albergo, mi accontenterei di qualsiasi cosa, purché confortevole e pulita. Per svolgere il mio incarico, avrò bisogno di diversi mesi di studio e di concentrazione, perciò la mia sistemazione dovrebbe essere, diciamo così a medio-lungo termine. Se fosse possibile vorrei sistemarmi in un luogo tranquillo, lontano dalla confusione. Sa per ricostruire un albero genealogico occorrono attenzione, pazienza e molta tranquillità.” “Che cosa significa una sistemazione a medio-lungo termine? Devo comprendere bene che tipo di alloggio suggerirle, in modo che io sappia indicarle un luogo consono alle sue ricerche. A proposito, quanto sarebbe in grado, mi scusi la domanda, di pagare? “Non si preoccupi di questo fatto: il Comune mi ha rifornito di danaro a sufficienza, questo non rappresenta un problema; mi dica piuttosto, ce l’ha questo suggerimento o no?” Martino, si guardò attorno con fare circospetto e con aria di rivelarle il segreto più segreto del mondo, le fece cenno di avvicinarsi al bancone e le sussurrò in un orecchio”So per certo che Don Pasquale Alessi, parroco e Monsignore della Parrocchia dei Beati Martiri, cerca da tempo memorabile, anche se non lo ammetterà mai, una per così dire perpetua, voglia perdonarmi il desueto termine. O meglio è alla disperata ricerca di una collaboratrice domestica per la Parrocchia e per la sua disordinata persona. In cambio offrirà vitto ed alloggio, cioè una bella camera da letto con annesso bagno personale. Che ne dice Dora? “Direi che è perfetto per me! Anzi, se mi indica la strada ci vado subito e chiedo se il posto è ancora vacante!” “Lo è, lo è, altro che vacante, quello è un posto di lavoro assente!” disse Martino “A quel pretone non si vuole avvicinare nessuna donna, tanto è cattivo e burbero; odia le femmine per principio, ma dovrà pur ammettere che di una ne ha bisogno! Quindi dovrà adattarsi ad averla tra i piedi se vuole andare a letto con le lenzuola pulite e smetterla di mangiare cime di rapa crude. Si dice in giro, che da quando non c’è più Don Gaudenzio suo fratello, la Chiesa, la canonica e la sagrestia siano diventate un nido di topi e di sporcizia! Ce ne vorrebbe una squadra di donne con lo spazzolone in una mano e l’acido muriatico nell’altra, per far tornare tutto lucido ed igienico come ai bei tempi!” “Una donna sola basta e avanza, è sufficiente trovare quella giusta. La ringrazio di tutto quanto e a presto”. Ninuccia uscì in tutta fretta e molto soddisfatta dal Bar degli Amici. In effetti il nome del bar,si era rivelato all’altezza della situazione pensò Ninuccia, che in pochi minuti era riuscita a presentare la sua nuova identità e aveva comunicato il motivo per il quale si trovava a Castrolibero. La voce si sarebbe presto sparsa per il Paese ed era quello che lei voleva. Per essere arrivata solo da mezza giornata l’inizio prometteva bene e poteva solo migliorare con il passare dei giorni. Percorse altre tre stradine al di fuori del centro abitato, l’ultima delle quali era particolarmente sconnessa. Steli di erbe ghiacciate, sassi e detriti di ogni forma e colore spuntavano dalla neve.

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(fotografia di Ninuccia e Rosina, alias: fabiana e giuliana, anno 1983…)

Per terra vi erano anche pezzetti di muri, mattoni in briciole e centinaia di vetri rotti, ricoperti dal ghiaccio che avrebbero potuto tagliarle una gamba. Erano vetri opachi e lei stava ben attenta a non calpestarli, con quel che le rimaneva ai piedi di quelle povere scarpe di tela. Questo sentiero portava in aperta campagna, Ninuccia che non connetteva più molto lucidamente per la stanchezza si chiedeva se fosse possibile che la Chiesa dei Beati Martiri si trovasse proprio in mezzo ad un campo. Possibile che fosse proprio quella la Parrocchia di quando era bambina? Erano questi i luoghi nei quali lei aveva dato alla luce Beniamino? Più si guardava attorno e più non riconosceva né la strada e nemmeno la direzione, non vedeva case e abitanti, solo

(FILEminimizer) Dott. Onofrio Palamara
. Ma la cosa che maggiormente la preoccupava, era non scorgere il tetto della Fabbrica delle Scarpe. Come se il tempo l’avesse inghiottita, la fabbrica si era volatilizzata nel nulla, così come avrebbe desiderato del suo stupro. Non ricordava che fosse così lontana dal centro, come non ricordava che la Parrocchia dove stava dirigendosi, si chiamasse “Chiesa dei Beati Martiri”. La sua parrocchia, quella di Don Gaudenzio Alessi, si chiamava “Chiesa di Santa Liberata” e non aveva alcun dubbio. Il tempo era trascorso senza sosta e con esso era terminata anche la grande pandemia di asiacella, che coinvolse tutta Italia e Castrolibero in particolare durante quegli anni. Ninuccia pensava per farsi coraggio, che tutto quanto era stato bruciato, come nel libro dei Promessi Sposi, quando i Lanzichenecchi portarono la peste a Milano, quindi i monatti nel trasportare i morti sui carri, dove passavano bruciavano e sventravano case e ogni cosa vi fosse all’interno. “Per evitare il contagio” si continuava a ripetere Ninuccia,”Dunque anche qui sarà successa la stessa cosa, ma sicuramente qualche resto o segno che mi farà ricordare, lo troverò ”. I terribili e dolorosi sintomi dell’asiacella che si presentava con febbri altissime, broncopolmonite accompagnata da nausea e vomito, non risparmiavano nessun essere umano. Raramente qualche anima riuscì a sopravvivere anche se con strascichi fisici tremendi.
In Paese nella vecchia farmacia, non se ne comprendeva il motivo, ma vi erano ancora scatoloni di Tulidomade, la micidiale medicina contro la nausea, molto in voga negli anni sessanta. Nonostante fosse stata tolta dal commercio, per le gravissime conseguenze sui feti che nascevano focomelici, il vecchio farmacista del Paese continuava a farsene mandare dalla casa madre tedesca, per aiutare le donne gravide a sopportare le nausee. Era in contatto con certi ex soldati tedeschi ,che gliele procuravano a bizzeffe e a prezzi molto bassi, pur di smaltire le scorte. Si era potuto osservare, che le donne gravide del paese, miglioravano come sintomi, lui noncurante delle conseguenze terribili continuava a spacciarne. Nel periodo dell’ asiacella, ne diede ai paesani in gran quantità sostituendo solo le scatole, facendole passare per Imperidone, lo sciroppo per placare i sintomi di forte nausea e vomito. Purtroppo gli effetti furono anche questa volta devastanti, procurando moltissime morti su uomini, donne e bambini. Le pochissime spose che riuscivano a portare a termine la gravidanza, partorivano bambini privi di qualche arto.
Nascevano così bambini deformati, spaventosi a detta di tutti: qualcuno senza le gambe, chi non vedente, altri sordomuti, qualche bambina non si sviluppava nella pubertà ma rimaneva una nana per sempre. Questi bambini sopravvissuti alla pandemia erano ventidue a Castrolibero e venivano chiamati “Gli Angeli”.
Se da un lato, la natura aveva tolto loro alcune parti del proprio corpo, dall’altro li aveva dotati di una sensibilità e di una creatività eccezionali: erano i bambini del Coro di Castrolibero, che imparavano a suonare e a cantare diretti ed istruiti da Gaudenzio.
Le faceva ancora male pronunciare quel nome, sapeva che lo avrebbe rivisto prima o poi, era inevitabile, ma più tardi era e meglio sarebbe stato per lei e per i suoi obiettivi. Mentre le sue gambe affondavano sempre più nella neve, Ninuccia era congelata dalla testa ai piedi. Ad un certo punto si imbatté in un vecchio rudere abbandonato che costeggiava la Chiesa. Sembrava un capannone, che ne so un’autofficina per riparare le auto, certamente era uno stabile che nessuno usava più da diverso tempo. Il tetto non esisteva più,al suo posto vi era un grande cratere, lungo come tutta la lunghezza del rudere. I finestrini erano ridotti ad una montagna di vetri, la porta d’ingresso in ferro era completamente arrugginita e putrefatta nelle colonne di legno. Era chiusa con un catenaccio con una strana forma a campana, anch’esso arrugginito notò Ninuccia attentamente. Forse era servito per legare un toro di qualche contadino dei dintorni.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter entrarvi dentro e vedere di che cosa si trattasse, ma il freddo e la stanchezza non le permisero di fermarsi nemmeno un istante a controllare.
Continuava a fissare il capannone come ipnotizzata, le idee le si accavallavano nel cervello, le venivano davanti agli occhi degli strani flash, un’insegna con la S a penzoloni continuava a girarle dentro la testa. Nonostante non si fermasse, per la fretta che aveva di arrivare alla porta della Chiesa, continuò a camminare con la testa girata all’indietro e gli occhi incollati al cratere formatosi al posto del tetto. Cinque gatti imbestialiti e miagolanti correvano all’impazzata, azzuffandosi per entrare ed avere una dimora nella quale essere riparati dal freddo. Proprio come lei che avrebbe fatto ricorso al suo danaro pur di avere un posto caldo e coperte avvolgenti morbide e di cachemire per ripararsi da questo gelo innaturale. Facevano paura quei gatti randagi, emettevano il miagolio di un essere umano che stava per essere sbranato,chissà perché! ma quel paragone le nasceva spontaneo. Ninuccia andava ripetendosi che non poteva essere quello lo stabile, non era possibile che quell’ammasso pauroso di ferro
e legno marcio fosse ciò che rimaneva della fabbrica. Quel mostro in rovina, non doveva trovarsi lì nel mezzo di un prato innevato, le cose non le tornavano. Attorno alla fabbrica in quei tempi c’erano diverse case, tra le quali la sua. In quella radura ghiacciata colorata di bianco, case o altre abitazioni non ce n’erano, lei vedeva solo qualche resto di quelle che un tempo forse, erano case. Ora non vi era nemmeno l’ombra di qualche essere umano che potesse abitarvi. Non si scorgevano tetti, porte o finestre ma solo una quantità enorme di sassi lunga diverse centinaia di metri, che ad un certo punto si snodava in una croce. Questa forma a croce, incuteva rispetto e terrore, il simbolo sacro faceva pensare a quanto dolore potesse essere passato da quelle parti. Nonostante tutta le neve scesa, la croce era ben visibile e secondo Ninuccia era stata messa apposta affinché nessuno dimenticasse. Finalmente dopo un tempo infinito, toccò con le mani una parete in sasso della Chiesa e si accorse che erano ridotte anch’esse a due lastre di ghiaccio. Tirò la campana per annunciarsi e solo dopo parecchi minuti, una voce sgraziata chiese da una finestra semi chiusa “Chi è quel disgraziato che bussa a quest’ora del mattino?” “Sono un donna, mi chiamo Dora e sto per sentirmi male, se potesse aprirmi la porta in velocità, gliene sarei grata per tutta la vita” Non fece in tempo a dire altro. Don Pasquale alla sola parola “donna” si incupì subito, ma il suo ruolo di aiutante e pastore delle anime, gli impose di scendere in fretta per vedere chi si era accasciato alla sua porta. Correndo giù per le scale, inciampò con la sua lunga veste nera nella ringhiera, si lacerò la parte posteriore dell’abito talare e stava per dire una parolaccia, ma la ricacciò in gola e finalmente aprì quel sinistro portone. Si chinò a raccogliere la povera donna, bianca come un lenzuolo e candida come i suoi capelli, che si intravedevano dal colbacco di lana. Era svenuta, il parroco aveva tra le braccia un cencio inerme. La portò dentro in Canonica, la adagiò su di un letto cercando di asciugarla vicino al fuoco del caminetto acceso. Le strofinò in modo energico mani e piedi, le aprì il cappotto e le diede anche qualche ceffone sulle gote cerulee per farle riprendere conoscenza. Cercò di spogliarla in fretta e furia, togliendole senza grazia alcuna tutti quegli strati di indumenti bagnati e sporchi: cappotto, sciarpa, colbacco, le scarpe di tela oramai ridotte a brandelli. E poi i guanti e le quattro paia di calze che si erano incollate l’una sopra all’altra. Sotto di esse, osservò un paio di piedi ben curati e con lo smalto ma violacei. La coprì con un plaid sporco di cenere, le mise a scaldare anche la valigia di cartone, che era ridotta ad un ammasso di carta bagnata. Fu attento nel non mettere la valigia troppo vicina al caminetto, altrimenti avrebbe preso fuoco e con essa i pochi abiti che vi erano riposti. Soprattutto sarebbero bruciati i documenti vitali per Ninuccia, il danaro rimasto e le sue medicine. Mentre la stava frizionando vigorosamente, si tolse da una delle tasche interne della veste nera, una boccetta di liquore e gliene versò un’abbondante sorso tra le labbra, per farla rinvenire ed evitare il congelamento dei denti. Era un antico metodo che aveva appreso, quando durante la seconda guerra mondiale, rischiò il congelamento e di conseguenza la morte, al fronte greco-albanese dove vi erano meno venticinque gradi. Ninuccia sentendo in bocca un sapore amarognolo come di medicina, non realizzava che cosa fosse. Era in ancora in piena crisi vagale, intervallata da attimi di ripresa. Non comprendeva perché qualcuno le stava versando un liquido a viva forza in mezzo ai denti e lo sputò d’impeto, addosso allo strano figuro vestito di nero. Aprì gli occhi con enorme sforzo e fatica, tutto le girava. Volle alzarsi troppo rapidamente e ricascò sul letto come un sacco di patate.“Faccia piano per Dio, altrimenti sviene di nuovo!”.
Sbraitò l’uomo noncurante della donna e della situazione, guardando l’abito talare bagnato di cognac. Mi dice che cosa ci faceva a quest’ora, in questa mattina del sedici gennaio con una temperatura da lupi o se vogliamo da ladri? Mi dica un po’, chi è lei dei due? Una lupa o una ladra?” “Ma per l’amor del cielo!” rispose lei con una flebile voce che appena si udiva, “Nessuna delle due. Sono stata mandata qua da Martino, il barista del paese, mi ha detto che lei abbisognava di una collaboratrice domestica a tempo indeterminato, o sbaglio?” Parlava lentamente, voleva rialzarsi dal letto e notò che lui le aveva messo addosso una coperta di lana, si guardò intorno e vide la sua valigia, che stava asciugando al caldo del camino, gli abiti bagnati erano appoggiati su una sedia di paglia e lei vestita con un maglione, ed un paio di pantaloni di flanella maschili. “E’ tutto sotto controllo, stai tranquilla Ninni, ora sei al sicuro ed al caldo”disse sottovoce Ninuccia, nulla era fuori posto e non c’era più pericolo per ora. Il prete la teneva in osservazione con occhio clinico, osservò che stava riprendendo un poco di colore, quindi si scostò da lei e si sedette sul bordo del letto, per fare un minimo di conoscenza con quella donna svenuta davanti a casa sua, in quella mattina da lupi o da ladri. “Sì insomma, così le hanno riferito che io cercherei una perpetua o qualcosa del genere, un aiuto domestico femminile, una governante ecco, che così facciamo prima nel definirla: ma lei che cosa c’entra con tale incarico?” Don Pasquale Alessi, così si chiamava il Parroco la squadrò centimetro per centimetro e dopo un’osservazione che pareva non avere più termine, concluse la sua indagine visiva dicendole:”Quando si sarà ripresa del tutto e riscaldata per bene, potremo discorrere di ogni cosa, le dirò per filo e per segno che cosa pretendo. Poi le farò vedere dove dormirà, le comunicherò gli orari che dovrà rispettare e cosa essenziale per me: niente uomini che svolazzano intorno alla Chiesa come mosconi. Sono stato chiaro?” Ninuccia fece segno di sì con la testa e si riaddormentò.

Nell’auspicarmi che questa storia vi faccia battere forte il cuore, via faccia stare con il fiato sospeso e vi aiuti a ricordare le abitudini di una buona lettura. Ho nel cuore il pensiero di come i vostri occhi reagiranno di fronte alle parole scritte con sentimento reale, spero di farvi cosa gradita nel mostrarvi senza vergogna, la storia di questa donna e dei suoi anni vissuti durante e dopo uno stupro inaudito. Ci tengo a puntualizzare ancora una volta, che le immagini e gli scorci di questi paesaggi sono immagini reperite da Internet. Raffigurano Castrolibero, Marano Marchesato e Mendicino, paesi limitrofi e confinanti con il paese protagonista della nostra storia. Per quanto concerne i nomi delle Chiese, dei protagonisti, delle vie, le citaizoni di medicinali e malattie, o altri riferimenti a fatti molto probabilmente accaduti, sono puramente di fantasia e casuali. Ricordo a tutti voi con gioia, che l’unico riferimento realmente accaduto è la “storia degli Scarpari di Castrolibero”. Storia che fa parte della loro economia sviluppatasi nei primi decenni del Novecento. I nomi degli attrezzi che troverete nel Romanzo, sono reali e veritieri, ringrazio e cito  ancora una volta il signor Anelli Alberto per avermi permesso, senza saperlo di studiare questo antico e nobile mestiere. Aspetto con emozione, con gioia e con grande curiosità i vostri pensieri sinceri. A presto per un altro capitolo che forse ed in tutta probabilità, sarà uno degli ultimi pubblicati virtualmente!



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