Rosina deglutì ancora forte, nella speranza di trovare altra voce da usare, ma all’improvviso sentì in gola un nocciolo di pesca che la stava strangolando. Dovette chiamare Aristide con il cerca persone per un bicchiere d’acqua ed un calmante. Allo stremo delle forze, Rosina Giudici si ritrovò con in bocca il lembo del lenzuolo ricamato, strappato dai continui morsi che gli dava per non urlare e non far capire a Ninuccia che era disperata. Ma anche se non aveva più fiato in gola e la salivazione era scomparsa dalla bocca, continuò senza arrendersi a conversare. “Di conseguenza ci vedremo molto prima di un anno, i tuoi sessanta li festeggerai con noi a Palazzo come ogni anno e non dove ti trovi ora. Abbi cura di te, Ninni e quando avrai bisogno, sai dove trovarmi, ma per saluti o scemenze di poco conto ti chiedo di non disturbarmi più: la decisione che hai preso è una sentenza di morte per te. La mia voce e la mia testa non sono rotte, non sono ingessate, funzionano discretamente bene e comprendono da sole, che non posso fare di più per te in questo momento della tua vita. Mi devo solo rassegnare e prenderne atto e cosi sia!” La conversazione era terminata ancor prima che Ninuccia, potesse dire a Rosina che le voleva bene, un bene dell’anima, voleva urlarle che ora sarebbe ritornata indietro da lei. Cercava in ogni modo la voce, per dirle che era tutto folle quello che voleva compiere, ma le parole non le uscivano più dalla bocca, nemmeno una. Voleva anche rassicurarla sul fatto che era tutto vero quello che lei le aveva detto, ma era pur vero che Ninuccia non sarebbe mai ritornata sui suoi passi. Non aveva tagliato i capelli a zero per un valzer degli ormoni, non si era fatta tutto quel viaggio orribile per una voglietta da donna incinta, nulla di tutto questo: lei ora voleva solo trovare suo figlio, punto e basta anche se era in ritardo di quarantasei anni. Era come un fuoco che le squarciava il petto e non la lasciava respirare, doveva trovarlo a tutti i costi, anche se avesse dovuto rovistare e mettere a soqquadro Castrolibero e l’intera Calabria. Chiese al barista una toilette per prendere tempo e lui, asciugando distrattamente una tazzina, gliela indicò dicendole”In fondo a sinistra c’è il bagno, ma, scusi signora, noi due non ci siamo già conosciuti?
Io sono Martino, Martino Ponzi e tu non sei..?Ma sì che sei la Nin… sì tu sei Ninu..”. Prima che il barista potesse finire la frase, Ninuccia scappò in bagno con la fronte ed il solco tra i due seni completamente bagnati di sudore. Stava per svenire, ma il pensiero degli occhi imploranti di Beniamino che l’avevano guardata per pochi secondi, le impedì di cadere. In un lampo le venne un’ idea, tirò la catenella dell’acqua, si bagnò le tempie ed i polsi, si asciugò per bene il seno ed uscì dalla toilette, sicura di sé e determinata come non mai. “La ringrazio per il telefono, signor… come ha detto?” “Sono Martino, ma non ti ricordi più di me?” “Guardi mi confonde con un’altra donna ,io mi chiamo Dora Scalzi, sono arrivata poc’anzi per ricostruire l’albero genealogico della mia famiglia. Sono stata incaricata dal Comune di Modena per il quale lavoro, di fare queste ricerche storiche. Pare, dico pare, che io abbia la famiglia con le origini più antiche di tutta Modena. I miei superiori hanno scelto me quest’anno e non una delle mie colleghe, che invece sarebbe stata ben felice di venire via per un po’ di tempo, dalle nebbie e dall’umidità emiliane!L’ uomo del bar la fissò stupito, la riguardò meglio e disse dispiaciuto”In effetti, ora che la guardo ehm, meglio, non può essere lei, anzi lei non aveva queste forme. Anche se dopo tanti anni sarà cambiata certamente, ma ricordo bene che odiava i capelli rasati a zero come un soldato, non se li sarebbe mai tagliata in vita sua, mai!Lei li portava lunghi con i boccoli, anche se sua madre la obbligava a raccoglierli a crocchia, come una vecchia nonna e a tenerli coperti con un fazzoletto nero in segno di lutto. Quale lutto poi? non l’ho ancora capito alla mia età! Lei era bella, lei era la vita ed il sole di Castrolibero, non ce ne sarà mai più un’altra, come Ninuccia Ercolani. Era talmente bella che tutti noi ragazzi perdemmo la testa per lei, ma lei non ci credeva e diceva che si sentiva orribile con quella piccola gobba sul naso.“Me la farò togliere prima o poi, vorrei un profilo perfetto ed il nasino all’insù, così sembro proprio una strega e temo di spaventare i bambini! Lo farò a Cosenza con i soldi che guadagnerò dalla vendita del mio primo libro” Martino tornò in sé e smise di guardare il soffitto, aveva avuto una visione celestiale ma doveva tornare con i piedi per terra o avrebbe fatto avere un altro attacco di panico alla donna che gli stava di fronte.“Mi scusi signora, ma lei ha un naso troppo perfetto, capelli troppo corti da maschio, lei è troppo dove dovrebbe essere poco, ed è pochissimo dove lei era il massimo, mi scusi la franchezza! Con la nostra amata e mai dimenticata Ninuccia lei non c’azzecca proprio nulla! Era bellissima, anche se aveva quel lieve difetto sul naso, su questo non si discute.”Martino terminò il suo lungo discorso, dopo aver onorato e santificato una donna che agli occhi di Ninuccia pareva già morta e beata. Dovevano averla amata molto al Paese, i suoi pochi e veri amici! Mi scuso signora Scalzi: come posso fare per farmi perdonare?” “Beh, visto che me lo chiede, una cosa per me la potrebbe fare e sarebbe molto molto gradita.” “Tutto quello che vuole” rispose Martino prontamente, aggiustandosi il grembiule e posando la tazzina che oramai doveva essere più che asciutta. “Avrei bisogno di trovare un alloggio che non sia una locanda o un albergo, mi accontenterei di qualsiasi cosa, purché confortevole e pulita. Per svolgere il mio incarico, avrò bisogno di diversi mesi di studio e di concentrazione, perciò la mia sistemazione dovrebbe essere diciamo così a medio-lungo termine. Se fosse possibile vorrei sistemarmi in un luogo tranquillo, lontano dalla confusione. Sa, per ricostruire un albero genealogico occorrono attenzione, pazienza e molta tranquillità.” “Che cosa significa una sistemazione a medio-lungo termine? Devo comprendere bene che tipo di alloggio suggerirle, in modo che io sappia indicarle un luogo consono alle sue ricerche. A proposito, quanto sarebbe in grado, mi scusi la domanda, di pagare? “Non si preoccupi di questo fatto: il Comune mi ha rifornito di danaro a sufficienza, questo non rappresenta un problema; mi dica piuttosto, ce l’ha questo suggerimento o no?” Martino, si guardò attorno con fare circospetto e con aria di rivelarle il segreto più segreto del mondo, le fece cenno di avvicinarsi al bancone e le sussurrò in un orecchio”So per certo che Don Pasquale Alessi, parroco e Monsignore della Parrocchia dei Beati Martiri, cerca da tempo memorabile, anche se non lo ammetterà mai, una per così dire perpetua, voglia perdonarmi il desueto termine. O meglio è alla disperata ricerca di una collaboratrice domestica per la Parrocchia e per la sua disordinata persona. In cambio offrirà vitto ed alloggio, cioè una bella camera da letto con annesso bagno personale. Che ne dice Dora? “Direi che è perfetto per me! Anzi, se mi indica la strada ci vado subito e chiedo se il posto è ancora vacante!” “Lo è, lo è, altro che vacante, quello è un posto di lavoro assente!” disse Martino “A quel pretone non si vuole avvicinare nessuna donna, tanto è cattivo e burbero; odia le femmine per principio, ma dovrà pur ammettere che di una ne ha bisogno! Quindi dovrà adattarsi ad averla tra i piedi se vuole andare a letto con le lenzuola pulite e smetterla di mangiare cime di rapa crude. Si dice in giro, che da quando non c’è più Don Gaudenzio suo fratello, la Chiesa, la canonica e la sagrestia siano diventate un nido di topi e di sporcizia! Ce ne vorrebbe una squadra di donne con lo spazzolone in una mano e l’acido muriatico nell’altra, per far tornare tutto lucido ed igienico come ai bei tempi!” “Una donna sola basta e avanza, è sufficiente trovare quella giusta. La ringrazio di tutto quanto e a presto”. Ninuccia uscì in tutta fretta e molto soddisfatta dal Bar degli Amici. In effetti il nome del bar,si era rivelato all’altezza della situazione pensò Ninuccia, che in pochi minuti era riuscita a presentare la sua nuova identità e aveva comunicato il motivo per il quale si trovava a Castrolibero. La voce si sarebbe presto sparsa per il Paese ed era quello che lei voleva. Per essere arrivata solo da mezza giornata l’inizio prometteva bene e poteva solo migliorare con il passare dei giorni. Percorse altre tre stradine al di fuori del centro abitato, l’ultima delle quali era particolarmente sconnessa. Steli di erbe ghiacciate, sassi e detriti di ogni forma e colore spuntavano dalla neve. Per terra vi erano anche pezzetti di muri, mattoni in briciole e centinaia di vetri rotti, ricoperti dal ghiaccio che avrebbero potuto tagliarle una gamba. Erano vetri opachi e lei stava ben attenta a non calpestarli, con quel che le rimaneva ai piedi di quelle povere scarpe di tela. Questo sentiero portava in aperta campagna, Ninuccia che non connetteva più molto lucidamente per la stanchezza si chiedeva se fosse possibile che la Chiesa dei Beati Martiri si trovasse proprio in mezzo ad un campo. Possibile che fosse proprio quella la Parrocchia di quando era bambina? Erano questi i luoghi nei quali lei aveva dato alla luce Beniamino? Più si guardava attorno e più non riconosceva né la strada e nemmeno la direzione, non vedeva case e abitanti, solo detriti e macerie semi sepolte da una spessa coltre di ghiaccio. Ma la cosa che maggiormente la preoccupava, era non scorgere il tetto della Fabbrica delle Scarpe. Come se il tempo l’avesse inghiottita, la fabbrica si era volatilizzata nel nulla, così come avrebbe desiderato del suo stupro. Non ricordava che fosse così lontana dal centro, come non ricordava che la Parrocchia dove stava dirigendosi, si chiamasse “Chiesa dei Beati Martiri”. La sua parrocchia, quella di Don Gaudenzio Alessi, si chiamava “Chiesa di Santa Liberata” e non aveva alcun dubbio. Il tempo era trascorso senza sosta e con esso era terminata anche la grande pandemia di asiacella, che coinvolse tutta Italia e Castrolibero in particolare durante quegl’ anni. Ninuccia pensava per farsi coraggio, che tutto quanto era stato bruciato, come nel libro dei Promessi Sposi, quando i Lanzichenecchi portarono la peste a Milano, quindi i monatti nel trasportare i morti sui carri, dove passavano bruciavano e sventravano case e ogni cosa vi fosse all’interno. “Per evitare il contagio” si continuava a ripetere Ninuccia,”Dunque anche qui sarà successa la stessa cosa, ma sicuramente qualche resto o segno che mi farà ricordare, lo troverò ”.
I terribili e dolorosi sintomi dell’ asiacella che si presentava con febbri altissime, broncopolmonite accompagnata da nausea e vomito, non risparmiavano nessun essere umano. Raramente qualche anima riuscì a sopravvivere anche se con strascichi fisici tremendi. In Paese nella vecchia farmacia, non se ne comprendeva il motivo, ma vi erano ancora scatoloni di Tulidomade, la micidiale medicina contro la nausea, molto in voga negli anni sessanta. Nonostante fosse stata tolta dal commercio, per le gravissime conseguenze sui feti che nascevano focomelici, il vecchio farmacista del Paese continuava a farsene mandare dalla casa madre tedesca, per aiutare le donne gravide a sopportare le nausee. Era in contatto con certi ex soldati tedeschi ,che gliele procuravano a bizzeffe e a prezzi molto bassi, pur di smaltire le scorte. Si era potuto osservare, che le donne gravide del paese, miglioravano come sintomi, lui noncurante delle conseguenze terribili continuava a spacciarne. Nel periodo dell’asiacella, ne diede ai paesani in gran quantità sostituendo solo le scatole, facendole passare per Imperidone, lo sciroppo per placare i sintomi di forte nausea e vomito. Purtroppo gli effetti furono anche questa volta devastanti, procurando moltissime morti su uomini, donne e bambini. Le pochissime spose che riuscivano a portare a termine la gravidanza, partorivano bambini privi di qualche arto. Nascevano così bambini deformati, spaventosi a detta di tutti:qualcuno senza le gambe, chi non vedente, altri sordomuti, qualche bambina non si sviluppava nella pubertà, ma rimaneva una nana per sempre. Questi bambini sopravvissuti alla pandemia erano ventidue a Castrolibero e venivano chiamati “Gli Angeli”.
Se da un lato, la natura aveva tolto loro alcune parti del proprio corpo, dall’altro li aveva dotati di una sensibilità e di una creatività eccezionali: erano i bambini del Coro di Castrolibero, che imparavano a suonare e a cantare diretti ed istruiti da Gaudenzio. Le faceva ancora male pronunciare quel nome, sapeva che lo avrebbe rivisto prima o poi, era inevitabile, ma più tardi era e meglio sarebbe stato per lei e per i suoi obiettivi. Mentre le sue gambe affondavano sempre più nella neve, Ninuccia era congelata dalla testa ai piedi. Ad un certo punto si imbatté in un vecchio rudere abbandonato che costeggiava la Chiesa. Sembrava un capannone, che ne so un’autofficina per riparare le auto, certamente era uno stabile che nessuno usava più da diverso tempo. Il tetto non esisteva più,al suo posto vi era un grande cratere, lungo come tutta la lunghezza del rudere. I finestrini erano ridotti ad una montagna di vetri, la porta d’ingresso in ferro era completamente arrugginita e putrefatta nelle colonne di legno. Era chiusa con un catenaccio con una strana forma a campana, anch’esso arrugginito notò Ninuccia attentamente. Forse era servito per legare un toro di qualche contadino dei dintorni. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter entrarvi dentro e vedere di che cosa si trattasse, ma il freddo e la stanchezza non le permisero di fermarsi nemmeno un istante a controllare. Continuava a fissare il capannone come ipnotizzata, le idee le si accavallavano nel cervello, le venivano davanti agli occhi degli strani flash, un’insegna con la S a penzoloni continuava a girarle dentro la testa.
(continua con la terza ed ultima parte dell’ottavo capitolo). Buona lettura!