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NO MORE EXCUSES (A WEEK WITHOUT VIOLENCE): Persepolis

Creato il 27 novembre 2014 da Jeanjacques
NO MORE EXCUSES (A WEEK WITHOUT VIOLENCE): Persepolis
Essere blogger, alla fine, vuol dire essere un po' dei cazzoni. Chiunque inizi a tenere un blog credo che, se ha almeno un paio di neuroni funzionanti, lo faccia unicamente come passatempo, senza pretese di avere una qualche voce in capitolo o di peso nell'argomento che va a trattare, E' un gioco e come tale va preso. Ma può diventare anche altro, nel suo piccolo, quando c'è la buona volontà. E lo può diventare proprio grazie a questi evential days, solitamente usati per celebrare una personalità del mondo del cinema, ma che, negli ultimi mesi, si sono rivelati utili anche per poter esprimere concetti che andassero al di là del mero contesto della settima arte. E' un perfetto esempio la campagna War no more (alla quale ho partecipato con Good morning Vietnam) fatta per il centenario della prima guerra mondiale, alla quale tutti abbiamo risposto con grande entusiasmo. E credo che, proprio per la sua natura sociale, succederà lo stesso con questo No more excuses, che si pone l'obiettivo di trattare il tema della violenza sulle donne. Non voglio fare inutile allarmismo come fanno i telegiornali, che hanno trovato la notizia che va di moda quest'anno e da un bel po' di tempo non fanno altro che bombardarci di ogni tipo di fatto di cronaca che abbia alla base una violenza domestica, ma non va negato il fatto che tali atrocità ci sono sempre state. Oggi se ne parla (forse troppo, a volte anche a caso e facendogli perdere anche il senso di gravità che devono avere), li si pubblicizza per un buonismo da salotto che andrebbe evitato, eppure è un problema che esiste sul serio e va affrontato con serietà.

La storia è quella di Marjane Satrapi, già autrice del fumetto, e della sua esistenza, barcamenata fra un Iran in continuo mutamento politico/sociale e uno sbarco in un Europa molto distante e contraddittoria.

Chiunque bazzichi nel mondo dei fumetti, prima o poi si sarà ritrovato dinanzi al volumone Persepolis, scritto e disegnato da una certa Marjane Satrapi. La stessa Marjane Satrapi che ha diretto, insieme a Vincent Paronnaud, questo bellissimo cartone animato. Solitamente questo volume ve lo propinano insieme a Maus di Art Spiegelman (lettura obbligatoria ma che sconsiglio alle persone facilmente impressionabili) perché hanno in comune il tema della guerra, ma sono totalmente differenti per registro e temi trattati. Spiegelman usa degli animali antropomorfi per spiegare gli orrori dei campi di concentramento (per la cronaca: gli ebrei sono i topi) mentre la Satrapi descrive come l'Iran in cui è vissuta è cambiato, con un'ironia mai troppo irrispettosa ma che, dietro una risata amara, non sconvolge mai più di tanto - almeno in apparenza. Pochi sanno però, nonostante lei lo dica sia nel fumetto che nel film, che la Satrapi è discendente della dinastia Qajar e che, anche se lei minimizza il tutto, forse la sua opera non è da prendere in maniera così ossequiosa tanto dal punto di vista politico, quanto da quello socio-antropologico. Perché ciò che rendeva così bella la lettura della sua opera era proprio vedere i cambiamenti di vita subiti da una donna del popolo raccontati proprio da una donna del popolo. Ed è proprio su quello che fa perno anche il film che, pur dando un inevitabile quanto rapido (ma mai minimizzato) resoconto di quelli che sono i fatti storici che hanno portato a tutto quello, preferisce dedicarsi maggiormente a quelli che sono stati i tormenti delle persone che lo hanno vissuto. La guerra è una cosa orribile ma la si può vivere in diverse forme. C'è la guerra fatta coi carri armati e le combutte politiche, così come quella interiore, che può essere creata dal dover andare per forza di cose in in paese diverso, con tutta la discriminazione che questo può portare. Ma ce anche il tormento di ritornare in patria e di scoprire di essere straniera nella tua stessa terra, perché possono esserci dei guai se sei una donna molto sveglia in un paese troppo arretrato. Questi sono i conflitti vissuti da Marjane, un passato forse non molto diverso da quello di molte altre sue concittadine ma raccontato con arguzia e intelligenza, con un disegno manuale che, nonostante la semplicità del tratto, lascia basiti per alcune trovate. Ma forse non è neppure il racconto di una guerra, storica o personale che essa sia, quanto quello di una sconfitta. Perché il paese in cui Marjane vive forse non può essere curato in tempi brevi, perché la religione non è un male (e di questo ne sono assolutamente sicuro, pur non essendo credente) ma sono un male i fondamentalismi. In un paese simile non è lecito portare avanti un matrimonio, se compiuto per un'insana fretta portata dalle istituzioni stesse, non c'è la possibilità di farsi una cultura se la censura è a livelli così atroci e opprime quello che è il diritto indispensabile di ogni persona: il sapere. Perché un uomo che sa, così come una donna che apprende, può definirsi un umano libero. A conti fatti possiamo dire che Persepolis, nonostante la sua ironia e leggerezza, parla di una sconfitta. La sconfitta di una donna coraggiosa che è costretta a lasciare una terra che ama, ma il cui amore, per certi versi, non è ricambiato. Perché è vero che il sistema lo si può rovinare solo dall'interno, ma l'ignoranza, quella portata dalle dittature e dagli ostracismi, riesce a creare barriere molto difficili da rompere. E così Marjane se ne va, lasciando bene intendere però che non dimenticherà mai quella terra natia, che sarà proprio l'epicentro dell'opera per cui verrà ricordata. Ed è ricordando entrambe le versioni di quel capolavoro che, in una giornata simile, voglio rendere omaggio a una grande donna. Una donna che, in un secondo millennio dove la figura e la persona femminile ha raggiunto un'uguaglianza solo di facciata, è riuscita a farsi valere mettendo a nudo la propria vita, senza peli sulla lingua e con molto coraggio - il film ha ricevuto diverse contestazioni dal governo iraniano, che ne chiese l'esclusione dal festival di Cannes e ottenne la squalifica da quello di Bangkok. Ed è per questo che spero lo facciano vedere nelle scuole, perché le ragazzine abbiano un buon esempio nel quale riconoscersi, in quello che è un mondo che sembra troppo interessato a proiettare i propri riflettori solo dove puntano già i raggi di un sole stanco e che non ha più molto da dire.

Con me oggi partecipano anche i colleghi di Non c'è paragone e Scrivenny, con due film molto diversi ma in totale sintonia col tema trattato.Voto: 
NO MORE EXCUSES (A WEEK WITHOUT VIOLENCE): Persepolis
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